I meteoriti del Lago Chebarkul

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Lago Chebarkul – Tra tutti gli scenari Catastrofico/Scientifici che l’uomo ha immaginato per la distruzione del suo Pianeta, l’impatto con corpi celesti vaganti nello spazio ha acquisito punti sulle altre possibili soluzioni, specialmente dalla nascita del nuovo millennio.

Vediamo di capirne un po’ di più partendo da un’evento abbastanza recente e ben documentato scientificamente.
Il 15 febbraio 2013 la zona intorno alla città russa di Chelyabinsk, negli Urali, è stata sconvolta dalla potente esplosione in quota di un piccolo asteroide del diametro stimato di 17 metri e del peso di circa diecimila tonnellate, penetrato una trentina di secondi prima nell’atmosfera terrestre.
Una spedizione, guidata dal prof. Victor Grokhovsky dell’Istituto di Fisica dell’Università Federale degli Urali (UFU), è immediatamente partita alla volta del Lago Chebarkul, situato a una settantina di chilometri a ovest di Chelyabinsk, nel quale si presumeva che alcuni meteoriti sopravvissuti all’esplosione dell’asteroide avessero terminato la loro corsa.

La spedizione, conclusasi il 17 febbraio, è stata più che fortunata. Nei pressi del buco formatosi nel Lago Chebarkul, probabile luogo dell’impatto, i ricercatori hanno trovato 53 frammenti meteorici, quasi tutti minuscoli, ma uno invece piuttosto grande, del peso di 1,8 chilogrammi.
La successiva analisi, eseguita con una scansione al microscopio elettronico in un laboratorio dell’Università degli Urali, ha rivelato che i frammenti ritrovati nel lago sono realmente di origine extraterrestre. I meteoriti sono delle condriti ordinarie, contenenti una percentuale di ferro del 10 per cento circa.
Le condriti sono meteoriti rocciosi, contenenti inclusioni chiamate condrule. Queste sono sferule di materiale fuso, grandi da pochi micrometri a più di un centimetro, composte principalmente da silicati come olivina e pirosseno, circondati da feldspati vetrosi o cristallini.

Le condrule ci parlano dell’origine stessa del sistema solare. Si formarono intorno a 4,6 miliardi di anni fa per cause che non sono ancora ben comprese. La fusione delle particelle di polveri che le compongono deve essere avvenuta a temperature nell’ordine dei 1.000 gradi Kelvin, ma cosa abbia prodotto tali temperature è oggetto di discussione. Tra le ipotesi avanzate, si considerano gli impatti tra i planetesimi che orbitavano nella nube originaria da cui si formarono il Sole e i pianeti, getti di plasma ad alta temperatura emessi dal proto-Sole, onde d’urto generate dall’attività del disco protoplanetario, shock magnetici, l’irradiazione proveniente dall’esplosione di una vicina supernova.

Quale che sia l’origine delle condrule, le condriti che le contengono provengono da asteroidi di taglia piccola o media, risalenti all’epoca della formazione del sistema solare, non sufficientemente massicci da generare i processi di fusione e differenziazione tipici dei corpi planetari. Tuttavia, calore e pressione agirono ugualmente su questi corpi, sicché molte condriti sono metamorfiche: presentano cioè trasformazioni mineralogiche e strutturali, la cui origine può essere ricondotta al calore prodotto dal decadimento radioattivo di radioisotopi intrappolati al loro interno o all’esito di impatti con altri asterodi.

I meteoriti raccolti nel Lago Chebarkul indicano che il piccolo asteroide (o meteoroide) esploso sui cieli russi lo scorso febbraio era un tipico rappresentante di questa classe di oggetti primordiali del sistema solare. Due astronomi colombiani, Jorge Zuluaga e Ignacio Ferrin dell’Università di Antioquia a Medellin, sono riusciti a ricostruire industriosamente la sua orbita e la sua provenienza.

In un articolo pubblicato il 21 febbraio su arXiv.org, i due ricercatori hanno mostrato come l’analisi delle luci e delle ombre proiettate dall’esplosione in quota dell’asteroide, visibili in numerosi filmati pubblicati su YouTube da testimoni oculari, abbia consentito loro di determinare, grazie all’esatta geolocalizzazione di ogni ripresa, i sei parametri essenziali per il calcolo dell’orbita dell’asteroide. Da tutti i dati estrapolati, Zuluaga e Ferrin hanno concluso che l’oggetto disintegratosi nell’atmosfera il 15 febbraio 2013 era un asteroide Apollo.
Fa parte di questa categoria, così chiamata dal nome del “capostipite” 1862 Apollo, una nutrita schiera di NEA (near-Earth asteroids), che attraversano l’orbita terrestre seguendo traiettorie caratterizzate da due precisi elementi:
o il semiasse maggiore della loro orbita è maggiore di una unità astronomica;
o il perielio occorre a distanze minori dell’afelio terrestre (minori cioè di 1,017 unità astronomiche).

Gli Apollo sono insomma asteroidi pericolosi: la loro orbita interseca quella della Terra e possono colpirci. Il più grande della categoria è 1866 Sisyphus, che ha un diametro di ben dieci chilometri.
Per ora si conoscono oltre 240 asteroidi che attraversano l’orbita terrestre e hanno dimensioni maggiori di un chilometro, ma gli astronomi stimano che ve ne siano più di duemila non ancora scoperti. Il numero, poi, di quelli piccoli come quello esploso su Chelyabinsk è semplicemente impressionante: almeno 80 milioni, secondo gli esperti del settore. Numeri che inducono una certa ansietà…

Dario Del Buono




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