20 Febbraio del 1828: Antonio Rosmini fonda l’Istituto della Carità al Sacro Monte di Domodossola

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Antonio Rosmini – Oggi ricordiamo Antonio Rosmini, sacerdote e filosofo,  che il 20 Febbraio del 1828 fondò l’Istituto della Carità al Sacro Monte di Domodossola

Ancora oggi, all’interno del parco del Calvario, sono visibili i poderosi resti del castello Mattarella, distrutto nel 1415 dai soldati svizzeri scesi per conquistare la valle dell’Ossola, strappandola al Ducato di Milano. L’origine del castello risale almeno al X secolo, prima che l’imperatore Enrico di Sassonia lo donasse alla diocesi di Novara (1014).

Dopo la distruzione il colle fu abbandonato per oltre due secoli, pur rimanendo vive le suggestioni derivanti dai suoi antichi ruderi: nel 1656 due frati cappuccini del convento di Domodossola, padre Gioacchino da Cassano e padre Andrea da Rho, concepirono il progetto di creare una “Via Processionale” lungo le sue pendici, con una serie di croci che segnassero le “stazioni” della Via Crucis e con un Santuario, dedicato al SS. Crocifisso, che accogliesse i fedeli al termine del percorso devozionale. Era previsto che le croci dovessero progressivamente essere sostituite da cappelle con la rappresentazione plastica e pittorica dei vari episodi della “Passione di Cristo”.

L’Istituto della carità è formato da sacerdoti e laici con voti semplici e perpetui. Si fanno i voti di castità, povertà e obbedienza; i religiosi che fanno i voti perpetui sono chiamati coadiutori.

 

La Regola di Vita (parte I, pt.6) prevede che, “alcuni sacerdoti, scelti fra i coadiutori e nominati dal Preposito Generale, fanno un quarto voto di speciale obbedienza al Sommo Pontefice, con cui si obbligano ad accettare qualunque missione per il servizio della Chiesa, anche con sacrificio della vita. Essi sono chiamati Presbiteri”.

Quei cristiani che, avendo qualche legame esterno o dovere, impedisce loro di unirsi alla Società della Carità in altro modo. È il caso di chi ha l’obbligo morale di provvedere ai figli minori o ai genitori anziani, o di chi ha questioni legali in sospeso, impegni sociali o professionali cui non può sottrarsi.

 

Rosmini ha previsto la possibilità di legarsi all’istituto attraverso la forma dell’Ascrizione. Sono Ascritti coloro che domandano di unirsi all’Istituto con il vincolo dello spirito e con la comunione dei beni spirituali: essi hanno già nella Chiesa una chiara vocazione (uomini e donne sposati ad esempio). Si tratta di una significativa novità per gli istituti religiosi; il padre fondatore l’ha prevista affinché anche semplici laici potessero far parte della famiglia religiosa, come del resto anche preti diocesani, vescovi e cardinali. Tra gli Ascritti si ricordano la madre di Rosmini, Giovanna, e Alessandro Manzoni.

 

All’interno dell’Istituto della Carità, la formazione religiosa è considerata un processo che dura per tutta la vita. A livello iniziale la formazione consiste in periodi di postulato, noviziato, professione temporanea e preparazione alla professione perpetua. È chiamato postulante la persona che inizia il suo percorso di formazione; è necessario per cominciare a vivere i tempi della vita religiosa. Si trascorre infatti, almeno in parte, in una casa dell’Istituto. Dura non meno tre mesi e non più di due anni. Successivamente al postulantato, comincia il percorso del noviziato in cui la persona comincia a conoscere la vita e il pensiero del p. fondatore. Il noviziato dura, solitamente, due anni di cui dodici mesi sono da trascorrere nella comunità del noviziato (il Sacro Monte di Domodossola).

 

Il novizio ritenuto idoneo a proseguire il suo cammino all’interno dell’istituto ossia emette i primi voti temporanei all’istituto. In questo modo diviene membro effettivo della congregazione; è quindi uno scolastico. Lo scolastico incomincia un percorso di studi.

Vi è poi il periodo con cui lo scolastico si prepara ad emettere i voti perpetui.

A conclusione di questo percorso vengono emessi i voti davanti al preposito generale o ad un suo delegato. Con la professione dei voti perpetui (castità, povertà e obbedienza) si diviene coadiutori.

