Cinema – Movie di animazione: “Asterix e il Segreto della Pozione Magica”

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“Asterix e il Segreto della Pozione Magica” – Ecco nelle sale italiane la pellicola francese “Asterix e il Segreto della Pozione Magica”, un film di Alexandre Astier, Louis Clichy. Con Christian Clavier, Guillaume Briat, Alex Lutz, Alexandre Astier, Elie Semoun, Daniel Mesguich, Bernard Alane, François Morel, Lionnel Astier, Florence Foresti.

Il film di animazione, il cui titolo originale è Astérix – Le Secret de la Potion Magique narra la vicenda dei simpatici galli che, grazie alla pozione magica, riescono a fermare l’avanzata romana.

Panoramix, il mago del villaggio, sta invecchiando. E’ tempo di trovare un
giovane erede a cui tramandare il segreto della pozione magica che dona i
super poteri che hanno permesso ad Asterix e Obelix di salvare la loro terra
dagli attacchi nemici. Come vuole la tradizione, l’erede sarà maschio…o
forse no…

INTERVISTA AD ALEXANDRE ASTIER – SCENEGGIATORE, REGISTA (VOCE DI
PLUSQUAMURSUS NELL’EDIZIONE FRANCESE)
Qual è stato l’elemento di richiamo in questo secondo episodio delle
avventure di Asterix? Il fatto di poter proporre una storia originale. Il
primo film, Asterix e il Regno degli dei, è un adattamento e mi chiedevo
quale sarebbe stato il passo successivo, così ho proposto una storia
originale. Pensavo che avrebbero rifiutato, mi ripetevo che non ce l’avrei
fatta. Invece no, eccoci qui.
Nella trattativa per arrivare a questo accordo ci sono stati momenti di
tensione? No, si è svolto tutto in modo tranquillo. Il soggetto poneva
qualche difficoltà perché presentava elementi che non vengono affrontati in
Asterix. Asterix non ha un futuro, è eterno, immutabile nel tempo: i
Romani attaccano, il villaggio resiste e si salva la pozione magica. È in
questo schema che prendono corpo tutte le avventure e nessuno si è mai
chiesto cosa succederebbe se Panoramix non potesse più fare la pozione.
Sapevo che questo avrebbe creato delle difficoltà e il fatto di avere un’idea
non sarebbe stato sufficiente. Bisognava dimostrare che questa storia
avrebbe rispettato i diritti di Asterix, che sarebbe stata una bella
rivisitazione e che non voleva sovvertire i capisaldi dell’opera che sono
rimasti nel tempo. Quindi più che di discussioni accese c’era bisogno di
mostrarsi rassicuranti e di presentare un pitch che non spaventasse.
Come è stata costruita la storia? All’inizio per grandi linee. Poi ci sono dei
paletti, come la durata del film: 80 minuti, che non è tantissimo. Non era
semplice perché mancava un pezzo della sceneggiatura ed è stato difficile
farci entrare tutto. La storia non è stata costruita, c’era già. E dopo
bisognava realizzarla insieme a Louis Clichy.
Come riesci a metterci il tuo stile, a lasciare la tua impronta, rispettando
al tempo stesso lo spirito e le regole di Astérix? Non esiste una tecnica
per rispettare le cose. Se non rispettassi Asterix non lo farei. Il fatto che io
voglia raccontare una storia di Asterix non significa che voglia stravolgerla.
Non mi piace trattare male le cose, non è il mio stile e non mi interessa.
Non c’è niente da rifare, al contrario voglio attingere a quello che mi è
sempre piaciuto di Asterix fin da quando ero bambino. La questione è
quindi come essere sé stessi? Non posso essere qualcun’altro, quando scrivo
sono io, e questo è evidente. E non sembra male. In realtà non mi
preoccupo, perché mentre lo faccio il rispetto viene fuori naturalmente
senza che io debba sforzarmi.
Si pensa sempre che un secondo episodio dovrà essere più potente, più
esplosivo. Questo lo sarà davvero? Sì, ci sono degli elementi nuovi.
