Genitori e bambini musulmani in un’epoca di terrorismo

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Genitori e bambini musulmani in un’epoca di terrorismo .

“Questi terroristi non sono veri musulmani” è una frase che ho sentito spesso utilizzato da musulmani americani quando si parla di attacchi terroristici commessi in nome dell’Islam.

Recentemente, ho incontrato un’altra versione di questo atteggiamento. I genitori in un scuola islamica domenicale di un suburbio sono stati incoraggiati ad utilizzare un approccio simile quando si parla ai loro bambini circa la recente ondata di attacchi terroristici. L’argomento utilizzato per negare l’identità musulmana degli attentatori è stato quello di denunciare l’incompatibilità morale delle atrocità commesse dai terroristi con la legge islamica, che si oppone all’uccisione extragiudiziale di civili o al suicidio, che sono invece elementi frequenti negli attacchi.

Questa reazione è comprensibile. I modi di vedere degli autori delle stragi e le loro azioni sembrano così aberranti che è impossibile conciliare la loro percezione dell’Islam con quelle della stragrande maggioranza dei musulmani americani. Tuttavia, anche se si può simpatizzare con il desiderio di prendere le distanze dai terroristi, dichiarando che tali terroristi non siano musulmani o siano non “veri” musulmani, tale risposta è sbagliata.

Il primo problema che incontra questa scomunica post eventum dei terroristi è che non è per niente radicata nella legge islamica. Il processo di takfîr (termine che indica la «scomunica» nell’Islam) richiede un’evidenza molto forte ed è difficile oggi sostenere che la maggior parte delle tradizioni giuridiche islamiche siano favorevoli a determinare che persone che compiano tali gesti non debbano più essere considerate come musulmane. Qualcuno può commettere un grave peccato o un crimine terribile, ma queste azioni da sole non rendono la persona un infedele.

In effetti, molti dei terroristi e le organizzazioni che li appoggiano sostengono di essere e si ritraggono come veri seguaci dell’Islam. Daesh (il cosiddetto “Stato islamico”) ha rivendicato la responsabilità per i recenti attacchi terroristici a Bruxelles (marzo 2016), Dacca (luglio 2016), Baghdad (luglio 2016) e Nizza (luglio 2016). I membri del gruppo nigeriano islamista Boko Haram hanno fatto esplodere bombe in una moschea a Maiduguri (gennaio 2016), uccidendo 22 fedeli oltre che se stessi. Omar Mateen, nato in America, che ha ucciso e ferito più di 100 persone in una discoteca a Orlando (giugno 2016) aveva giurato fedeltà al leader di Daesh pochi minuti prima di compiere il suo tiro al bersaglio assassino. Un gruppo affiliato ai talebani pakistani ha preso di mira la comunità cristiana che celebrava la Domenica di Pasqua in un parco di Lahore (marzo 2016), con un attentato suicida.

Anche se l’esatta natura del coinvolgimento di Daesh in ognuno di questi attacchi singolarmente presi non è sempre chiaro, lo stesso gli attaccanti e la loro gestualità ormai di routine invocano giustificazioni islamici per le loro azioni. Si può non essere d’accordo con la loro logica e la loro interpretazione dell’Islam, ma questo non è sufficiente a giustificare la loro scomunica.

In realtà, i gruppi estremisti sono quelli che giocano con l’utilizzo del takfîr perché fanno loro stessi ampio uso di tale condanna contro altri musulmani, ritenendoli infedeli per i loro punti di vista diversi sulla religione: è importante per la maggioranza di musulmani cui noi apparteniamo resistere all’impulso di seguire il loro esempio nel dichiarare tale takfîr verso altri musulmani.

Il secondo problema che suscita il dichiarare i terroristi che si annoverano fra i più fedeli seguaci dell’Islam come non-musulmani è che questo serve ad una specie di auto-assoluzione pericolosa. Se le atrocità vengono commesse nel nome dell’Islam, allora i musulmani hanno bisogno di controllare attentamente quali elementi della loro fede e quali modi di insegnarla potrebbero aver ispirato tale violenza. Tale analisi interna all’Islam può servire come punto di partenza per il cambiamento che deve avvenire e per rivedere l’insegnamento della religione islamica che avviene all’interno delle comunità musulmane per prevenire la diffusione di ideologie islamiste che promuovono l’odio e approvano la violenza. Se invece i fatti violenti sono stati commessi da persone che non erano veri musulmani, allora la comunità si assolve dalla responsabilità di impegnarsi in tale lavoro di introspezione. Se i terroristi hanno una visione completamente errata dell’Islam, allora non c’è motivo per cui noi che siamo la maggioranza dei musulmani abbiamo bisogno di cambiare.

L’importanza di evitare false auto-assoluzione è particolarmente importante quando si tratta di genitori di bambini musulmani. Coinvolgere i giovani in un’analisi introspettiva di quali aspetti della religione (o di qualsiasi ideologia) possano promuovere un malinteso senso di superiorità e così atteggiamenti violenti può consentire loro di diventare partners attivi nel contrastare la crescita dell’estremismo.

Io, come genitore, discuto di terrorismo con i nostri figli, riflettendo con loro anche sul contesto socio-politico più ampio, ma anche su quegli aspetti della tradizione islamica e della storia musulmana che sono spesso stati utilizzati per giustificare atrocità simili.

In questo sono aiutata in parte dall’esperienza di aver conosciuto in Germania la Vergangenheitsbewältigung. Questa parola composta tedesca combina i termini Vergangenheit (il passato) e Bewältigung (il processo di lottare e di superare) e si riferisce alla discussione che è nata sul passato nazista in Germania. Sarebbe stato molto facile scrollarsi di dosso l’ideologia nazista come se coloro che l’avessero sostenuta non fossero stati veramente tedeschi in quanto hanno violato molti ideali della cultura tedesca e i tedeschi sarebbero così stati assolti dal loro fardello storico: la società tedesca, invece, ha scelto di confrontarsi con la sua storia. Gli studenti sono tenuti a visitare i campi di concentramento, a parlare con i loro genitori circa i loro nonni o bisnonni ‘coinvolti’ nel Terzo Reich e sono quindi sensibilizzati dinanzi al rischio del riemergere di ideologie di supremazia o fasciste.

Quando parlo con i miei figli circa gli attacchi terroristici islamisti contemporanei, cerchiamo di impegnarci in un processo di Gegenwartsbewältigung (Gegenwart = presente). Le nostre discussioni non ruotano solo intorno al terrorismo e alla violenza, ma coinvolgono anche più ampie questioni contemporanee di etica, di religione, e toccano anche il processo con cui loro dovranno giungere a prendere decisioni e divenire responsabili. Come famiglia, quotidianamente ci sediamo insieme per ascoltare l’utile Philosophy Bites podcasts by David Edmonds and Nigel Warburton che ci permette di proseguire nelle discussioni su filosofia e religione.

Gli atti terroristici perpetuati richiedono a noi genitori musulmani di impegnarci in conversazioni difficili con i figli. Nascondersi dietro false auto-assoluzioni è un cattivo servizio reso ai nostri figli e alle nostre comunità. La mia speranza è che un processo di Gegenwartsbewältigung favorisca l’apertura mentale e il pensiero critico introspettivo, che è la vera antitesi al sorgere e al diffondersi dell’odio e della violenza.

 

 

Fonte:  di Jalees Rehman pubblicato il 18/7/2016. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.




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