 

Un volta ordinati sacerdoti (quindi dopo aver ricevuto l’ordinazione diaconale), Rosmini ha previsto che alcuni tra i membri dell’Istituto emettano un quarto voto di speciale obbedienza al Sommo Pontefice. Attraverso questo voto ci si impegna solennemente a intraprendere in qualsiasi parte del mondo qualunque missione che il Papa voglia loro affidare. Rosmini ha così voluto sottolineare l’unione dell’Istituto con la Chiesa, che per essa soltanto vive. I preti che fanno il quarto voto vengono chiamati presbiteri.

 

La realizzazione del nucleo principale del Sacro Monte Calvario fu assai rapida, anche in virtù del già menzionato sostegno finanziario offerto dalla comunità dei fedeli. Il giorno 8 luglio 1657 fu celebrata la posa della prima pietra del santuario e già nel marzo del 1662 si celebrava messa sull’altare nel quale era appena stato collocato lo splendido grande Crocifisso realizzato da Dionigi Bussola. La consacrazione ufficiale, tuttavia, avvenne il 27 settembre 1690 da parte del vescovo di Novara Giovanni Battista Visconti.

L’arrivo del sacerdote e filosofo Antonio Rosmini, nel 1828, diede nuovo impulso alle opere ed alla spiritualità del Sacro Monte Calvario. Egli fece erigere, sul piazzale in cima al colle, la Casa Madre dell’Istituto della Carità. Il Sacro Monte è ancor oggi di rilevata importanza per i padri rosminiani: è infatti sede del Postulato e Noviziato internazionale, oltre ad essere un centro di Spiritualità.

 

Visitando il Sacro Monte, è possibile entrare nella piccola cella dove Rosmini si ritirava per pregare e riposare. Nell’umile cella sono conservati alcuni oggetti appartenuti al filosofo roveretano; dal 2007 è stata collocata una delle quattro reliquie del suo corpo. Coloro che visitano la cella del fondatore dell’Istituto della Carità possono lasciare un breve messaggio nei Libro che vi è posto all’interno; molti non ne riportano solo un pensiero ma una vera e propria preghiera.

 

L’Istituto non si propone alcun fine particolare, ma la carità in tutta la sua universale e totale accezione, per cui non è esclusa alcuna opera di carità di Dio e del prossimo. È composto di Sacerdoti, Chierici e Fratelli Laici; fanno parte dell’Istituto come “ascritti” anche coloro che domandano di unirsi ad esso con il vincolo dello spirito e la comunione dei beni spirituali.

 

 

Il beato Antonio Rosmini fu profondo pensatore – «una delle sei, sette grandi intelligenze dell’umanità» disse il Manzoni – e autore di numerose opere, la cui edizione completa, curata da Città Nuova, è giunta oggi a 44 volumi, ma ne vedrà un’ottantina quando sarà terminata.

 

Nacque il 24 marzo 1797 a Rovereto, «paese italianissimo», dirà Niccolò Tommaseo, pur facendo parte, ben dal 1509, dell’Impero austro-ungarico. La famiglia era di alta condizione: il padre era patrizio tirolese; la madre proveniva dalla famiglia dei conti Formenti di Riva.

 

Dal 1804 al 1814 compì i primi studi. Nel Diario personale già in quest’epoca compaiono le prime annotazioni attestanti la chiamata a seguire il Signore più da vicino. Dopo due anni di studi privati di filosofia, matematica e fisica (1814-1816), Antonio Rosmini sostenne gli esami finali nel liceo imperiale ottenendo in tutte le materie la qualifica di “eminenza” e un giudizio che lo dice “dotato di acutissimo ingegno”.

 

A diciannove anni si iscrisse a Padova alla facoltà di teologia di quella Università, facendovi conoscenza con Niccolò Tommaseo, a cui sempre lo legherà una profonda amicizia. Si laureerà il 23 giugno 1822. Negli anni vissuti a Padova – segno della sua acuta intelligenza e della chiara visione dei bisogni del tempo – concepì anche il progetto di una Enciclopedia cristiana italiana, come risposta cattolica alla Encyclopédie di Diderot e d’Alembert che voleva dimostrare l’inutilità di Dio come spiegazione della storia guidata dalla ragione. Nell’opera, Rosmini avrebbe voluto dimostrare il contrario: la ragione non cancella Dio, ma porta l’uomo a riconoscerne il primato nella storia.