Innanzitutto, c’è un movimento. Asterix e il Regno degli dei si svolge a
porte chiuse, succede tutto nei pressi del villaggio, Cesare costruisce
perfino i suoi palazzi attorno al villaggio. In questo caso invece si tratta di
un’avventura che porta i nostri eroi alla ricerca di un candidato in giro per
tutta la Gallia. C’è il tema del viaggio e questo amplia l’universo del primo
film. Credo che anche l’animazione sia più bella perché abbiamo fatto dei
progressi, se non altro dal punto di vista tecnico. Ci sono delle cose ormai
acquisite e trovo che l’animazione – e non è merito mio, quindi non mi sto
vantando – abbia fatto un piccolo salto di qualità.
È un film che farà solo ridere o saranno affrontati anche temi forti, come
il pensionamento e la trasmissione del sapere? Per me non esiste
commedia senza dramma. Sono cresciuto con questa scuola di pensiero e
continuo a crederci. Ovviamente questo solleva molti temi. Prima di
cominciare decido cosa voglio scrivere e mi metto al lavoro.
Questa storia fa venire a galla molte questioni. Ad esempio, perché
Panoramix non mette in salvo tutta la Gallia visto che è in possesso della
pozione magica? Perché se la tiene per sé? Come si vede nelle storie a
fumetti ci sono popolazioni oppresse in tutta la Gallia. Possiamo fare un
collegamento con la questione delle armi nucleari: chi ce l’ha? Chi no?
Perché non possono averle tutti? E se le avessero tutti cosa succederebbe?
Sono molte le domande che vengono fuori. E non ho modo di uscirne:
scrivere una storia significa necessariamente tentare di rispondere a tutto.
Di certo una cosa che non volevo era sorvolare su domande come queste.
Hai creato un nuovo personaggio cattivo, Sulfurix. Perché è un cattivo
vero? Appartengo a quella scuola di pensiero secondo cui il film è riuscito
quando è riuscito il cattivo. Ho sempre avuto un debole per i personaggi
cattivi, da bambino volevo sempre fare la parte del cattivo.
Perché Sulfurix è un cattivo vero? Di solito in Asterix i cattivi fanno
ridere. Ad esempio, in Asterix e la zizzania, c’è quell’ometto cattivo che
riesce a mettere nei guai i protagonisti. Non c’è dubbio che sia cattivo, ma
al tempo stesso ha qualcosa di buffo, possiamo prenderlo in giro. Altro
esempio, in Asterix e l’indovino, l’indovino fa un’entrata sensazionale ma
dopo un po’ ci accorgiamo che è solo un ciarlatano, e questo lo rende
divertente. In Asterix e il Segreto della pozione magica invece il cattivo è
davvero pericoloso, è molto intelligente. È uno che improvvisa, è un po’
folle, ma è lui che mi ha fatto venire voglia di fare questo film.
Cosa pensi del personaggio di Plusquamursus? Ho preso molto in simpatia
questo personaggio. Si trova in una situazione che conosco bene, quella di
avere una squadra non proprio valida. Mi capita spesso e ci sono abituato ‒
sullo schermo, ovviamente, non nella realtà. È arrivato al punto di pensare
«Così non va, ma non posso farci niente». È un po’ scoraggiato, ma come
potrebbe non esserlo quando bisogna affrontare i Romani che sono alle
porte del villaggio di Asterix? A un certo punto non è il caso di avere troppe
ambizioni, di essere troppo intraprendenti o di sperare di piacere a Cesare,
non ha senso. Bisogna solo aspettare che passi tutto.
Preferisci scrivere la parte dei Galli o quella dei Romani? (Ride) Non
riesco a ragionare in questi termini. Mi piace scrivere per degli attori e, che
si tratti di Romani o di Galli, sono persone con cui mi piace molto scrivere.
Da dove provengono i nomi dei personaggi? Penso per esempio a
Tomcrus.
