Ucraina: l’intervista di Mirko De Carli sul conflitto

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Ecco una parte dell’intervista rilasciata da Mirko De Carli (PDF) sul conflitto in Ucraina.

Forse una via da percorrere potrebbe essere quella del sì alla difesa degli ucraini, del no alla Nato, del sì all’Onu e all’Unione europea, e del sì alle concessioni alle minoranze russe?

Ci vuole un accordo diplomatico multipolare.

Onu, appunto…

L’Onu oggi è limitata…

Ma l’Ucraina può difendersi, ed essere aiutata in questo, militarmente, tenendo fuori la Nato?
Cioè, appunto: sì Europa, sì Onu, no Nato?

Credo che la lettura che ha dato il segretario di Stato vaticano Parolin sia ancorata alla Dottrina
sociale della Chiesa cattolica, nel senso che c’è un diritto alla difesa nel caso in cui si venga attaccati ingiustificatamente da uno Stato straniero, e ci sia anche la possibilità di difendersi con le armi. Quindi è ancorato ai valori della DSC. Dentro a questo, ha dato un’interpretazione della possibilità di inviare armi a sostegno di una giusta difesa come un’ipotesi non deprecabile. Chiaro che è una lettura che va guardata minuziosamente, non ha dato una lettura del tipo “bravi, mandate le armi all’Ucraina”, che sarebbe una smentita delle dichiarazioni del Papa; ha detto semplicemente appunto che gli aiuti militari possono essere comprensibili in quest’ottica. Ovvero, se un Paese ha
bisogno di essere aiutato e difeso perché è stato aggredito, può essere che uno Stato straniero possa
aiutarlo: ecco, questa è l’ottica con cui si è vista anche la difesa con cui si sono aiutati gli Stati che
erano attaccati durante le guerre. Quindi la Nato no, non va compresa, perché la Nato interviene
come strumento di difesa e non di attacco, e di difesa degli Stati che ne fanno parte, quindi già di fatto l’Ucraina è fuori da tutto questo, perché l’Ucraina non fa parte di questo patto militare e quindi
non può essere compresa, ovviamente. Gli aiuti militari non a caso sono stati mandati con un voto
parlamentare, un voto parlamentare di ogni singolo Stato, e non è stato chiesto nessun parere preventivo o confermativo al Consiglio direttivo della Nato.

Quindi? Sì è fatto bene? Ci sono pressioni Usa? Non bisogna difendere la democrazia, che ha un prezzo?

Sono convinto che quello che ha ripetuto anche il Papa più volte, anche nelle ultime ore, sia il punto fondamentale da cui attingere ragionevolezza e a cui fare riferimento nelle prese di posizione che si devono assumere. È evidente che dare armi a chi resiste non è un atto che pone quel Paese che lo fa nell’ottica del raggiungimento di un obiettivo di tregua del conflitto e di potenziale pace. Questo è il punto. Per far sì che la pace si persegua non vanno armati nessuno dei competitor presenti sul campo; bisogna aprire un tavolo di trattativa vero, dove siano coinvolte le potenze di questa nuova società globalizzata multipolare – Cina e Stati Uniti in primis – e che si possa trovare un’intesa attraverso la quale creare le condizioni per una pace vera e una stabilità e serenità autentica nel territorio ucraino. Dobbiamo finirla con la mediatizzazione, mediaticità di questo conflitto, con la demagogia troppe volte praticata sia nel mondo occidentale che nel mondo russo per solleticare i consensi dei propri cittadini, e creare le condizioni affinché tutte le parti trovino una risposta adeguata alle proprie aspettative per evitare lo spargimento continuo di sangue e per evitare che muoiano altre migliaia di donne e uomini civili inermi in territorio ucraino. Questa è la sfida che dobbiamo percorrere. Le pressioni statunitensi ci sono, sono indebite e sono tese a mantenere un clima di scontro con la Federazione russa per interessi economici evidenti, per far sì che l’Europa si sganci da un rapporto economico strutturato e sviluppato con la Federazione russa, e che diventi un partner sempre più vincolato sotto il profilo economico e finanziario col mondo statunitense. La democrazia non si esporta, la democrazia non si difende, la democrazia si vive e si testimonia. Per questo noi abbiamo il dovere di vivere con pienezza il processo democratico nel nostro Paese e vivere con pienezza il processo democratico nel nostro Paese vuol dire praticare, attuare la Costituzione, che all’articolo 11 vieta al nostro Paese di inviare armi ad un altro Paese. Non è dentro al quadro dei principi che hanno animato il processo democratico rinato in Italia dopo il fascismo, l’andare a finanziare, armare altri Paesi in un conflitto, soprattutto quando l’Italia non è dentro a quel conflitto e quando l’Italia non è in guerra in quanto l’Italia ripudia la guerra e la pratica solo nel caso in cui la propria sovranità nazionale venga attaccata da un eventuale attacco straniero con forze armate. Questo è quello che siamo chiamati a fare per difendere la democrazia; altre esperienze non hanno portato bene, e la storia ce lo insegna.