 

Nel 1817 aveva indossato la veste ecclesiastica e l’anno seguente aveva ricevuto la tonsura e gli ordini minori.

 

Tornato a Rovereto nel 1819 per prepararsi al sacerdozio, ricevette a Chioggia l’ordinazione il 21 aprile 1821 e gli fu assegnato l’incarico di vicario parrocchiale a Lizzana.

 

Aveva redatto per sé una “Regola di condotta” basata sul Vangelo, costituita di due principi: «1° pensare seriamente ad emendare me stesso dai miei vizi e a purificare l’anima mia dall’iniquità di cui è gravata fin dal nascere, senza andare in cerca d’altre occupazioni od opere a favore del prossimo, trovandomi nell’assoluta impotenza di fare da me stesso cosa alcuna in suo vantaggio; 2° non rifiutare i servizi di carità verso il prossimo quando la divina Provvidenza me li offrisse e presentasse, essendo Iddio potente di servirsi di chiunque, e anche di me, per le sue opere, e in tal caso conservare una perfetta indifferenza a tutte le opere di carità facendo quella che mi è proposta con egual fervore come qualunque altra in quanto alla mia libera volontà».

Nell’aprile 1823 il patriarca di Venezia Ladislao Pyrcher lo volle con sé in un soggiorno a Roma. L’incontro con l’anziano Pio VII segnò notevolmente il giovane Rosmini, dal momento che il Papa lo incoraggiò non solo a continuare gli studi di filosofia, ma a dedicarsi all’apostolato della cultura.

Nel 1826 si stabilì a Milano, dove frequentò, tra le altre, la casa di Alessandro Manzoni, avendo l’occasione di leggere in bozze I Promessi Sposi. L’amicizia con Manzoni sarà un altro significativo legame per Rosmini: un tipico esempio di amicizia complementare. L’uno cercava nell’altro ciò che non poteva avere in sé. Manzoni era attratto dalla filosofia, ma in fondo era un poeta, non un ragionatore sistematico; Rosmini ogni giorno cercava di scrivere un sonetto, sentiva dentro di sé una sua liricità, ma non aveva questo dono, ragionava troppo; e trovava nel Manzoni l’afflato poetico che avrebbe voluto possedere. Manzoni aveva un carattere tumultuoso e passionale, era portato all’analisi piuttosto che alla sintesi; Rosmini era come il cardinale Federigo Borromeo dei “Promessi Sposi”, che Manzoni, infatti, stava creando quando conobbe Rosmini. Al grande poeta e romanziere piaceva l’ideale di prete e di uomo del Rosmini.

 

Esule dall’Impero austriaco per l’amore manifestato all’Italia, Rosmini lasciò Milano e si stabilì nel Piemonte sabaudo, accolto con stima.

 

Il mercoledì delle ceneri del 1828 iniziò la Quaresima in solitudine al Monte Calvario sopra Domodossola. Nell’arco di due mesi scrisse le Costituzioni dell’Istituto della Carità, la Congregazione religiosa che avrebbe fondato e di cui già aveva in mente l’impostazione spirituale ed il campo di attività apostolica. Fonderà poco dopo anche le Suore della Provvidenza.

 

Sulla cella, angusta e poverissima in cui aloggiò, era scritto, ed è ancora, il motto di Geremia: «Bonum est præstolari cum silentio salutare Dei» (È bene attendere nel silenzio la salvezza di Dio) [Lam 3,26]. Dal Calvario così egli scriveva per la prima volta alla madre:

«Un’altra cosa mi fa caro l’essere qui (ed è ben la principale), l’essere questo monticello tutto dedicato alla passione del Signore, con la Chiesa divota in casa e cappelle tutto d’intorno al Monte con dentrovi i passi della Via Crucis; una grande quiete, una vera solitudine. Non c’è in casa che un canonico, Rettore della Chiesa; ma egli ha un’abitazione tutto distinta dalla nostra: nella nostra sono io, don Andrea, e Pietro che fu de’ frati conventuali di S. Francesco che erano qui nel paese, e che sono andati nel comune naufragio. I nostri due conversi ci fanno il mangiare parco e medicinale, e ci servono».