Ah, quello l’ho inventato io! Non mi succede spesso, perché non mi
piacciono i giochi di parole. Bisogna trovare le parole giuste e a me manca
quel tipo di umorismo. Ma ci chiedevamo di continuo: «Come si chiama
questo? È necessario trovargli un nome!». Per queste cose sono pessimo ma
stavolta l’ho azzeccato. Non so da dove sia uscito… I nomi dei Romani
terminano spesso in “us” e quindi troverete molti nomi del genere. Ho un
rimario, ma lì ovviamente Tomcrus non c’è. Non so come sia uscito fuori,
ma sono piuttosto soddisfatto di averlo inventato io!
In questo secondo episodio qual è la tua frase o battuta preferita? Una
frase del cattivo. Sulfurix arriva nel bosco dei Carnuti e inizia a prendersela
con tutti. È un druido che è stato in esilio per dieci anni e torna
all’improvviso, non si sa bene come. Dice agli altri: «Se avessi avuto un
potere come questo – parlando della pozione magica – non l’avrei
conservato per 40 idioti baffuti, ma avrei messo fine a tutte le guerre nel
mondo!». Mi piace pensare all’effetto che questa frase potrebbe suscitare
negli spettatori. Non è una battuta, vorrei che il pubblico riflettesse e
pensasse: «Però ha ragione! Perché la pozione può salvare solo 40 uomini?».
Se il pubblico si facesse questa domanda sarei molto soddisfatto.
Qual è stata la lezione più importante che hai imparato sul primo film e
che ti è servita per il secondo? In questo film, così come nel primo, il
vantaggio è che gli attori registrano la loro voce prima di passare
all’animazione. È fondamentale per me. Questo significa che non c’è
immagine. Andiamo in studio, registriamo le voci e continuiamo finché non
funzionano e gli attori non si calano nei personaggi. Dopo si lavora
sull’animazione dei personaggi a seconda di quello che hanno fatto gli
attori. Ammetto che mi sarebbe preso lo sconforto se avessi dovuto
doppiare un’animazione già fatta come se stessi doppiando un film – cosa
che succede ad esempio con i film che arrivano dagli Stati Uniti. È così che
mi piace lavorare sull’animazione. E poi c’è più libertà, e con dei bravi
animatori si possono fare un sacco di cose.
Il live action di Asterix, con i baffi e tutto il resto, è un rifacimento
tipicamente francese. È formidabile, non dico di no, ma l’animazione dà
una certa forza espressiva. Con attori che rispettano i personaggi si ritrova
tutto il fumetto. In qualche modo è proprio così che sognavo di realizzare
uno dei racconti di Asterix. C’è tutta la portata della recitazione prima e
dopo. Ci sono tutto il potenziale, la magia e il mondo dell’infanzia
dell’animazione e del fumetto.
Per fare un film di animazione ci vogliono almeno quattro-cinque anni.
Come riesci a mantenere l’energia e la motivazione necessarie per
arrivare alla fine del progetto senza scoraggiarti? Quando devo chiudere
sono molto esigente e, se qualcosa non funziona, non riesco a passarci
sopra. Anche Louis Clichy è così. Se ho una melodia in testa, voglio che sia
quella. E ci capita di pensare alla stessa musica. In un film d’animazione
all’inizio ci sono idee fresche ed entusiasmanti. Ma la realizzazione di un
film d’animazione è anche molto minuziosa, lunga, e procede per piccoli
scomparti. A parte la registrazione con gli attori che suona subito
all’orecchio, l’immagine giusta arriva molto tardi. Per molto tempo
l’immagine che vedi sullo schermo ti demoralizza. In tutti i film il risultato
arriva tardi, ma un film d’animazione può essere frustrante e un po’ sterile
per un bel po’ di tempo. È necessario avere idee molto precise fino alla fine
perché tutto deve prendere vita, e prende vita molto tardi. Bisogna essere
un po’ ossessivi.
Come vi siete divisi il lavoro con Louis Clichy? In teoria io scrivo e dirigo
gli attori e lui lavora all’animazione e si occupa della messa in scena. Però
poi in pratica io metto lo zampino nella messa in scena e lui nella scrittura
e quindi finiamo per litigare. Ma mi piace fare lite con Clichy, o perlomeno
ci ho fatto l’abitudine. (Ride)

 

INTERVISTA A LOUIS CLICHY – REGISTA E SCENEGGIATORE (VOCE DI
MAGNETIX NELL’EDIZIONE FRANCESE)
Cosa ti ha spinto a fare questo secondo film sulle avventure di Asterix?
