Storia –
“Beatrice Cenci, di cui conosciamo anche il ritratto (oggi alla Galleria di Palazzo Barberini, forse attribuibile a Guido Reni), fu violentata dal padre. La ragazza si rivolse al tribunale, ma la denuncia non ebbe corso. Francesco Cenci, il padre, non era nuovo alle violenze sessuali, tanto che fu arrestato e messo in carcere per aver stuprato e più volte abusato di una ragazzina di quindici anni, sordomuta, che prestava servizio in famiglia (le indagini e il processo in tal occasione non sortirono però alcun esito, se non una condanna al pagamento di una multa). Tornando alla tragedia del Cenci è il caso di seguire la cronaca degli eventi: alla violenza del nobile Francesco sulla piccola muta segue lo stupro della figlia Beatrice. Madre e fratelli di lei reagiscono spiccando denuncia. Il padre, onde bloccare lo scandalo e l’inchiesta giudiziaria, sequestra l’intera famiglia, servitù compresa, e la costringe in un castello, dove a sua volta prende dimora per poter così controllare ogni movimento dei congiunti. Ma quest’altra violenza scatena la ribellione dei figli, capeggiati dalla madre: Cenci viene ferocemente assassinato nel proprio letto. Onde mascherare l’omicidio si architetta una disgrazia accidentale; tutta la famiglia, compresi i servi, testimonia che il signore si era affacciato a un balcone della torre, con l’intenzione di godersi uno straordinario tramonto, ed estasiato si era spinto un po’ troppo fuori col corpo. La balaustra sulla quale appoggiava cedeva di schianto: (appassionato di crepuscoli si ritrovava nel vuoto precipitando giù, fino a schiantarsi sul fondo roccioso del castello). La polizia vaticana, che quando si trattava di indagare su vittime di spicco sapeva agire con eccezionale acume scientifico, intuì immediatamente che si trattava di un dramma a sfondo criminoso. L’indagatore capo si rese conto alla prima occhiata che la balaustra era stata abbattuta a colpi di scure e che le ferite fatali di una eventuale caduta erano troppo numerose per un unico impatto, soprattutto collocate in punti sospetti del corpo della vittima. Per l’occasione, come in verità era regola di quegli inquisitori seicenteschi, i familiari e soprattutto i servi maschi e femmine furono sottoposti a tortura. Il processo fu celebrato in una grande sala del tribunale romano e seguito in ogni udienza da una folla sconvolta e appassionata. La sentenza finale decretò la condanna a morte per tutti gli imputati, compreso uno dei figli, (l’ultimo, di soli dodici anni). Su intervento della intera popolazione il pontefice sospese quest’ultima condanna, ma con l’obbligo per il ragazzino di assistere al supplizio di tutti i suoi congiunti, compresa la madre.
Il giorno dell’esecuzione (l’11 settembre 1599) l’intera citta si riversò nella piazza dove era stato allestito il palco per l’orrendo rito. Insomma uno spettacolo di tale violenza e crudeltà da indurre il Caravaggio a riprodurlo in un suo famoso dipinto, “Giuditta e Oloferne”. Il volto di Giuditta assomiglia in modo impressionante all’immagine della Beatrice romana di Guido Reni; toglietele il turbante e la giovane Cenci si tramuterà nella giustiziera di Oloferne dipinta da Caravaggio”.
(Dario Fo, da “Caravaggio al tempo di Caravaggio”, 2004)
Questa lettura di Caravaggio realizzata da Fo, premio Nobel per la letteratura nel 1997, pone l’ attenzione su Beatrice Cenci, nobildonna romana, nata il 7 febbraio 1577, giustiziata per parricidio e poi assurta al ruolo di eroina popolare, per essersi difesa dal padre violento.