Cinema – Film – Il medico di campagna

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Cinema – Film – Il medico di campagna

Ancora una volta la commedia francese fa centro e ci dona un film tutto da vivere durante le festività natalizie. Appassionante, amabile, empatico “il medico di campagna non è una cosa che si impara” è una storia tutta da seguire.
Il medico di campagna che racconta la storia di Jean-Pierre (interpretato da François Cluzet), un medico di campagna devoto al proprio lavoro e dotato di una straordinaria empatia nei confronti dei suoi pazienti. È una storia di forte umanità, per la regia di Thomas Lilti – già noto per il suo apprezzato Hippocrate – che riprende con questo film una tematica che gli è molto vicina perché, prima di dedicarsi alla regia, esercitava la professione di medico.
Tutti gli abitanti di un paesino di campagna possono contare su Jean-Pierre, il medico che li ascolta, li cura e li rassicura giorno e notte, sette giorni su sette. Malato a sua volta, Jean-Pierre assiste all’arrivo di Nathalie, che esercita la professione medica da poco tempo e ha lasciato l’ospedale dove lavorava per affiancarlo. Ma riuscirà ad adattarsi a questa nuova vita e a sostituire colui che si ritiene… insostituibile?
Abbiamo chiesto al regista Thomas Lilti per quale motivo dopo aver diretto HIPPOCRATE, ha avuto voglia di raccontare la storia di un medico di campagna?
“Prima di dedicarmi al cinema, facevo il medico. Grazie alla mia professione ho avuto modo di fare delle sostituzioni in ambiente rurale. Quegli anni durante i quali, da giovane interno, sono stato chiamato a fare le veci di medici di grande esperienza che esercitavano in campagna, mi hanno molto aiutato a crescere. Una volta diventato regista, mi è naturalmente venuta voglia di trasformare tutto il materiale che avevo immagazzinato in precedenza in un film. Dal punto di vista di uno sceneggiatore, la figura del medico di campagna è in assoluto tra le più romanzesche.
L’unico vero punto in comune tra i miei due film è il rapporto con la professione. HIPPOCRATE è in primo luogo un film d’iniziazione, più o meno autobiografico, che racconta l’ambiente ospedaliero e conduce lo spettatore dietro le quinte di quella società in miniatura che è un ospedale. Nulla di tutto questo è presente in IL MEDICO DI CAMPAGNA. Qui il protagonista è un medico generico di grande esperienza e ho voluto più che altro descrivere la pratica medica, l’esercizio della medicina”!.
Il medico di campagna è un autentico eroe popolare, la gente lo ama… E la sua particolarità è di appartenere a una specie in via d’estinzione.
“Bisogna impedire che la desertificazione della sanità guadagni terreno e adottare tutte le misure necessarie per evitare che questo tipo di medici scompaia. Per me si tratta di un presupposto sociale tra i più importanti e ho scelto di inserire questa problematica nel centro del film. A causa dell’abbandono delle campagne, è una professionalità che purtroppo tende a scomparire. Di conseguenza, il medico di campagna è più che mai percepito come un eroe positivo. Incarna un ruolo sociale tra i più importanti, è colui che assicura la comunicazione tra le generazioni e lotta contro l’isolamento e la solitudine dei suoi pazienti. Quello che mi stava a cuore facendo questo film era rendere omaggio a un mestiere di cui ho compreso a fondo l’importanza quando da giovane medico facevo delle sostituzioni in Normandia o nelle Cevenne. In quelle occasioni ho avuto modo di frequentare donne e uomini eccezionali”.
Per incarnare questo eroe popolare ha scritturato un attore molto popolare, François Cluzet. Sta in questo la ragione della sua scelta?
“Non c’è niente di più insignificante di proporre il ruolo principale di un film a un attore molto popolare! Mi sembrava coerente e naturale chiedere a François Cluzet, che è molto amato dal pubblico, di interpretare il ruolo di un medico di campagna”.
Ha scritto la sceneggiatura pensando a lui?
“Mi capita di rado di scrivere pensando agli attori che reciteranno le parti, ma ho in mente un’immagine abbastanza precisa dei personaggi. Nel momento in cui la sceneggiatura si precisa, iniziano ad apparirmi dei volti. E così, molto rapidamente, François è diventato per me una priorità. Vedevo una precisa correlazione tra lui e l’immagine che si costruiva nella mia mente, frutto di un incrocio tra la mia fantasia e i medici che ho realmente conosciuto”.

