IL CAOS SIRIANO

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siria e guerra
Quasi un mese dopo gli attentati di Parigi, l’Europa si è decisa a intraprendere una guerra aerea contro lo Stato Islamico. Oltre all’aviazione russa e a quella americana, anche i jet francesi e, da un paio di settimane, anche quelli inglesi bombardano i territori occupati dal califfato. E’ una guerra aerea, alla quale presto parteciperà anche la Germania, con i suoi Tornado e una fregata che fungerà da nave di scorta di una portaerei francese.

Ma mentre a Berlino e a Parigi si discute ancora se sia il caso di inviare in Siria anche truppe di terra, il problema di fondo è che manca una vera strategia di guerra: l’Occidente sembra per ora solo voler annientare lo Stato Islamico, ma non sembra aver ancora riflettuto sul futuro della Siria e sul destino di Assad. Il presidente siriano è accusato, prove alla mano, di aver commesso atrocità nei confronti della popolazione. Putin non tradisce il suo tradizionale alleato, mentre Stati Uniti ed Europa sono tentati dall’idea di riabilitarlo per combattere il male peggiore. Per questo motivo l’Occidente sta cercando di trovare un accordo con la Russia. Sarebbe però necessario fin da ora decidere a chi si dovranno affidare le chiavi della Siria, una volta che il califfato nero sarà abbattuto.

E’ un interrogativo non facile, se si considera che in Siria è in atto una guerra civile e confessionale (sciiti contro sunniti, i due rami principali dell’Islam). E’ una guerra di tutti contro tutti, nella quale le forze di Assad e le milizie dello Stato Islamico non sono le uniche a combattersi. Il primo ministro inglese Cameron ha presentato la scorsa settimana un quadro della situazione: ci sono sul campo gruppi di ribelli “moderati” che contano su circa 70 mila combattenti. Oltre a loro ci sono due grandi gruppi islamisti, l’Ahrar al Sham (Uomini liberi della Grande Siria), che conta circa 15 mila miliziani, e il Jaysh al-Islam (Esercito dell’Islam), che ne ha circa 12 mila. Il gruppo Al-Nusra (Soccorso al popolo), alleato di Al Qaeda, ha circa 10 mila persone in armi. I curdi combattono nel nord della Siria, cercando di liberare i loro villaggi e paesi (Kobane ne è stato un esempio positivo) dai terroristi del califfato, che in questi territori si sono macchiati delle violenze peggiori. In questo loro sforzo i curdi sono stati spesso armati e sostenuti dall’Occidente, ma perseguitati dai turchi, che li osteggiano da sempre.

Lo scenario è completato dalle milizie sostenute dall’esterno, come le forze sciite di Hezbollah (il “Partito di Dio” libanese) e le unità iraniane, irachene e afghane. Queste forze, naturalmente, non agiscono in maniera coordinata. Si potrebbe anche pensare che, qualche modo, collaborino tra loro, ma una vera condivisione strategica è resa impossibile dai diversi obiettivi perseguiti dai loro sostenitori esteri (Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar, Iran, Iraq ecc.)

Le truppe dell’esercito siriano regolare sono decimate e demotivate; combattono solo in alcune zone del paese. La loro non può essere considerata una vera forza militare. Anche per questo motivo gli europei sono titubanti sull’invio di soldati: combattere insieme all’esercito di Assad non sarebbe molto proficuo.

La situazione è diventata ancora più incandescente dopo l’abbattimento di un jet russo da parte dell’aviazione turca. Da allora Putin ed Erdogan hanno intrapreso una cosiddetta “guerra per procura”, nella quale i guerrieri curdi (con l’aiuto degli attacchi aerei russi), oltre che combattere contro il califfato di Al Baghdadi, sparano alle forze islamiche sunnite che – anch’esse – guerreggiano con i terroristi dello Stato Islamico. Putin sostiene di aver le prove che la Turchia compra il petrolio dal califfato, Erdogan rivolge la stessa accusa al presidente russo.

Gli attacchi aerei delle ultime settimane hanno iniziato a mettere sotto pressione il califfato. Che non si è ridotto di dimensioni, ma, per lo meno, non ha conquistato nuovi territori. Ma la sua economia di bottino e la sua propaganda hanno bisogno di vittorie. Se nessun paese gli comprerà più il petrolio a basso prezzo o i reperti che provengono da siti archeologici distrutti e depredati, prima o poi non potrà più essere finanziariamente tanto ricco. Se poi lo Stato islamico non verrà più aiutato, militarmente o economicamente da alcuni paesi arabi, il suo arsenale, costituito per lo più da armi e munizioni fornite dall’Occidente all’esercito iracheno, prima o poi dovrà ridursi. E mentre l’Europa considera un intervento anche di terra, forse un’ulteriore intensificazione degli attacchi aerei potrebbe mettere in ginocchio il califfato. Ma solo una condivisione da parte di tutti i belligeranti dell’obbiettivo primario di abbattere lo Stato Islamico avrebbe un impatto decisivo. Ogni paese coinvolto nella guerra in Siria dovrebbe, almeno in una prima fase, mettere da parte i propri interessi strategici.

Stefano Marzeddu




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