Carceri – Un detenuto su tre è straniero

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La popolazione carceraria è tornata a crescere, nonostante le misure contro il sovraffollamento. Secondo il pre-rapporto di Antigone, si hanno 1.318 persone in più rispetto al 2015, il numero globale dei detenuti al 30 giugno 2016 è salito a 54.072. Si tratta sicuramente di un numero inferiore rispetto al passato, quando il 30 novembre del 2010 l’Italia raggiunse il massimo storico della popolazione detenuta ovvero 69.155 unità, ma pur sempre in sovraffollamento, infatti, secondo il Ministero della Giustizia, la capienza regolamentare è di 49.701 posti. Secondo l’Associazione, la spiegazione va ricercata nell’aumento dei “presunti innocenti”, soprattutto stranieri detenuti in fase di primo giudizio. Inoltre, lo spopolamento delle carceri deve fare i conti con i tempi di attesa dei processi italiani, ancora troppo lenti. L’opinione di Alessio Scaudurra, dell’Associazione Antigone rilasciata a Radio Vaticana

R. – La situazione odierna è incomparabilmente diversa rispetto al 2010, al 2011, ovvero agli anni del massimo sovraffollamento che ha vissuto il sistema penitenziario italiano. Ci sono molti detenuti in meno, i servizi a disposizione, pur se limitati, sono destinati a un numero più ridotto di detenuti. Quindi, la situazione è decisamente migliorata. L’elemento di allarme è che per la prima volta da diversi anni i numeri tornano a crescere. È una crescita piccola, lenta, però inizia sempre così: quando la popolazione detenuta inizia a crescere, se non si pongono argini, rimedi, è solo questione di tempo e il sistema torna a scoppiare. Quindi, bisogna prenderne atto, bisogna fare attenzione e mettere in campo tutti gli strumenti per evitare che si torni alla situazione degli anni passati.

D. – Perché il numero dei detenuti è in crescita?

R. – Probabilmente, la ragione principale riguarda la percezione generale: si pensa che sia terminata l’emergenza sovraffollamento, che tutti i problemi siano risolti e quindi si ricorre anche più a cuor leggero alla custodia cautelare. Qualche anno fa, chi mandava un imputato in custodia cautelare sapeva di mandarlo in strutture sovraffollatissime: è un sistema penitenziario in grande difficoltà, il personale è in grande difficoltà… Oggi questa consapevolezza non c’è  più e si ricorre più a cuor leggero a questa misura. Rimane il fatto che l’Italia è uno dei Paesi in cui il tasso di custodia cautelare è il più alto tra i Paesi europei, quindi comunque questa decisone non andrebbe presa così alla leggera.

D. – Ogni anno aumenta il numero dei detenuti nelle carceri italiane, ma a crescere sono soprattutto le percentuali degli stranieri…

R. – Purtroppo, è un dato collegato al precedente. Per gli stranieri è più facile che per gli italiani finire in custodia cautelare a parità di reato, perché si presume che non abbiano lavori stabili, che non abbiano abitazioni idonee per gli arresti domiciliari ad esempio. I dati che riguardano la percentuale di persone in custodia cautelare e la percentuale degli stranieri detenuti di solito crescono insieme.

D. – Secondo il Ministero della giustizia, la capienza regolamentare è inferiore al numero dei detenuti che oggi risiedono nelle carceri. Questo sovraffollamento cosa comporta?

R. – Può capitare che una cella, magari pensata per due persone, sia occupata da tre. Il carcere non è pensato come un luogo dove c’è abbondanza di spazi, quindi un carcere sovraffollato non è come un appartamento sovraffollato. È uno spazio ideato per due persone e che poi bisogna dividere per tre. È una situazione molto difficile perché si protrae per giorni, settimane, mesi. E’ una convivenza forzata difficile e rende ancora più complicato quello che già è un compito complicato, cioè accompagnare il ritorno alla società, ma anche il ritorno alla legalità di persone che hanno storie di devianza.

D. – Un altro dato allarmante arriva anche dalle morti che avvengono tra le mura delle carceri…

R. – Il suicidio è sempre un gesto in qualche modo inspiegabile. È sempre una reazione estrema ed è un gesto su cui è difficile fare generalizzazioni, così come per il reato. Anche questo spesso è un gesto di disperazione. Il carcere è un luogo di disperazione, un luogo dove i livelli di povertà materiale delle persone detenute e delle loro famiglie sono estremi. E’ un luogo dove le percentuali di malattie sono enormemente più alte rispetto a fuori, il disagio mentale è altissimo. Si tratta di una popolazione molto fragile rispetto alla media della popolazione libera che vive una situazione di disagio, di stress, di ansia, di paura per il futuro come si può immaginare.

D. – Per quanto riguarda il numero dei detenuti in custodia cautelare, urgono delle riforme urgenti…

R. – La nostra legislazione è molto esplicita nel dire che la custodia cautelare deve essere una misura estrema, eccezionale. La persona sospettata di aver commesso un reato ha diritto in linea di massima, di principio e di regola a fare il proprio processo in libertà, quindi attendere che si arrivi aduna condanna da libero. La custodia cautelare dovrebbe essere una misura eccezionale e la legge prevede questo in maniera anche piuttosto rigorosa. Altri Paesi con una legislazione meno restrittiva della nostra hanno percentuali più basse di persone in custodia cautelare. L’altro problema è ovviamente la durata dei processi. In Italia durano molto tempo, quindi ci vuole tanto tempo per avere una condanna definitiva e questo comporta che chi si trova in custodia cautelare si trova in carcere più a lungo. Inoltre, il giudice potrebbe anche aver paura di lasciare in libertà un imputato per un periodo così lungo e quindi preferisce ricorrere a questa misura. Indubbiamente ci guadagneremmo tutti da processi più brevi.

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