Come ha lavorato con lui per riuscire a ottenere una tale giustezza nei gesti, nel modo di avvicinare il paziente, di ascoltarlo?
“François Cluzet si è dedicato molto alla preparazione del film, esattamente come Marianne Denicourt. Peraltro, su proposta di François, abbiamo deciso di sperimentare due metodi piuttosto singolari. Il primo consisteva nel togliere ogni forma di punteggiatura dal copione! In alcune circostanze è stato difficile per i tecnici riuscire a seguire il testo, ma quest’operazione ha avuto il merito di azzerare tutte le intenzioni della sceneggiatura e di conseguenza di far sentire più liberi gli attori. Non c’era più nulla di fisso. Il secondo è stato di organizzare delle letture con tutti gli attori del film, senza alcuna eccezione. Penso che queste letture collettive abbiano contribuito a rafforzare la coesione della squadra e a creare tra noi un’autentica atmosfera da paese”.
François Cluzet e Marianne Denicourt hanno trascorso del tempo con un vero medico di campagna?
“François non ne ha sentito l’esigenza, contrariamente a Marianne che invece lo ha fatto. Ha incontrato dei medici generici che poi ha seguito nel corso delle loro visite e ha raccolto le loro testimonianze. Penso che i momenti trascorsi con loro siano stati per lei una grande fonte di ispirazione. So anche che Marianne e François hanno letto molto dell’argomento. Ci siamo anche scambiati dei documentari, dei libri di fotografie, degli articoli di giornali, tutta una serie di documenti che ci hanno aiutato a costruire una linguaggio in comune”.
Tutti i personaggi che vediamo sullo schermo, compresi i pazienti, sono attori professionisti?
“Sì, tutti tranne uno: l’agricoltore che vediamo all’inizio del film e al quale François Cluzet pratica una fasciatura. È il proprietario della fattoria dove abbiamo girato. È una piccola scena improvvisata che alla fine abbiamo deciso di tenere nel montaggio del film”.
Sono attori anche i personaggi che hanno una disabilità mentale?
“Nel gruppo dei giovani affetti da un deficit intellettivo, le comparse non sono attori. Tuttavia, Yohann Goetzman, il giovane autistico che vive in un centro specializzato, aveva già recitato ruoli di commedia in film che aveva lui stesso realizzato. E dal momento che gli capita di esibirsi su un palcoscenico e di suonare in un gruppo musicale, possiamo quindi dire che aveva già un legame con le professioni artistiche e un po’ di pratica con le immagini.
Molte persone che soffrono di un handicap intellettivo, compresi diversi giovani, vivono in zone rurali. E spesso sono i medici generici, che non sempre hanno la formazione necessaria, ad occuparsi di loro. Inoltre, non avrei mai potuto immaginare di ricorrere a un attore professionista per interpretare un disabile e per di più Yohann aveva voglia di partecipare al film. Si è impossessato del suo ruolo esattamente come avrebbe fatto qualunque altro attore”.
Nel film, il medico di campagna appare come una sorta di tuttofare, un uomo che cura le persone, ma al tempo stesso accoglie le loro confidenze e prodiga consigli…
“Essere al tempo stesso un sanitario e un confidente in effetti fa parte della natura specifica del medico di campagna. Un’altra sua caratteristica è la scarsità numerica della categoria e di conseguenza un sovraccarico di lavoro che rende la maggior parte di questi medici spossata, tanto più che hanno sempre meno spesso la possibilità di essere sostituiti o affiancati”.
IL MEDICO DI CAMPAGNA è un film che ha un ancoraggio sociale, sociologico e geografico molto forte. Per contro, l’aggancio politico sembra essere stato messo da parte…
“Secondo me, IL MEDICO DI CAMPAGNA è anche un film politico o, quanto meno, un film impegnato. Per esempio, in merito al problema della desertificazione dei medici e delle case di cura, che è un vasto tema politico di grande attualità legato all’assistenza sanitaria nelle campagne, esprimo il mio parere nel corso di una scena…”
Così come nel film ci parla anche del concetto di eguaglianza nell’accesso alle cure e del diritto di morire a casa propria…
“Esattamente. Anche la problematica del diritto di morire a casa propria è presente nel film. La possibilità di organizzare un protocollo di cure domiciliari nelle zone rurali dipende anche da una scelta politica ben precisa”.