Ma quello di Putin è un attacco alla democrazia occidentale, che lui ritiene profondamente corrotta, e quindi ci siamo dentro anche noi come cittadini italiani. Del resto, il vuoto di valori dell’Occidente non fa che fomentare l’aspetto blasfemamente messianico del putinismo, non credi?

Ci sono alcune dichiarazioni rilasciate dal Presidente della Federazione russa che portano al loro interno elementi di riflessione e di forte necessaria autocritica per noi occidentali. È evidente che queste dichiarazioni non possono essere assunte a giustificazione delle scelte sbagliate, inaccettabili, che Putin ha preso rispetto al conflitto ucraino e rispetto alle scelte di politica estera adottate in quest’ultimo periodo, che necessariamente vanno condannate e contrastate. Ma sono elementi che arrivano da un mondo distante dal nostro e che non possono che interrogarci. È
evidente che le difficoltà con cui noi occidentali stiamo attraversando questo periodo di grave conflittualità mondiale pongono in essere gravi dubbi sulla consistenza del progetto sociale e culturale e dell’edificio comune del mondo europeo e del mondo occidentale nel suo complesso.
Non abbiamo più ragioni valide per cui sostenere la nostra proposta a livello internazionale e renderla attrattiva per altri mondi e per altre comunità. Non è un caso che più volte abbiamo ricevuto da parte del Presidente Zelensky inviti a metterci in campo, a prendere posizione in maniera robusta, diretta sulla vicenda del conflitto ucraino-russo, con anche toni a volte eccessivamente forti, eccessivamente sprezzanti nei confronti del nostro mondo e non abbiamo mai avuto la capacità di esprimere una posizione precisa con delle ragioni identitarie fortemente radicate
nella nostra storia e condivise all’interno della nostra comunità. Spesso ci celiamo dietro ad una solidarietà estremamente diffusa, che è una modalità con cui nascondere le grosse difficoltà nel prendere posizioni chiare e nette rispetto ai fatti di politica internazionale che ci interrogano. È evidente che l’Occidente ha perso la sua natura identitaria e va inevitabilmente ricostruita. Questo grande tema lo vediamo molto chiaro all’interno del contesto europeo, dove non si è mai riusciti a strutturare una vera e propria Costituzione dell’Unione europea, capace di marcare con precisione e dettaglio il recinto valoriale e culturale del contesto comunitario. In questo senso quindi l’appello di papa Francesco è l’unico che ha dentro di sé quei connotati che richiama nei suoi discorsi Putin, ed è per questo che è avversato con forza dal fronte opposto al mondo occidentale, perché smonta le loro narrazioni di attacco all’Occidente e dà una speranza di reazione al nostro mondo decadente. Il suo appello a non armare l’Ucraina, a costruire un terreno di trattativa diplomatica capace di garantire pace e prosperità per il territorio ucraino e la decisione di non chiudere i rapporti col mondo orientale ora in conflitto, ma dialogare anche in questi tempi difficili col patriarca Kirill – il patriarca delle chiese ortodosse di Russia – è la conferma precisa della volontà del Pontefice di
costruire un terreno di dialogo multipolare e di creare le condizioni affinché la pace sia possibile. È la risposta più forte che arriva dal mondo occidentale ed è quella a cui tutti noi dovremmo guardare per far sì che non venga utilizzato da parte di Putin un messaggio di critica al mondo occidentale ragionevole e corretto come arma contro il nostro mondo. Dobbiamo riorganizzarci, dobbiamo ritrovare linfa nelle nostre radici e dobbiamo diventare una comunità capace di essere proposta attrattiva per il mondo, per le altre comunità e gli altri Stati distanti da noi.

