Insiryated – Il cinema ci porta alla guerra ma non quella dei supereroi o di fantascienza, la guerra quella che si combatte fuori dalle case di Damasco ponendoci davanti ad un drammatico interrogativo: “una famiglia, intrappolata nella propria casa, dovrebbe sacrificare uno dei suoi membri per proteggere gli altri? “Insyriated, pellicola franco-belga diretta da Philippe Van Leeuw ci racconta il dramma della guerra in Siria attraverso la storia non di soldati ma della gente comune che subisce la violenza del conflitto.
Oum Yazan, madre di tre figli, vive barricata nella propria abitazione, in una città sotto assedio. La donna ha reso l’appartamento un porto sicuro per la famiglia e per alcuni vicini, cercando di proteggerli dalla guerra. Quando le bombe minacciano di distruggere l’edificio, quando i cecchini trasformano i cortili in zone di morte e i ladri irrompono per saccheggiare e violentare, mantenere tra quelle mura il sottile equilibrio della routine diventa una questione di vita e di morte.
Philippe Van Leeuw racconta il suo film con passione e partecipazione utilizzando queste parole: “Un giorno, nel dicembre 2012, un’amica siriana di Damasco mi raccontò che nelle ultime tre settimane il padre era rimasto chiuso nel suo appartamento ad Aleppo, senza telefono o altri mezzi di comunicazione, a causa delle bombe e della guerra che stavano devastando la città. Mi sono immaginato quell’uomo solo, prigioniero nella propria casa, e altri come lui, in lotta per sopravvivere un giorno alla volta. Il film narra la storia di una famiglia confinata nella propria casa per via della guerra che si sta scatenando all’esterno. Il progetto è stato motivato dal senso dell’urgenza. Nel tentativo di reagire rapidamente, ho deciso fin dall’inizio che ci sarebbe stata un’unica ambientazione, l’appartamento, e che il film si sarebbe svolto nell’arco temporale di 24 ore. Volevo cercare, in tal modo, di comprendere che cosa anima della gente comune sospinta in circostanze straordinarie. Non si tratta di eroi, ma di persone semplici chiamate a rispondere alla complessa situazione che stanno attraversando Quello che ho cercato di comunicare è la fragilità e la forza che possediamo quando siamo immersi in uno stato di pericolo.
L’istinto che ci dà la resistenza per lottare al fine di sopravvivere e l’energia per auto-conservarci alle spese dei bisogni di altre persone mosse dagli stessi impulsi vitali e sbagli morali. Tuttavia non ci sono giudizi o prese di posizione morali, ma solo fatti disposti per esporre la cruda realtà. Per garantire l’autenticità della sceneggiatura da me scritta, ho chiesto il parere di siriani in esilio, particolarmente quelli dei colleghi registi Hala Mohammad e Meyar al-Roumi, e ho fatto affidamento sulla mia conoscenza della regione. Negli ultimi anni ho soggiornato e lavorato regolarmente in Libano. I due Paesi condividono cultura e costumi così come, sfortunatamente, la tragedia della guerra civile. Il film va inteso come un’esperienza immersiva. L’appartamento sembra come una bolla sul punto di esplodere, le ombre sono minacciose, il mondo esterno pare irraggiungibile, proibito. È come se i personaggi fossero seduti su un vulcano, tesi, irascibili, egoisti, e nonostante ciò provassero a mostrare empatia e compassione verso gli altri compagni. Panic Room di David Fincher è un buon riferimento in termini di tensione, ma qui non ci sono inganni o effetti speciali, solo uno sguardo sincero sul dramma in corso.
Come per il mio precedente film, Le jour où Dieu est parti en voyage, ho sentito fortemente la necessità di schivare qualsiasi traccia di indulgenza o voyeurismo nel modo di avvicinarmi alla violenza. Come Jacques Tourneur, credo che meno uno vede, meglio è. Penso che uno sia più sensibile al senso di realismo e all’emozione quando, invece di distogliere lo sguardo, cerca di vedere ma non vede nulla o così poco al punto di recuperare mentalmente le immagini mancanti. Solo allora ogni tipo di emozione, compreso il terrore, può davvero essere vissuto sullo schermo. Inoltre, il suono è in grado di evocare le immagini spesso in maniera più forte e vibrante delle stesse immagini. Le azioni violente descritte nel film sono pertanto più acustiche che visive. Comunque, ho sempre cercato di esprimere un concetto visivamente piuttosto che utilizzare i dialoghi per comunicarlo. Per me, il linguaggio dei volti e dei corpi dovrebbe raccontare quel concetto nella sua totalità.
Fatta eccezione per Hiam Abbass (la madre, Oum Yazan) e Diamand Abou Abboud (Halima), gli attori sono tutti rifugiati siriani. Siccome Juliette Navis (Delhani) non parla l’arabo, è stata istruita affinché i suoi dialoghi producessero la fonetica corretta. La rivolta del popolo siriano è iniziata sei anni fa, la guerra infuria da cinque anni, mentre il resto del mondo non ha fatto nulla per fermarla. I siriani sono stati costretti ad abbandonare le loro case e il loro Paese cercando rifugio in Europa. Tutti provengono da posti e situazioni che non conosciamo, manchiamo di quelle immagini. Oltre al disastro siriano di oggi e ad altri disastri del passato e del presente, ho voluto fare luce sulla dignità delle popolazioni civili che sono coinvolte nei conflitti moderni”.
Da ricordare che Insyriated di Philippe Van Leeuw ha vinto il del Premio Pubblico della 67°edizione della Berlinale.
Raffaele Dicembrino