 

Il 15 maggio 1829 l’amico cardinale Mauro Cappellari – il futuro Gregorio XVI – gli procurò un’udienza di cui Rosmini conserverà perenne ricordo: il nuovo Papa Pio VIII lo ricevette e lo confermò nella sua duplice missione di pensatore («Si ricordi, Ella deve attendere a scrivere libri, e non occuparsi degli affari della vita attiva; ella maneggia assai bene la logica e noi abbiamo bisogno di scrittori che sappiano farsi temere») e di fondatore («se Ella pensa di cominciare con una piccola cosa e lasciar fare tutto il resto al Signore, noi approviamo »).

 

Pubblicò a Roma, l’anno seguente, le Massime di perfezione cristiana, un libretto di 56 pagine a cui Rosmini rimarrà affezionato fino alla morte: sei proposizioni costituiscono questo «manuale del cosa fare per vivere felici in un mondo felice»; sono i principi a cui Antonio Rosmini ispirò tutto il suo operare: Santità: Desiderare unicamente ed infinitamente di piacere a Dio, cioè di essere giusto; Chiesa: Rivolgere tutti i propri pensieri ed azioni all’incremento e alla Gloria della Chiesa di Gesù Cristo; Vocazione: Rimanersi in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene per la divina disposizione – non solo riguardo a sé, ma anche alla Chiesa di Cristo, operando a pro di essa dietro la divina chiamata; Provvidenza: Abbandonarsi totalmente alla divina Provvidenza; Umiltà: Riconoscere intimamente il proprio nulla; Discernimento: Disporre tutte le occupazioni della propria vita con spirito di intelligenza.

 

Ritornato al Calvario di Domodossola, concluse nel 1832 Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa, l’opera più famosa, che sarà pubblicata a Lugano solo nel 1848, senza il nome dell’autore, dopo l’elezione di Pio IX al soglio pontificio: una disamina dei mali che affliggevano la Chiesa cattolica già nella prima metà di quel secolo: “La divisione del popolo dal clero nel pubblico culto”; “La insufficiente educazione e formazione del clero”; “La divisione dei vescovi”; “La nomina dei vescovi abbandonata al potere temporale”; “I beni temporali che rendono schiavi gli ecclesiastici”.

 

Nel 1837, su richiesta di Papa Gregorio XVI, inviò a Roma le Costituzioni dell’Istituto della Carità, che saranno approvate con il Breve “In sublimi”.

 

Dal 1839 si stabilì a Stresa e continuò la pubblicazione di opere che diverranno oggetto – particolarmente il Trattato della coscienza morale (1841) – di accuse e dissapori. Ha inizio così quella che presso gli storici va sotto il nome di “questione rosminiana”. Fra gli avversari emergono alcuni gesuiti, a capo dei quali troviamo il Preposito generale della Compagnia, l’austero asceta olandese Gerhard Roothan.

 

Nel 1848, durante la prima guerra d’Indipendenza, il re Carlo Alberto affida a Rosmini una missione diplomatica presso Pio IX in vista di un concordato tra la Chiesa e il Piemonte. Rosmini, che condivideva il movimento di liberazione nazionale, individuava nel federalismo il miglior modello possibile per un Paese composito come l’Italia. Il Papa accolse Rosmini con affetto e stima, e sei giorni dopo gli preannunciava addirittura il cappello cardinalizio, con l’intenzione di nominarlo Segretario di Stato. Ma nell’autunno cominciarono a scatenarsi intorno al Rosmini invidie personali, diffidenze sulle sue idee politiche, e dubbi sull’ortodossia delle sue ultime pubblicazioni. Nel novembre il domenicano Giacinto De Ferrari consegnava in Curia le severe conclusioni del proprio esame sul libro le Cinque Piaghe; analogo, anche se più moderato, il giudizio di mons. Giovanni Corboli-Bussi sulla Costituzione civile secondo la giustizia sociale.