Il dottor Werner regala a Nathalie una copia dei Racconti di un giovane medico di Michail Bulgakov. Una citazione sicuramente voluta. Quali altre opere l’hanno ispirata per la scrittura di questo film?
“In effetti, amo immensamente quel romanzo di formazione. Anche il libro di John Berger A Fortunate Man: The Story of a Country Doctor è stato per me fonte di grande ispirazione. È stata Marianne Denicourt a darmelo da leggere. Inoltre c’è anche un altro libro di fotografie che ha ispirato moltissimo sia me sia il mio direttore della fotografia: si tratta di Médecin de campagne di Denis Bourges (Les Édition de Juillet). Nella prefazione che ha scritto per quest’opera, Martin Winckler fa queste osservazioni: «Fare il medico di campagna significa mettere radici, anche quando si è cresciuti in città e si è viaggiato molto. Si finisce con l’adottare un ritmo di vita, una parlata, degli usi e dei costumi. Non si è più soltanto colui che cura le malattie e raccoglie le confidenze delle preoccupazioni, si diventa anche il testimone dei cambiamenti del paesaggio, degli avvenimenti nel villaggio, delle partenze e degli arrivi. Si entra a far parte della contrada, della comunità. Si comincia ad appartenere». È anche di questo che parla il mio film”.
Francois Cluzet è il medico protagonista del film: “Ho sempre desiderato fare l’attore, non per recitare ma per vivere, per vivere i personaggi. Grazie a questo mestiere ho vissuto molti pezzi di vita come se fossero vite intere. L’idea di credere di essere un medico è sempre stato un sogno. Penso che siamo in molti a desiderare di avere il tipo di rapporto con gli esseri umani, con la salute, con la guarigione, con il fallimento, con tutti gli sconvolgimenti melodrammatici che offre l’esercizio della medicina! E in seguito l’incontro con Thomas Lilti ha finito col convincermi: è una persona rara, con una spiccata dote per l’ascolto. Deve essere stato un buon medico dal momento che è diventato uno straordinario regista. Ho sempre provato una grande ammirazione per quei medici che orientano il loro interesse verso il cinema, la letteratura o il teatro, Čechov in primis. È interessante osservare come un uomo di scienza possa avere il gusto per l’irrazionale. Inoltre mi incuriosiva questo personaggio, il dottor Werner, un uomo malato, che dovrebbe pensare a se stesso e sbrigarsi a cambiare contrada e invece, il suo “sacerdozio”, la sua vocazione, sono più forti di lui. In questo senso, la professione medica è tutto sommato piuttosto vicina al mestiere di attore. Anche per noi c’è una componente di vocazione, di passione, di abnegazione che è quasi obbligatorio possedere.
È un ruolo magnifico, meritevole e delicato. Un medico malato che si occupa esclusivamente degli altri! Un autentico altruista. Il dono di sé, una disposizione essenziale anche nel nostro mestiere. Non considerare gli spettatori come degli imbecilli. Fare in modo che le emozioni siano sentite prima di essere espresse”.
Medicina ed etica?
“Werner è anche un medico moderno che ha compreso il significato dell’accompagnamento nel fine vita. Che senso ha trasferire un anziano signore lontano dal suo cane, lontano dalla sua casa, quando lui per primo gli ha fatto la promessa di lasciarlo morire nel suo letto e dal momento che non ci sono più speranze?”.
Certo, è anche un film politico e di denuncia sociale. Vengono dette delle verità, come la pesantezza della macchina amministrativa francese, quello che si chiama desertificazione sanitaria. Vivendo a Parigi o in altre grandi città tendiamo a pensare che i medici siano tutti borghesi ed esercitino la professione in ambulatori in boulevard Saint Germain a 150 euro a visita. Ma non è questa la situazione reale!
Ho fatto più che altro un lavoro introspettivo. Da bambino ho avuto la fortuna di incontrare dei medici che mi hanno salvato dall’asma e, come molte persone, mi sono spesso trovato ad affrontare malattie gravi di alcuni dei miei cari e in quelle circostanze ho visto da vicino che cos’è un uomo o una donna di medicina. Lo spirito di abnegazione. E poi mi sono anche ricordato dei cattivi medici. Per esempio uno che si rifiutava di prescrivere una radiografia ai polmoni a un amico che glielo chiedeva da diversi mesi. Alla fine ha acconsentito dicendogli: «Scommetto una caramella che lei non ha niente». Il mio amico ha fatto la radiografia, gli hanno diagnosticato un tumore incurabile, ha richiamato quel medico e, sulla segreteria telefonica, gli ha lasciato il seguente messaggio: «Ha perso la scommessa, è lei che mi deve una caramella». L’umanità del mio amico che sa di dover morire e gli lascia queste parole semplici mi ha sconvolto. La verità è che anch’io sognavo di fare il medico, ma solo facendo l’attore si possono vivere tante esistenze diverse!”.




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