Innanzitutto l’esperienza di Asterix e il Regno degli dei, nonostante le
difficoltà incontrate, è stata entusiasmante ed ero piuttosto determinato a
proseguire. Mancava solo qualcosa di nuovo e Alexandre lo ha trovato:
creare una storia nostra. Questo inevitabilmente apriva una serie di nuove
possibilità. E io mi sentivo pronto.

Avete contattato Albert Uderzo e i titolari dei diritti di René Goscinny
per sapere cosa ne pensavano? Sì. L’idea di realizzare una storia originale
era davvero una scommessa. Ci chiedevamo se ci avrebbero dato
l’autorizzazione, se sarebbe piaciuta, se non stessimo correndo il rischio di
uscire fuori tema. Abbiamo presentato il progetto ad Albert Uderzo e Anne
Goscinny e loro l’hanno accolto con entusiasmo. Li abbiamo visti diverse
volte e sono venuti a trovarci allo Studio Mikros per vedere come procedeva
il film e verificare che fosse rispettata l’opera.
Come avete lavorato alla creazione di questa storia originale? Alexandre
mi ha proposto una sua idea che ho trovato molto interessante. Ha lavorato
molto sui primi passaggi e poi ne abbiamo discusso. Ci siamo scambiati delle
idee servendoci di schemi e bacheche, tra risate e anche qualche
discussione. Io facevo diversi schizzi per spiegare i punti di vista, lui se ne
tornava a scrivere per conto suo e così via. C’è voluto del tempo perché
dovevamo partire da zero, non c’era nessun albo come riferimento.
Quali sono gli elementi indispensabili per creare una storia originale di
Asterix?
Di sicuro ritrovare i personaggi principali della serie. Questa volta il vero
protagonista non è Asterix. Abbiamo dirottato la storia su Panoramix e il suo
rivale, il druido Sulfurix. A parte questo, abbiamo tutti gli ingredienti di un
bel fumetto: la pozione magica (come minimo!), i Romani, i combattimenti,
Cesare… e anche i pirati, che nel primo film avevamo dovuto eliminare per
mancanza di tempo. Abbiamo dato spazio anche al pescivendolo e al fabbro.
È un duetto che ci era piaciuto molto già in Asterix e il Regno degli dei.
Avete continuato a divertirvi anche con le galline e i cinghiali? Per un
animatore è molto divertente lavorare sull’animazione di un animale perché
non ha il vincolo dei dialoghi. Detto questo, i cinghiali li facciamo parlare
un po’, anche se in una lingua tutta loro. Li abbiamo completamente
stravolti. In genere, in tutte le storie a fumetti, sono più che altro delle
prede di caccia. Qui invece sono ammessi fra i druidi e sono diventati dei
messaggeri. È stato divertente farli agire su questi due livelli. E ci siamo
divertiti molto anche con galline e pecore.
Perché Sulfurix è un cattivo vero? In effetti è un cattivo da copione. Si
porta dietro una ferita fin dall’infanzia, è pieno di rancore e di
frustrazione. Nessuno gli vuole bene, come accade spesso ai cattivi, che
rimandano questo odio all’esterno proprio perché sentono un grande vuoto
affettivo. Sulfurix e Panoramix erano legati da una certa complicità che
però in seguito si è deteriorata, trasformandosi in odio, perché Panoramix è
il druido che ha avuto successo, quello che ha trovato la pozione magica ed
è amato da tutti. Al contrario Sulfurix è stato dimenticato da tutti. Mi è
piaciuto molto lavorare sulla progettazione di questo personaggio. È un
druido che ha abbandonato certe usanze del suo popolo ma continua a
mantenerne alcune. Vive da solo in una capanna e gli abbiamo messo
addosso una pelle d’animale e una testa di cervo – anche se non è
esattamente il teschio di un cervo. Ha una carnagione un po’ pallida ma
un’aria aristocratica. È stato molto difficile animare questo personaggio
perché si muove pochissimo: ha un certo rigore e quindi fa movimenti
contenuti. E tutto questo lo rende un cattivo di un certo interesse.