 

È il tempo in cui Pio IX, a seguito dell’avvento della Repubblica Romana, è costretto a lasciare Roma per rifugiarsi a Gaeta. Rosmini lo segue, ma anche qui il partito politicamente intransigente e a lui avverso, capeggiato dal card. Antonelli, Segretario di Stato, si rafforza. Pio IX continua a dimostrarsi ben disposto verso il roveretano, rendendosi conto della atmosfera di insincerità in cui si trova immerso, ma presto giunge anch’egli a cambiare parere. Mentre Rosmini si trova a Napoli, nel 1849, gli avversari gli infliggono il colpo mortale: le Cinque Piaghe e la Costituzione civile secondo la giustizia sociale vengono messe all’Indice. Rosmini, figlio devoto della Chiesa, immediatamente dichiara la propria sottomissione e, proprio in quel clima prima di rientrare in Piemonte, scrive un testo di alta spiritualità, l’Introduzione del Vangelo secondo S. Giovanni commentata.

 

Ma gli avversari ripartono all’attacco e inducono Pio IX a sottoporre a lungo esame tutte le opere del Rosmini. Il 26 aprile 1854 la Commissione dichiara che nulla c’è da censurare, ed il 3 luglio il decreto è di assoluzione piena. «Sia lodato Iddio che manda, di quando in quando, di questi uomini per la Chiesa», affermò Pio IX.

 

La vita di Rosmini stava ormai volgendo al termine; sono gli ultimi anni della sua vita; muore a Stresa, cinquantottenne, il 1° luglio 1855, dopo una dolorosa agonia di otto ore.

 

Sulla sua santità personale mai ci sono stati dubbi da parte della Chiesa, ma pesò grandemente, sul corso della sua Causa di Beatificazione, un ulteriore giudizio espresso dal S. Uffizio: giudica erronee 40 proposizioni tratte dalle opere di Rosmini e con il decreto Post obitum (del 1887, pubblicata soltanto il 7 luglio 1888) le condanna. Solo il 1 luglio 2001 – 146° anniversario della morte di Antonio Rosmini – uscì la “Nota” della Congregazione per la Dottrina della Fede, a firma dall’allora Prefetto Cardinale Joseph Ratzinger, che riabilitava queste quaranta proposizioni.

 

Il 26 giugno 2006 Papa Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto sull’esercizio eroico delle virtù testimoniate da Antonio Rosmini, e il 1° giugno 2007 il decreto sul miracolo attribuito all’intercessione del venerabile. Il 18 novembre scorso la Chiesa ha solennemente beatificato questo suo figlio che l’ha sempre profondamente amata, con il coraggio della Verità e con la pazienza di attendere che le proprie idee fossero comprese: un atteggiamento interiore ed esteriore di assoluta fedeltà che caratterizza, nel corso della storia, altri santi, convinti che la Chiesa si ama e si serve non con ribelle contrapposizione ma con paziente attesa, poiché gli aspetti della Verità che uno scopre con un certo anticipo hanno bisogno del tempo necessario per maturare nella coscienza e nella valutazione di tutti. È accaduto – dicevo – ad alcuni Santi: come non pensare allo stesso S. Filippo Neri ed alle sue intuizioni pastorali che avrebbero cambiato – come autorevolmente è stato riconosciuto – il volto stesso di Roma? Anch’egli attese – molto meno di Rosmini, ma con la stessa fedeltà – che si facesse luce sulla identità del suo Oratorio. E la luce, nella fedeltà e nell’autentico amore alla Chiesa, sempre arriva.

 

«Adorare. Tacere. Godere» aveva detto, sul letto di morte, Rosmini ad Alessandro Manzoni. È il programma che egli visse. Il suo “tacere”, atto di amorosa fedeltà alla Chiesa, non è stato un disperdere, ma un seminare. Significativamente, domenica 18 novembre, nel discorso dell’Angelus, a poche ore dalla celebrazione di beatificazione, il Santo Padre Benedetto XVI diceva: «Il suo esempio aiuti la Chiesa, specialmente le comunità ecclesiali italiane, a crescere nella consapevolezza che la luce della ragione umana e quella della Grazia, quando camminano insieme, diventano sorgente di benedizione per la persona umana e per la società».

 

In occasione della recente beatificazione, molte sono state le pubblicazioni sul Rosmini, a livello dotto e a livello divulgativo. Si è occupata di lui anche la stampa: quella cattolica e quella “laica”, spesso con espressioni di alta stima, anche da parte di quest’ultima, verso la grande figura del pensatore cattolico che Rosmini è stato.




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