Papa Francesco: i poveri e i ricchi muoiono, hanno lo stesso destino, come tutti noi, non ci sono eccezioni a questo

285

Udienza affollata quella di Papa Francesco in una giornata in cui Roma è tornata ad essere baciata dal sole. Durante la parabola analizzata da Bergoglio è stato possibile evidenziare coma la giustizia di Dio non possa sopportare che qualcuno viva nel lusso e decida di non tendere la mano a un povero, ben conosciuto, che soffre nella più nera indigenza: questa omissione diventa causa di condanna eterna.
Il vescovo di Roma ha messo l’accento sull’importanza della misericordia ed ha iniziato, come di consueto, il suo incontro con i fedeli porgendo il suo saluto: Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Desidero soffermarmi con voi oggi sulla parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro. La vita di queste due persone sembra scorrere su binari paralleli: le loro condizioni di vita sono opposte e del tutto non comunicanti. Il portone di casa del ricco è sempre chiuso al povero, che giace lì fuori, cercando di mangiare qualche avanzo della mensa del ricco. Questi indossa vesti di lusso, mentre Lazzaro è coperto di piaghe; il ricco ogni giorno banchetta lautamente, mentre Lazzaro muore di fame. Solo i cani si prendono cura di lui, e vengono a leccare le sue piaghe. Questa scena ricorda il duro rimprovero del Figlio dell’uomo nel giudizio finale: «Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero […] nudo e non mi avete vestito» (Mt 25,42-43). Lazzaro rappresenta bene il grido silenzioso dei poveri di tutti i tempi e la contraddizione di un mondo in cui immense ricchezze e risorse sono nelle mani di pochi.
Gesù dice che un giorno quell’uomo ricco morì: i poveri e i ricchi muoiono, hanno lo stesso destino, come tutti noi, non ci sono eccezioni a questo. E allora quell’uomo si rivolse ad Abramo supplicandolo con l’appellativo di “padre” (vv. 24.27). Rivendica perciò di essere suo figlio, appartenente al popolo di Dio. Eppure in vita non ha mostrato alcuna considerazione verso Dio, anzi ha fatto di sé stesso il centro di tutto, chiuso nel suo mondo di lusso e di spreco. Escludendo Lazzaro, non ha tenuto in alcun conto né il Signore, né la sua legge. Ignorare il povero è disprezzare Dio! Questo dobbiamo impararlo bene: ignorare il povero è disprezzare Dio. C’è un particolare nella parabola che va notato: il ricco non ha un nome, ma soltanto l’aggettivo: “il ricco”; mentre quello del povero è ripetuto cinque volte, e “Lazzaro” significa “Dio aiuta”. Lazzaro, che giace davanti alla porta, è un richiamo vivente al ricco per ricordarsi di Dio, ma il ricco non accoglie tale richiamo. Sarà condannato pertanto non per le sue ricchezze, ma per essere stato incapace di sentire compassione per Lazzaro e di soccorrerlo.
Nella seconda parte della parabola, ritroviamo Lazzaro e il ricco dopo la loro morte (vv. 22-31). Nell’al di là la situazione si è rovesciata: il povero Lazzaro è portato dagli angeli in cielo presso Abramo, il ricco invece precipita tra i tormenti. Allora il ricco «alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui». Egli sembra vedere Lazzaro per la prima volta, ma le sue parole lo tradiscono: «Padre Abramo – dice – abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». Adesso il ricco riconosce Lazzaro e gli chiede aiuto, mentre in vita faceva finta di non vederlo. – Quante volte tanta gente fa finta di non vedere i poveri! Per loro i poveri non esistono – Prima gli negava pure gli avanzi della sua tavola, e ora vorrebbe che gli portasse da bere! Crede ancora di poter accampare diritti per la sua precedente condizione sociale. Dichiarando impossibile esaudire la sua richiesta, Abramo in persona offre la chiave di tutto il racconto: egli spiega che beni e mali sono stati distribuiti in modo da compensare l’ingiustizia terrena, e la porta che separava in vita il ricco dal povero, si è trasformata in «un grande abisso». Finché Lazzaro stava sotto casa sua, per il ricco c’era la possibilità di salvezza, spalancare la porta, aiutare Lazzaro, ma ora che entrambi sono morti, la situazione è diventata irreparabile. Dio non è mai chiamato direttamente in causa, ma la parabola mette chiaramente in guardia: la misericordia di Dio verso di noi è legata alla nostra misericordia verso il prossimo; quando manca questa, anche quella non trova spazio nel nostro cuore chiuso, non può entrare. Se io non spalanco la porta del mio cuore al povero, quella porta rimane chiusa. Anche per Dio. E questo è terribile.

A questo punto, il ricco pensa ai suoi fratelli, che rischiano di fare la stessa fine, e chiede che Lazzaro possa tornare nel mondo ad ammonirli. Ma Abramo replica: «Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro». Per convertirci, non dobbiamo aspettare eventi prodigiosi, ma aprire il cuore alla Parola di Dio, che ci chiama ad amare Dio e il prossimo. La Parola di Dio può far rivivere un cuore inaridito e guarirlo dalla sua cecità. Il ricco conosceva la Parola di Dio, ma non l’ha lasciata entrare nel cuore, non l’ha ascoltata, perciò è stato incapace di aprire gli occhi e di avere compassione del povero. Nessun messaggero e nessun messaggio potranno sostituire i poveri che incontriamo nel cammino, perché in essi ci viene incontro Gesù stesso: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40), dice Gesù. Così nel rovesciamento delle sorti che la parabola descrive è nascosto il mistero della nostra salvezza, in cui Cristo unisce la povertà alla misericordia. Cari fratelli e sorelle, ascoltando questo Vangelo, tutti noi, insieme ai poveri della terra, possiamo cantare con Maria: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,52-53).

