Padre Dall’Oglio tra attesa e speranza

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Nuove speranze di riaverlo sano e salvo arrivano sulla vicenda del rapimento di Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito nel luglio 2013 dagli islamisti in Siria e di cui si sono perse le tracce. Secondo Le Monde, Saleh A., il jihadista pentito che con la sua testimonianza ha consentito di sventare gli attacchi in Germania portando all’arresto di tre ex-complici rifugiati siriani, ha dichiarato agli inquirenti francesi il suo intento di volersi recare a Roma. Obiettivo? Trattare con un certo “Carlos” la vendita al Vaticano di un filmato con la prova che Paolo dall’Oglio sarebbe vivo. Un video in cambio del quale lui e il suo complice Hamza C, tra i tre arrestati in Germania, volevano chiedere 10.000 euro.

Per Soren Seelow, il giornalista di Le Monde che ha indagato sulla vicenda, l’origine del ’progetto Vaticano’ risale al soggiorno del ventottenne Saleh tra le fila dell’Isis. La storia da lui raccontata agli inquirenti francesi racchiude l’intera epopea della guerra civile siriana. Dopo quasi quattro anni nelle prigioni di Assad per aver «insultato il presidente», viene liberato con le amnistie del 31 luglio 2013. Subito si arruola con l’Esercito libero siriano, ma nell’opposizione laica mancano i mezzi e ad agosto decide di raggiungere il Fronte Al-Nusra, filiale siriana di Al-Qaida, prima di tentare l’integrazione nell’Isis, un progetto che non va a buon fine.

Saleh sconta le carceri del Califfato, a Raqqa, fino a gennaio 2014, per poi passare in un campo di addestramento dei jihadisti. Lì entra in contatto con un agente dell’Amni, la polizia segreta dell’Isis. Quest’ultimo, scrive Le Monde, lo informa dell’esistenza di un video di Dall’Oglio, nasce l’idea di venderlo al Vaticano. Nell’aprile 2014 viene prima inviato in Turchia come passeur, poi, nel febbraio successivo, in Europa occidentale. Raggiunge la Grecia su un barcone di migranti, quindi la Germania, dove presenta una richiesta d’asilo.

Ma la sua speranza è arrivare a Roma per trattare la vendita di quel misterioso filmato. Per finanziare il viaggio in Italia, Saleh si deve prima recare a Parigi per recuperare una busta presso un barbiere del diciottesimo arrondissement, ma una volta arrivato a destinazione non trova nulla. Due giorni dopo, il primo febbraio, si presenta nel vicino commissariato della Goutte d’Or. Alla Police Nationale rivela di essere un membro di una cellula dormiente di una ventina di persone, tra Dusseldorf ed un campo rifugiati olandese. Si dice «stanco» e svela il progetto di attentato suicida nel cuore della città tedesca, lo stesso confermato da Berlino. Da allora gli 007 francesi lo tenevano in carcere nel massimo riserbo. Dopo gli arresti in Germania è probabile una sua estradizione.

 

Ma padre Dall’Oglio? Sarà possibile ritrovarlo vivo? La sua è una storia molto lunga.

Era infatti il 29 luglio del 2013 quando la notizia del sequestro di Padre Paolo Dall’Oglio in Siria fece il giro del mondo: voci e smentite si rincorrono da mesi sulla sua sorte e intanto sono già trascorsi due anni da quando le tracce del gesuita romano si sono perse a Raqqa, nel nord del paese oggi “capitale” dello Stato Islamico. Sessant’anni, gesuita romano, per trent’anni e fino all’estate del 2013, Dall’Oglio ha vissuto e lavorato nel suo Paese d’adozione, la Siria, spendendosi in nome del dialogo islamo-cristiano. Con il recente rapimento di quattro lavoratori italiani in Libia è ora uno dei cinque connazionali sequestrati nel mondo. L’ultimo italiano a essere liberato, il 9 giugno scorso, è stato Ignazio Scaravilli, il medico catanese sequestrato anch’egli in Libia a gennaio.