Parliamo di Magnetix, il personaggio a cui presti la voce (nella versione
francese).
(Ride) Magnetix è uno dei possibili successori di Panoramix. Mi divertiva il
suo nome, è solo un piccolo ruolo. Non sono un attore e per me è difficile
essere naturali davanti a una macchina da presa. Spesso gli animatori sono
attori un po’ introversi che comunicano un’emozione con le mani, non
potendolo fare col corpo.
Ogni regista ha il suo stile rispetto alla messa in scena. Pensi che
Alexandre Astier abbia un suo stile anche rispetto al doppiaggio?
Alexandre non cambia il suo modo di fare le cose solo perché si tratta di un
film d’animazione, al contrario. Mantiene lo stesso spirito e fa quello che sa
fare. Ma su Asterix non si parla di doppiaggio perché non c’è da doppiare
una voce preesistente. Qui la voce è il punto di partenza. Ci siamo ispirati a
una sorta di fiction radiofonica e poi abbiamo sistemato le voci per
procedere con l’animazione. È la base di tutto, l’interpretazione dipende
molto dalla voce. Gli attori praticamente non hanno nessuna immagine,
hanno una vaga idea solo se si tratta di un personaggio nuovo. Prima di
cominciare non hanno molte indicazioni, sono presi alla sprovvista e non
devono sincronizzarsi su un’interpretazione precedente né scimmiottare dei
cartoni animati. In questo modo il lavoro di base è piuttosto realistico.
Successivamente sviluppiamo alcune interpretazioni per adattarle ai cartoni
animati e inserirle in un film d’animazione.
Come dividete il lavoro con Alexandre Astier? In modo un po’ empirico.
Lui ha scritto una prima sceneggiatura a cui io ho aggiunto altri elementi e
spunti. La scrittura parte da lui, mentre io mi occupo dei disegni. Ci sono
delle discussioni, a volte a dirla tutta anche dei litigi, su cosa mantenere e
cosa togliere quando magari ci sono dei problemi di struttura, di personaggi
o di visibilità di certi dettagli. E ogni volta Alexandre si riprende la sua
bozza e io gli mando degli schizzi per spiegargli delle idee. Così lui mi dice:
«Questo è divertente, questo meno, questo va bene, questo no». Nella
messa in scena invece c’è un po’ di più il mio tocco, anche se Alexandre
interviene in ogni fase. È con me quando interagisco direttamente con gli
illustratori che realizzano la messa in scena sullo storyboard. È con me al
montaggio. Nell’animazione il montaggio si fa prima, è quello che viene
chiamato animatic. I costi sono molto alti e bisogna essere sicuri degli 80
minuti di realizzazione. Non si tratta di fare una selezione su un girato di
otto ore, ma al contrario col montatore lavoriamo su qualcosa di
prestabilito. Con Alexandre poi diamo indicazioni sulle scene agli animatori
e io li guido fino alla fine dell’animazione. Facciamo tutto insieme ma
ognuno mantiene le sue peculiarità. Io mi dedico più agli aspetti di
produzione, alla realizzazione, Alexandre si occupa soprattutto delle voci e
io sto lì a verificare che funzionino coi personaggi. Ma è lui a dirigere gli
attori, e lo fa molto bene.
Qual è la lezione più importante che hai imparato sul primo film e che ti
è servita nel secondo? Asterix e il Regno degli dei è stato il mio primo
lungometraggio, oltre a essere anche il primo dello studio Mikros. È qui che,
rispetto al processo di lavorazione, abbiamo imparato quello che bisognava
fare, con chi era necessario lavorare… Così Alexandre ha capito i limiti e i
vantaggi dell’animazione e di conseguenza ha lavorato con una maggiore
cognizione del processo dall’inizio alla fine della lavorazione. Il film è in
qualche modo fissato prima ancora della realizzazione delle immagini,
quindi ci troviamo qualcosa di simile a un montaggio definitivo nonostante
non abbiamo ancora cominciato l’animazione. La nostra base di lavoro è
una sorta di disegno con una voce campione e delle musiche campione, ma
lì c’è il timing, i piani delle riprese e tutta la messa in scena. È un concetto
molto difficile da capire per quelli abituati a lavorare sul live action, che
continuano a ripetere: «Ma ci deve essere un punto in cui si potrà tornare
indietro!». Cosa che, invece, non è possibile. Ma su questo secondo film
Alexandre è riuscito a prevedere diverse cose e questo lo ha reso più
reattivo sul processo di produzione.