E’ evidente apprezzare nella parabola come lee antitesi fra il ricco e Lazzaro siano costruite su quattro pilastri: la situazione sociale (l’uno è molto ricco e l’altro è un nullatenente), l’aspetto fisico (l’uno è splendidamente vestito e l’altro è coperto di piaghe), il simbolo del cibo (il ricco festeggia e Lazzaro vorrebbe sfamarsi), il luogo caratteristico (la tavola del ricco e la porta dove il povero giace come un cadavere). Vi sono però alcuni dettagli non trascurabili: Luca non parla tanto di un povero ma di un pitocco, cioè di un indigente, che non solo manca del necessario, ma è pure incapace di procurarselo attraverso il proprio lavoro. Secondo dettaglio: mentre il ricco è anonimo il povero ha un nome, Lazzaro, caso unico nelle parabole.
Con la morte (Lc 16,22), paradossalmente, il racconto si anima divenendo una narrazione dinamica e comunicando una progressione di azioni. Alla morte di Lazzaro segue, immediatamente, il trasferimento nel “grembo di Abramo”, il ricco invece è nell’Ade, fra i tormenti. Nell’aldilà v’è stato un vero e proprio capovolgimento. Il povero desiderava nutrirsi di quanto cadeva dalla tavola del ricco, mentre l’epulone ora anela ad una goccia d’acqua; il povero era piagato e i cani leccavano le sue ferite, mentre il ricco vorrebbe che la sua lingua sia rinfrescata; Lazzaro era affamato alla porta dell’epulone, mentre il ricco ora soffre nelle fiamme.
Tuttavia il lettore fa una sorprendente scoperta: viene a sapere che il ricco conosceva il povero, al punto da poterlo chiamare per nome. Ne consegue che il mancato incontro in vita fra il ricco e Lazzaro non è stato un caso, bensì una scelta esplicita dell’epulone che, pur conoscendo il povero e la sua disperata situazione, non ha operato in suo favore. Appare dunque sorprendente che ora l’epulone solleciti Abramo perché Lazzaro agisca per lui (cfr. Lc 16,24). Formalmente Abramo non risponde alla richiesta del ricco, anzi frustra la sua istanza e torna sul passato dei due uomini. Abramo rilegge l’intera vicenda dei due per mezzo di tre coppie di opposizioni disposte ad arte. La prima coppia (i beni – i mali) è legata ad un primo polo, quello della vita nell’aldiquà; la seconda coppia (essere consolato – essere tormentato) invece è legata ad un secondo polo, quello dell’aldilà.
Abramo offre un’interpretazione della vita del ricco: i beni materiali sono stati l’unico orizzonte della sua esistenza, procurandogli una soddisfazione legata alla durata dei suoi giorni sulla terra. Il patriarca, poi, riafferma semplicemente che le sorti dei due uomini sono state capovolte da Dio, senza però dirne il motivo. La singolare e voluta reticenza intorno al perché del ribaltamento chiede un esercizio d’interpretazione che colga il nesso fra quanto è avvenuto nel tempo della vita e il giudizio divino dopo la morte.

Da qui un forte richiamo alle Beatitudini: chi in vita era ricco ora soffre, chi era nelle angustie adesso è consolato. Nelle beatitudini coloro che ora hanno fame saranno saziati (Lc 6,21), così come Lazzaro desiderava saziarsi (Lc 16,21) di quanto cadeva dalla tavola dell’epulone. Nei guai i ricchi sono minacciati perché hanno già ora la loro consolazione (Lc 6,24), mentre il povero Lazzaro riceve nell’aldilà il conforto che viene da Dio. Nell’una e nell’altra pagina v’è un’opposizione fra ricchi (Lc 6,24; 16,19) e poveri (Lc 6,20; 16,20). Il confronto fra la consolazione che i ricchi hanno già ricevuto (Lc 6,24) e il fatto che Lazzaro sia consolato da Dio illustra quali siano i criteri di giudizio che il racconto parabolico presuppone.
In tutta la parabola v’è una profonda ironia. Quanto infatti Abramo rifiuta di permettere ai fratelli dell’uomo ricco, la parabola lo provvede ai suoi lettori. Ciò che non è permesso nel racconto, il racconto di fatto lo procura. Se ai fratelli non è concesso sapere quanto avviene nell’aldilà, ai destinatari e al lettore invece, proprio tramite la parabola, è offerta la conoscenza del mondo dopo la morte. Essi ascoltano il grido dall’oltretomba e le indicazioni del patriarca come un avvertimento che li invita a prendere una decisione coerente e conseguente nell’aldiquà. Contro ogni richiesta di segni straordinari dall’aldilà il patriarca rimanda all’unico segno disponibile nell’aldiquà, ovverosia la Legge e i profeti. Nell’ascolto obbediente della rivelazione di Dio attestata nelle Scritture si ritrova la verità di essere figli di Abramo, verità che la ricchezza aveva occultato agli occhi dell’epulone, cieco di fronte al povero Lazzaro. Una lezione per tutti e soprattutto per chi ha nelle




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *