Cinema – Film – “I Villani” per sapere tutto sul mondo della cucina italiana

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I Villani – Oggi vi scrivo di un film curioso e che ha un argomento che sta a cuore alla maggior parte degli italiani quello del cibo. Per mangiare cibi favoriti essere capaci di cucinare è molto importante al fine di prepararsi succulente prelibatezze. Purtroppo però la cucina italiana sembra attraversare un periodi di crisi: amata ma copiata in tutto il mondo sta risentendo del fenomeno imitativo troppo spesso di livello inferire rispetto alla genuinità ed al sapore per il palato dell’opera originale degli italici ingredienti e degli italici cuochi o cuoche.

Tutto questo e molto di più lo troviamo, nel film in uscita a metà mese, “I villani”, di Nicoletta Gemmi con la partecipazione di Alessandro Mannarino, Daniele Sepe, Daniele Di Bonaventura, Davide Della Monica, Marco Bardoscia, Massimiliano Sacchi.

La storia de I Villani è presto narrata: la cucina popolare italiana, amata e imitata in tutto il mondo, sta morendo. Ma in tanti provano a salvarla. Il film segue quattro personaggi dall’alba al tramonto, da inizio a fine giornata di lavoro. Il passare delle ore scandisce la presentazione di ogni personaggio. Li si vede inizialmente nei loro spazi, nelle loro mansioni, per poi addentrarsi nelle loro difficoltà quotidiane. Al calar del sole emerge la soluzione, attraverso la loro etica, il loro sapere, la comunità che creano, l’eredità che lasciano. Sono stati scelti quattro personaggi che potessero rappresentare la cucina italiana, rispettando le varie caratteristiche che la compongono: Nord e Sud, uomini e donne, giovani e anziani. Quattro “villani” che parlano di agricoltura, pesca, allevamento, formaggi e cucina familiare. Quattro personaggi che nel loro fare quotidiano rappresentano la sintesi delle infinite resistenze e reticenze ad adottare un modello gastronomico e culturale uguale in tutto il mondo. Quattro personaggi con le loro famiglie per poter verificare se la cucina italiana sia ancora un patrimonio vivo, se il passaggio di informazioni tra generazioni esiste ancora, se la cucina italiana così come l’abbiamo ereditata si salverà o scomparirà”.

Cos’è la cucina italiana? Come si è costruita nel tempo? Cos’è successo con l’avvento della modernità al patrimonio culturale italiano? Che conseguenza hanno avuto i cambi di abitudini alimentari, la globalizzazione del commercio, le regolamentazioni sanitarie su tutte le pratiche tradizionali alla base della gastronomia italiana? Questa serie di questioni si affronta ne I Villani attraverso l’incontro con i personaggi tra cucine, campagne, mercati, nella loro vita sociale, nelle loro pratiche quotidiane. Nel loro cucinare emerge una grande umanità nell’intendere il cibo come atto non prettamente alimentare, ma sociale, non decontestualizzato quindi dalle problematiche della vita, figlio di un sapere e di una prassi familiare e collettiva, accessibile a chiunque, di qualsiasi classe sociale, e da cui non si può prescindere, pena la sua estinzione. C’è un’intrinseca coerenza in ogni passaggio di quella che chiamerei filiera familiare, dal seme conservato da generazioni all’allevamento dei maiali per i bisogni dell’intero inverno, per finire al rispetto dei tempi e degli ingredienti in cucina, in un continuo passaggio di consegne tra nonne e nonni, figli, figlie e nipoti. Ma la contemporaneità è andata a spezzare un’attitudine culturale che permetteva a chiunque nella comunità di saper mangiar bene, mettendo in crisi non solo gli strumenti per il proprio approvvigionamento e sostentamento, ma andando a incidere inesorabilmente sui meccanismi cognitivi che sottintendevano quel sapere, che era collettivo e individuale al contempo. Sono cambiati i termini economici che regolano la produzione e la vendita degli ingredienti, che non sono più prodotti atti all’alimentazione del genere umano, ma prodotti economici regolati dalle normali regole del mercato attuale. E’ cambiato il modo di intendere l’alimentazione, tra salutismo, igienismo, consumismo e omologazione. Ognuno di questi aspetti diventa atto regolamentato da norme che nei fatti non permettono più di praticare l’agricoltura, la pesca, la cucina nel modo in cui si è sempre intesa. Di conseguenza, queste donne e questi uomini, nella loro quotidiana opposizione all’evolversi dell’idea di cibo attuale e delle sue conseguenze sull’economia, sono testimonianza di un modo diverso di intendere il cibo. E’ proprio nella quotidianità, nei loro rapporti, nella loro cucina, nelle persone che loro incontrano che ci si accorge della loro capacità di rendere questa intrinseca resistenza come pratica collettiva, in contrapposizione a un sistema che li voleva asserviti, omologati, snaturati, emarginati. Emerge così un altro modello di rapportarsi al cibo e alla natura, un altro modo possibile di vedere il cibo, dunque il mondo.

Nicoletta Gemmi parlando del film “I Villani” ci racconta il lungo lavoro che vi è dietro la lavorazione della pellicola: “Questa gente mi raccontava il suo stare al mondo, il suo rapportarsi alla terra e alla storia del luogo che le aveva dato nascita. Era in questo intessersi delicato, talvolta ironico, talvolta doloroso tra i racconti intimi del loro vissuto e il loro cucinare con perizia, intelligenza, senso dell’osservazione che veniva fuori il senso più profondo della cucina italiana: il suo essere saggia, gustosa, parsimoniosa, rispettosa dei prodotti della terra e del mare. Questa gente mi mostrava in quei gesti sicuri di quanto la modernità andasse in conflitto radicale con quella cultura. Un conflitto che andava al cuore del problema. Per mangiar bene bisogna rispettare i tempi della cucina, bisogna rispettare le stagioni, la terra e il mare, tutto ciò che la modernità non fa più. Ne viene fuori un conflitto tra le parti, una resistenza, una proposizione di un nuovo vivere che benché ancorato al passato diventa attuale e vitale. In questi quindici anni di lavoro, passati creando libri e spettacoli che unissero la cucina e l’arte, l’esplorazione veniva raccontata da me in prima persona, facendo venir fuori il mio punto di vista su cosa fosse per me la cucina. Quello che mi ha emozionato e che voglio condividere è l’esistenza di persone capaci, realmente capaci, di creare e ricreare il gesto e di costruire un sapere vivo attorno a questo gesto. La loro esistenza è prioritaria rispetto alla mia elaborazione e il mio sguardo vuole fermarsi affianco a loro, per far incontrare le mie urgenze ideali e in fondo politiche con la loro quotidianità di gesti, luoghi, volti e parole. Il cinema documentario è lo strumento che può permettermi di far succedere questo incontro: non rinuncio al mio sguardo, ma lo lascio vivere dentro la loro realtà. Per questo il film arriva alla fine di un lungo periodo di ricerca, dopo il quale voglio finalmente poter vivere del tempo con le persone che questa lunga ricerca mi ha dato la possibilità di scoprire. E’ come se fin qui le avessi sfiorate, gustate. Ora ho voglia di stare con loro e con loro far crescere la narrazione e il significato. Dentro di me e verso il pubblico”.




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