Qual è la sfida più grande che hai affrontato in questa seconda
avventura?
Quella di realizzare una storia originale ben riuscita. Penso che in molti ci
stiano aspettando al varco, vedremo se abbiamo avuto ragione o no. E
anche il fatto di concedersi la realizzazione di un film senza Albert Uderzo o
le Editions Albert René ‒ nonostante siano presenti, com’è ovvio, in ognuno
dei personaggi. Poi ho dovuto affrontare problemi di tipo più tecnico.
Volevo ricreare un’immagine più simile al cartone animato, mentre
l’animazione prodotta in computer grafica vira verso il realismo. Così è
necessario trovare un’omogeneità nella progettazione. Per esempio, per i
capelli di Asterix l’idea non era che sembrassero capelli veri, ma che
fossero in linea con lo spirito del fumetto. Sono tutti questi piccoli dettagli
che vanno a comporre un’immagine bella e che mostreranno chiaramente
che si tratta di un film di Asterix, e non un film semirealista o che
assomiglia a un videogioco. E devo dire che sono piuttosto contento del
risultato in termini di rendering e di immagine.
Per fare un lungometraggio ci vogliono in genere quattro-cinque anni.
Come si riesce a mantenere l’energia per portare avanti questa
avventura così a lungo?
È davvero faticoso. C’è una grande parte industriale – nel vero senso della
parola – che rende il tutto un po’ legato alla sfera contabile e produttiva, e
quindi non sempre interessante. E poi quattro o cinque anni sono tanti. Oggi
si tende a ridurre la durata della lavorazione. I film ormai si fanno in modo
pragmatico e un po’ di fretta soprattutto l’ultimo anno, mentre prima ci
volevano un paio d’anni per finire la produzione. Ma, a essere sinceri, non
siamo costantemente al 100% d’energia su tutto il periodo dei quattrocinque
anni. In particolare durante la preparazione. Ho trascorso l’anno di
lavoro 2015-2016 facendo diverse pause. Quando si sviluppa una storia è
davvero difficile lavorare a tempo pieno perché è necessario mantenere
sempre un po’ di distacco. Bisogna sapere come andare avanti, ritornarci su
a mente fresca e solo allora si può avanzare in modo concreto. Ogni fase
della produzione comporta una serie di sfide e di nuovi obbiettivi, il che
annulla il carattere ripetitivo del lavoro e permette di mantenere costante
la motivazione fino alla fine del film.
Dopo aver fatto il primo lungometraggio hai una visione diversa di
Asterix?
Non credo che sia cambiata la mia visione su Asterix, che si tratti del
fumetto o del personaggio. Siamo consapevoli di aver fatto un salto, perché
non siamo partiti da un fumetto, ma penso che siamo stati piuttosto
coerenti con la storia. Asterix rimane un personaggio estremamente
interessante e sono felice di dargli una continuità anche in questo modo. È
un personaggio che apprezzo. È sempre una sfida con eroi di questo tipo.
Col tempo in effetti Asterix è diventato un po’ come Topolino: un’icona che
incute un certo timore, più che di maltrattarlo, di trattarlo con eccessiva
gentilezza. Nei primi fumetti Asterix era piuttosto malizioso e sarcastico,
dopo invece è diventato più buono e più educato. Io lo volevo un po’ più
arrabbiato, volevo che avesse delle discussioni con Obelix su problemi
concreti, non solo per far ridere. Nel film quindi c’è una rottura rispetto a
questo personaggio, perché merita di essere tirato fuori dalla sua zona di
confort.




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