Il 6 aprile 2014 ha avuto inizio una guerra civile che ancora oggi dilania l’Ucraina. Da una parte le Repubbliche separatiste del Donbass, dall’altra l’esercito regolare di Kiev: un conflitto che in due anni ha generato migliaia di morti e decine di migliaia di feriti.
Negli ultimi mesi la guerra del Donbass è sparita dai radar dell’informazione di massa occidentale: per tenere alta l’attenzione abbiamo intervistato Sara Reginella, psicologo, psicoterapeuta ed autrice di tre documentari sul conflitto in questione: “I’m italian Donbass”, “Voci” e l’ultimo realizzato, “Le stagioni del Donbass”.
“Le stagioni del Donbass” è il suo terzo lavoro sulla questione ucraina: come si è avvicinata all’argomento?
Avvicinarmi a quest’argomento per me è stata inizialmente una sfida personale. Due anni fa, a pochi mesi dallo scoppio del conflitto, in molti mi dicevano che questa guerra non esisteva poiché i mass media non ne parlavano. Così ho voluto dimostrare il contrario, realizzando il primo video, “I’m Italian”. Quando poi il conflitto è stato diffuso dai mass media, in molti pensavano che fosse lontano da noi, che non ci riguardasse. Così ho cercato di palesare che in realtà siamo tutti collegati, e ho realizzato il secondo short-video “Voci”, sulle connessioni tra la guerra nel Donbass e le problematiche lavorative che hanno colpito l’Italia, a causa delle sanzioni alla Russia. Quando infine in molti mi hanno fatto notare che, nonostante tutto, siamo impotenti e non possiamo cambiare la realtà, ho pensato a “Le stagioni del Donbass”. Oltre a testimoniare quello che è accaduto in questi due anni, dal colpo dal golpe di Kiev all’esplosione del conflitto, ho voluto implicitamente dare questo messaggio: tutti noi possiamo attivarci in prima persona per contribuire a cambiare la realtà. Possiamo lottare: grazie all’informazione indipendente, oggi vi è un numero enorme di persone consapevoli di quello che è realmente accaduto nel Donbass, Due anni fa, eravamo in pochissimi. Io ho dato solo un piccolo contributo, ma questo è un esempio di come le cose possano cambiare.
Non solo documentari e conferenze, lei si è anche recata in prima persona nei luoghi martoriati dalla guerra: sente un legame particolare con le popolazioni del sud-est ucraino?
Lo sento verso di loro e, più in generale, verso le persone che soffrono e sono oppresse. Prima di essere regista, sono psicoterapeuta e la mia attività si basa sull’alleviare il dolore degli altri. Sto cercando di riportare questo tipo di sensibilità nei miei lavori video. [quote_right] “Prima di essere regista, sono psicoterapeuta e la mia attività si basa sull’alleviare il dolore degli altri” [/quote_right] Sto cercando di riportare questo tipo di sensibilità nei miei lavori video. M’interessa stare accanto a chi è in pena e sostenere chi vuole migliorare la propria conoscenza su ciò che accade, e che spesso è censurato dai mass media. Detto questo, ho avuto la possibilità di recarmi in quelle aree dopo una conferenza cui ho partecipato come relatrice un anno fa, presso l’Università di Psicologia di Rostov. A tutto ciò aggiungo la mia affinità verso i popoli di cultura russa: qualcosa d’irrazionale, una tensione emotiva verso i paesi di una terra sconfinata che ho sempre sentito intimamente molto vicina.
Ne “Le stagioni del Donbass” lei intervista lo scrittore Nicolai Lilin, l’antropologo Eliseo Bertolasi e il vignettista Vauro: come ha scelto i suoi interlocutori?
Con Eliseo Bertolasi vi è un rapporto di stima professionale e amicizia nato durante il mio primo lavoro “I’m Italian”, in cui compaiono parti dei preziosi reportage realizzati durante le sue spedizioni nelle Repubbliche di Lugansk e Donetsk. Con “Le stagioni del Donbass” volevo dare più spazio ai suoi lavori ed intervistarlo, data l’importanza delle sue testimonianze, sia come reporter che come antropologo. Insieme abbiamo pensato di coinvolgere Nicolai Lilin e Vauro Senesi. Essi sono tra i pochi opinion leader italiani che con intelligenza e passione hanno testimoniato e raccontato la tragedia della guerra nel Donbass. Sono grata alla loro opera. Sono stati un punto di riferimento importante per quanti volevano capire quello che accadeva. Ringrazio loro e ringrazio anche i miei preziosi collaboratori: Michele Senesi per l’editing e la post-produzione e Alec Dreiser per la colonna sonora.
