Libia, pescatori siciliani: proposta di “scambio di prigionieri”

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Libia. I 18 pescatori, equipaggio dei due pescherecci Antartide e Medinea sono trattenuti a Bengasi dallo scorso 1 settembre dopo essere stati fermati nel Mediterraneo durante una battuta di Pesca. L’accusa degli uomini del governo non riconosciuto del generale Haftar è quella di aver sconfinato in acque territoriali libiche male verità nascoste appaiono ben altre.

Una notizia che non avremmo mai voluto riportare arriva dalla Libia ed attendiamo con ansia che venga smentita (ma l’attesa probabilmente resterà vana). Il giallo riguarda i pescatori siciliani in mano. E’ di queste ore la notizia della proposta di “scambio di prigionieri” anche da parte del governo Serraj.  Per essere precisi il Vicepresidente del Consiglio presidenziale del Governo di Fayez al-Sarraj di Tripoli Ahmed Maitig ha dichiarato nella sua intervista al Corriere della Sera che la soluzione più probabile per la liberazione dei pescatori fermati dal governo libico sarebbe uno scambio di essi con i calciatori libici, ritenuti in Italia scafisti e responsabili della “Strage di Ferragosto” del 2015.

“Lavoriamo assiduamente per la liberazione dei pescatori italiani. Anche oggi i miei collaboratori ne stavano parlando con gli ufficiali di Bengasi. Credo la direzione sia quella dello scambio con i calciatori libici condannati al carcere in Italia”, dice Ahmed Maitig.

“Gli italiani sono attivissimi, lavorano a tempo pieno. Tra i nostri due Paesi esistono trattati per lo scambio di prigionieri. Credo sia questa la strada. Seguiremo le nostre legislazioni in merito. Spero nel successo il prima possibile. Ma non so quando di preciso”, precisa il vicepresidente del Consiglio presidenziale a Tripoli.

Lo scorso settembre il procuratore della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro definiva una “enormità giuridica” l’ipotesi di uno scambio tra i pescatori italiani e calciatori-scafisti libici.

S’affaccia lo spettro del ricatto. Ma ogni margine di trattativa sembra svanire davanti a un processo con imputati considerati responsabili di quella che fu definita «la strage di Ferragosto». Cinque anni fa i quattro libici, tutti fra i 23 e i 25 anni, Joma Tarek Laamami, Abdel-Monsef, Mohannad Jarkess e Abd Arahman Abd Al Monsiff, con quattro marocchini, anche loro condannati e reclusi in carcere, furono accusati di non avere liberato i 49 migranti rinchiusi in stiva. Per questo il procuratore Zuccaro considera l’eventualità di «uno scambio di ostaggi» una enormità giuridica:«Non penso che verremo interpellati, ma da operatori del diritto saremmo assolutamente contrari. Sarebbe una cosa ripugnante».

I 4 giovani libici, chiamati “calciatori” dalle autorità della Libia e ritenuti scafisti in Italia, sono stati arrestati in Sicilia, a Catania, nel 2015.

Sono stati condannati dalla Corte d’assise di Catania e poi dalla Corte d’appello a 30 anni di carcere con l’accusa di avere fatto parte del gruppo di scafisti responsabili della cosiddetta “Strage di Ferragosto” che ha provocato la morte di 49 migranti. Quel giorno secondo la ricostruzione dei 37 sopravvissuti, dopo il guasto al motore l’imbarcazione è stata intercettata da alcuni uomini armati a bordo di un peschereccio, che avrebbero promesso di portarli in salvo in cambio dei loro telefoni, del motore e dei loro soldi. Ma in realtà li avrebbero minacciati e gli avrebbero infine sparato contro, provocando il naufragio.

Secondo la difesa, invece, i quattro non erano altro che semplici calciatori migranti in cerca di un ingaggio in Germania passando per l’Italia.

I 18 marittimi dei pescherecci Antartide e Medinea, salpati da Mazara del Vallo, sono trattenuti dal primo settembre a Bengasi, dopo essere stati fermati dalla guardia costiera della libica. Inizialmente, a 38 miglia nautiche da Bengasi, le motovedette della guardia costiera di Haftar, hanno bloccato 4 pescherecci.

Mentre i rispettivi capitani venivano tradotti di una delle imbarcazioni libiche, due pescherecci sono riusciti a fuggire, mentre Antartide e Medinea, con 14 uomini in tutto, sono state catturate.

Durante l’unica telefonata alla madre, il capitano della Medinea ha comunicato l’arresto e il trasferimento in carcere, in seguito al presunto ritrovamento di panetti di droga. Un elemento che complica la situazione e fa crescere i timori dei familiari per i loro cari. La vicenda, tuttavia, non è stata confermata dalle autorità di Bengasi, che parlano di stato di fermo. Tuttavia i pescatori non sono tornati sulle loro barche e verranno sottoposti a un processo davanti a una corte militare per violazione delle acque territoriali libiche.

Già dopo due settimane dall’arresto era arrivata da parte da ambienti considerati vicini al Generale della Cirenaica, la proposta di uno scambio con quattro scafisti libici arrestati nel 2015 a Catania.

Un quadro destinato ad alimentare polemiche politiche e ad aprire una complessa pagina diplomatica, mentre i servizi di intelligence sono al lavoro invocando riserbo. Ma a temere che il silenzio non aiuti a liberare i pescatori sono i familiari dei 18 siciliani riuniti con gli armatori dei due pescherecci, Antartide e Medinea.

“Si vuole alzare la tensione e forse anche il prezzo della trattativa. Sono convinto che i capi di imputazione siano falsi, i nostri pescatori erano là per lavorare” ha dichiarato qualche giorno fa il sindaco di Mazara del Vallo Salvatore Quinci, aggiungendo: “Sono trattenuti in una zona sotto il comando di un governo non riconosciuto. C’è la sensazione che il generale Haftar stia un po’ giocando con noi. Certamente c’è un disegno, che è quello di mettersi al centro delle attenzioni internazionali”. L’Italia infatti riconosce solo il governo del primo ministro Fayez al Serraj e Haftar da tempo cerca invece un riconoscimento internazionale. Che le trattative siano  molto complicate emerge dalle stesse dichiarazioni del governo  come quella del ministro Federico D’Incà  che nei giorni scorsi ha spiegato: “L’impegno del governo per i pescatori in Libia è massimo ma è caratterizzato come è d’obbligo in questi casi da un basso profilo mediatico e da un’azione sottotraccia”.

Nei giorni scorsi si sono raccolti in un magazzino del porto di Mazara. Decisi a protestare contro «l’inefficienza del governo italiano», come dice Leonardo Gancitano, l’armatore dell’Antartide: «Ci siamo resi conto che con quel pezzo di Libia hanno rapporti solo Turchia e Francia. E quindi abbiamo pensato che forse è meglio rivolgerci a Macron, anziché a Conte…»

L’Italia è sotto scacco di un vero e proprio ricatto e la soluzione tarda ad arrivare. Servono diplomazia  ma anche fermezza. Cedere ad un ricatto sarebbe un segno di debolezza, con fermezza e voce grossa i pescatori vanno riportati a casa e presto!




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