Nel corso dell’Angelus del 26 luglio, Papa Francesco da piazza San Pietro ha riportato il suo caso all’attenzione del pianeta rivolgendo un “accorato e pressante appello” alle “autorità locali e internazionali”, “affinché venga presto restituita la libertà” a “questo stimato religioso”. “Non posso dimenticare – ha proseguito il Papa – anche i Vescovi Ortodossi rapiti in Siria e tutte le altre persone che, nelle zone di conflitto, sono state sequestrate. Auspico il rinnovato impegno delle competenti autorità locali e internazionali, affinché a questi nostri fratelli venga presto restituita la libertà”. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha assicurato che l’impegno del governo italiano per ottenere la liberazione di lui e dei quattro tecnici rapiti in Libia resta massimo.

Noto per aver rifondato, in Siria, negli anni ottanta, la comunità monastica cattolico-siriaca Mar Musa (Monastero di san Mosè l’Abissino), a nord di Damasco, Dall’Oglio è stato per tre decenni animatore di questo che è diventato luogo di riferimento per il dialogo interreligioso e meta di migliaia di visitatori di varie religioni, con la benedizione di Assad e della Chiesa cattolica. Il suo attivismo nei mesi della rivolta gli ha causato l’ostracismo del governo siriano, che minacciò la sua espulsione durante la repressione dei moti di protesta cominciati in forma non violenta il 15 marzo 2011. Espulso per il suo impegno umanitario nel 2012, si è è trasferito a Sulaymanya, nel Kurdistan iracheno, animando la nuova fondazione monastica di Deir Maryam el Adhra. In qualche modo la comunità riuscì a preservarsi come un’oasi di pace nei primi mesi di scontri tra lealisti e ribelli. Tuttavia, nel crescendo di violenze del conflitto siriano, anche il monastero venne attaccato da milizie armate (il Mukhabarat di Assad, secondo gli oppositori; i fondamentalisti, secondo Damasco) e padre Paolo, abbandonando un’impossibile neutralità, cominciò a criticare il regime per la brutale repressione del suo popolo. Prima gli venne imposto il silenzio, poi Dall’Oglio venne espulso nel 2012. Malgrado l’allontanamento, però, il gesuita tornò almeno una volta nei territori controllati dai ribelli nel nord del Paese, prima di sparire. Il suo rientro in Siria, nel luglio 2013, era motivato dal desiderio di impegnarsi in difficili trattative per la liberazione di un gruppo di ostaggi a Raqqa. Mentre si trovava nella città per cercare di riappacificare i rapporti tra i gruppi curdi e i jihadisti arabi, intendendo pure trattare la liberazione del gruppo di ostaggi nella zona orientale del Paese, di Dall’Oglio si sono perse notizie. Il 29 luglio di due anni fa sarebbe stato rapito da un gruppo di estremisti islamici vicino ad Al Qaida. Da quel giorno sulla sua sorte, emergono notizie contraddittorie, mai confermate. Le informazioni circolate negli ultimi mesi lo davano per detenuto in una delle prigioni dell’Isis a Raqqa. Ma anche questa circostanza non ha trovato conferme. Ciclicamente fonti legate ai gruppi terroristici speculano sulla vicenda Dall’Oglio, comunicando che è vivo e che si trova recluso, nelle mani di un gruppo di ribelli piuttosto che di un altro

Per tenere sempre a mente la storia di padre dall’Oglio riportiamo una parte delle sue dichiarazioni a padre Paolo Dall’Oglio dal Messaggero di Sant’Antonio pochi mesi prima del suo rapimento.

Parlando della situazione siriano non fece e meno di evidenziare forti timori sul futuro del paese: “Sono molto turbato dagli eventi, perché la situazione dei cristiani in Siria è disastrosa. Due i motivi: il primo è che la guerra è di per sé disastrosa; il secondo è che le autorità ecclesiastiche si sono schierate per lo più con il regime di Assad, negando la richiesta di libertà e democrazia da parte della popolazione. Una richiesta che è stata repressa dal regime in modo sistematico e disumano. Ci troviamo in una situazione in cui i cristiani non solo perdono le case e tutto quello che hanno, ma vengono addirittura considerati nemici di quel movimento democratico che ha avviato il cammino verso l’emancipazione di una maggioranza sunnita nei confronti di una dittatura che si basava sull’intesa di minoranze.