Quali sono le maggiori difficoltà che si affrontano quando si gira un documentario in uno scenario di guerra?
Uno dei rischi maggiori è rappresentato dalla possibilità di perdere la vita nel momento in cui si catturano le immagini sul posto. In questo senso, ho utilizzato riprese effettuate da me solo su “Voci”. Sia su “I’m Italian” che su “Le stagioni del Donbass” ho utilizzato video e foto che mi hanno gentilmente concesso altri reporter. L’altra difficoltà è connessa al rischio di scivolare nel filone della propaganda. Volevo che i miei lavori trasmettessero emozioni ma, allo stesso tempo, non volevo manipolare la realtà né annullare il senso critico delle persone attraverso di esse. Ho così evitato di usare, ad esempio, strategie basate su una “pornografia emotiva” delle immagini, limitando al massimo l’uso dei video con cadaveri o altro materiale “splatter”. Ho anche evitato di strumentalizzare i bambini, i cui volti che ho visionato dai video erano davvero quadri di terrore. Li ho oscurati tutti, pixellizzandoli. Allo stesso tempo, ho abbinato informazioni che bilanciassero con dei contenuti concreti le parti più emotivamente coinvolgenti. Consapevole che ogni progetto video è connesso con un processo in parte manipolatorio della realtà, poiché l’obiettività assoluta non esiste nello sguardo di nessuno, mi sono ovviamente interrogata anche sui ruoli giocati nel conflitto dalle varie potenze. È chiaro che se in un documentario presenti una fazione come positiva e una come negativa, rischi l’accusa di proselitismo. In questo senso, ho cercato di essere sempre rispettosa nei confronti del popolo ucraino, per non innescare sentimenti di odio. Ma, per quanto riguarda il ruolo della NATO, e quindi degli Stati Uniti ed Europa nei diversi conflitti, considerando le guerre che stanno scatenando e sostenendo, dal Donbass al Medio Oriente, per me è una fatica immensa trovare elementi che non siano negativi.
In tutti i suoi lavori e in molte interviste lei ha evidenziato la mala informazione occidentale sulla guerra nel Donbass: secondo lei quali sono i motivi che alimentano questa disinformazione?
I mass media non sono liberi di raccontare la verità, e cioè che l’Occidente sta martoriando popolazioni d’interi paesi pur di avere la supremazia economica, politica e culturale. Aggiungo che mentre tutto questo avviene e causa milioni di morti, anche noi qui abbiamo parecchi problemi. In Italia, ad esempio, molte persone sembrano rassegnate e disposte a sopportare soprusi: dalla sanità che è diventata un lusso per pochi ai lavoratori spogliati sempre più dei propri diritti. Anche se molti mass media gettano nebbia sui reali motivi di questi soprusi, disinformando, dobbiamo resistere in Italia, in Siria, in Libia, come nel Donbass, dobbiamo reagire a questa disumanità alla quale ci sottopongono quotidianamente. Perché si tratta di stati disumani. Il problema è che spesso non ce ne rendiamo conto perché ci stiamo abituando a mangiare escrementi. Ci vogliono come pecore che mangiano escrementi. Se ci informassero, non raggiungerebbero tale obiettivo.
Negli ultimi mesi la stampa sembra aver dimenticato la situazione ucraina: ha notizie riguardo la vita quotidiana nei territori del Donbass?
La vita in quei luoghi è dura. Molti villaggi sono stati distrutti, i danni alle infrastrutture sono enormi. Oltre alle migliaia di morti, vi sono molti feriti e mutilati che avrebbero bisogno di interventi costosi per tornare alla propria vita. Molte aree sono pericolose a causa delle mine diffuse nel territorio. La Russia sta facendo molto a livello di aiuti umanitari. Durante il mio viaggio a Rostov ho avuto modo di parlare con esponenti della Croce Rossa, il cui lavoro è enorme. Ma anche molti Italiani come Oxana Velesova o Ennio Bordato, presidente dell’associazione “Aiutateci a salvare i bambini Onlus”, stanno facendo moltissimo a livello volontario per aiutare le popolazioni colpite. Invito chi volesse rendersi utile a contattarli anche via internet per dare loro una mano.
Ha in progetto di tornare a visitare le Repubbliche di Donetsk e Lugansk?
Con il cuore sono ancora in quelle terre e ci resterò a lungo. Fisicamente, spero di tornarvi presto.