Il grande movimento di solidarietà fattiva verso il popolo ucraino sollevatosi in Europa è un segno di quella speranza di reazione del nostro Occidente decadente a cui hai accennato? Non è invero una risposta in qualche modo, magari ancora solo germinale, all’appello del Papa e anche a quello della Regina della pace di Medjugorje, tenuto conto che il Papa e la Madonna di Medjugorje sembrano proprio parlare all’unisono a favore degli oppressi? E tra gli oppressi, oltre in primis a quello ucraino, non c’è anche il popolo russo prigioniero di una dittatura che utilizza la chiesa ortodossa anacronisticamente come instrumentum regni, sostituendo, per citare papa Francesco, alle parole del Vangelo quelle della politica e avvicinando pericolosamente il cristianesimo al fondamentalismo islamista, come fosse un mero progetto e disegno politico, nella prospettiva inaccettabile di un messianismo terreno?

Credo che sia la conferma della vitalità del nostro mondo occidentale che ancora dentro il cuore di milioni di persone trova una risposta di bene verso chi soffre. Vuol dire che ancora il cuore batte, e questo in un soggetto degente – il soggetto degente è il nostro continente, è l’Occidente, è l’Europa – è qualcosa d’importante. Questi segnali di carità praticata ci confermano che se saremo capaci di accogliere il messaggio di speranza, di proposta, identitario, proposto da papa Francesco, unico leader di questo mondo occidentale, potremmo essere capaci davvero di riportare vitalità al nostro continente e al nostro Occidente. Credo che la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria che ha
scelto come strada da percorrere papa Francesco per la Russia e per l’Ucraina, per i due popoli in conflitto, sia la conferma del fatto che oggi più che mai ci sia bisogno di un radicamento forte a quell’esperienza cristiana che proprio nella parola e nella concretezza dell’esperienza della salvezza trova la sua linfa e la sua ragionevolezza. Le parole anche della Madonna di Medjugorje vanno in questa direzione, e credo che più che mai oggi abbiamo bisogno di un forte radicamento spirituale anche del nostro essere comunità. Il popolo russo da sempre è un popolo che ha vissuto dei percorsi di domíni ideologici violenti e drammatici, uno tra tutti l’esperienza del lungo percorso dell’ideologia comunista dell’Unione Sovietica. La chiesa ortodossa va considerata come un’esperienza di fede quanto tutte le altre presenti all’interno del contesto globale; non dobbiamo cadere nell’errore di attaccare col dito puntato la chiesa ortodossa russa. Bene ha fatto papa Francesco a dialogare col patriarca Kirill nei giorni difficili in cui alcuni interpretando in maniera inopportuna le parole espresse dal patriarca rispetto al conflitto in Ucraina avevano puntato il dito contro di lui, ritenendolo un vassallo di Putin. La chiesa ortodossa russa ha una grande storia, ha una grande tradizione e soprattutto è una voce importante del mondo orientale, che va tenuta in forte considerazione e con la quale occorre dialogare, con la quale occorre trovare punti d’incontro come furono trovati tra papa Francesco e Kirill nell’ultimo incontro che ebbero a Cuba. In questo senso credo più che mai che oggi sia fondamentale che l’Occidente proprio dentro una chiave di lettura diversa che riguarda gli altri continenti, gli altri poli di questa nuova società multipolare, debba ritrovare all’interno del contesto politico delle radici ben identificate, ben chiare, che non possono negare il fatto che alcune di queste radici abbiano una matrice religiosa e quindi cristiana.

Fonte: www.lacrocequotidiano.it




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