Nella guerra civile siriana si innesta un conflitto in più: quello tra mussulmani sciiti e sunniti. Dalla parte sciita c’è l’Iran, con ambizioni geo-strategiche legate ad una serie di Paesi. Accanto si colloca l’Iraq a maggioranza sciita, che appoggia esplicitamente Damasco con uomini e mezzi economici. Poi c’è il Libano meridionale, con il movimento politico Hezbollah di Hassan Nasrallah. Dalla parte opposta stanno l’Arabia Saudita insieme con Hariri-figlio in Libano, già schierati contro Assad fin dalla prima rivoluzione. Il Qatar e la Turchia speravano in un’evoluzione del regime di tipo riformista. Delusi dalla repressione furiosa, hanno iniziato ad appoggiare la trasformazione rivoluzionaria. Con la “primavera araba” si sono aggiunti i Fratelli musulmani, sempre più attivi e organizzati.

Il movimento di rivolta è stato possibile anche perché l’Occidente, pressato dal presidente Obama, ha appoggiato le richieste di democrazia che vengono da parte di numerosi Paesi arabi e nordafricani. Ma questo per gli Usa non può non implicare un’emergenza del soggetto politico islamista, perché i mussulmani rappresentano il popolo, o almeno una sua larga fetta. Da qui nasce il problema per l’Occidente.

In passato gli USA, gli Stati europei e Israele hanno spesso preferito supportare i regimi, con la loro mole di corruzione e depravazione, anche a scapito dei cittadini e della correttezza nelle relazioni internazionali. Ne abbiamo avuto un esempio anche in Italia, con i rapporti instaurati con il regime di Gheddafi. Nei paesi il cui da più lungo tempo sono insediati i cristiani, la paura del soggetto islam è stata comprensibilmente usata per stabilizzare i regimi e per attirare su di essi la protezione dell’Occidente, facendo presa sulla solidarietà tra cristiani. Ma questo, a lungo andare, si è rivelato un disastro. E’ stato un disastro in Iraq, è stato poco felice in Egitto, del tutto inopportuno in Siria, non porterà bene in Giordania, e neanche in Palestina. Il fatto è che le famiglie cristiane affrontano queste situazioni di conflitto in un modo semplicissimo: emigrando”.

Qual è la situazione che si profila all’orizzonte in Siria? “L’enorme peccato di omissione di soccorso verso i democratici in Siria, tanto islamisti quanto semplicemente musulmani, o cristiani o altro, ha già provocato tutti i danni possibili: la distruzione del Paese e l’emigrazione delle élite economiche e culturali. E non basta. Ha causato anche una polarizzazione delle varie comunità siriane. Gli alawiti del clan di Bashar al-Assad, così come i curdi, tendono a farsi un loro Stato; i sunniti lasciano le zone controllate dagli alawiti, i cristiani tendono a emigrare. Le prospettive quindi risultano essere più che disastrose se si continua a non far nulla, disastrose se si fa qualcosa adesso. Stiamo piangendo lacrime di coccodrillo. Tutto sta spingendo perché la rivoluzione non abbia successo. La mancanza di una presa di posizione chiara di gran parte dell’Occidente farà in modo che gli islamisti più accesi vadano al potere. Assisteremo a quanto già accaduto in Somalia o in Afghanistan. E, comunque, i cristiani emigreranno tutti”.

Qual è la sua esperienza personale in questa guerra? “Faccio parte di quel settore della società che vuole la riforma democratica. Sono stato per anni tra coloro che hanno spinto per lo sviluppo sostenibile, la trasparenza politica e la lotta alla corruzione. Ma il regime mi ha tolto la residenza. Sono stato espulso e ho intrapreso un’intensa attività, soprattutto pubblicistica, che peraltro sento come un aspetto del mio apostolato. Perché si tratta di operare per la salvezza della gente siriana, non solo con gli uomini e le donne che hanno avviato questa rivoluzione, a con tutte le persone di buona volontà. Si tratta di evitare che finisca in un modo terribile, che un popolo venga massacrato – magari con le armi chimiche – per zittirlo definitivamente.

Noi non vogliamo che la Siria sia il luogo del conflitto tra islamici e Occidente, ma il luogo di riconciliazione di radici mediterranee e identità arabo-mussulmane. I nostri cristiani sono cristiani arabi, una fusione a caldo di civiltà essendo mediterranei, bizantini, siriaci e maroniti. Penso che potremmo tornare a essere i protagonisti di una cultura che è stata per secoli arabo-musulmana-cristiana-ebraica. In questo modo potremmo costruire e vedere la pace nel Medio Oriente, con Gerusalemme città simbolo di una pace finalmente avvicinabile. Dipende dal nostro implicito impegno. giustizia che è da perseguire caparbiamente in tutta la regione vicino-orientale.




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