Economia – Banca Mondiale: aumenta il debito dei Paesi emergenti

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Debito – Secondo il rapporto della Banca Mondiale “Global wave of debt” (L’onda globale del debito), pubblicato a dicembre, il debito pubblico e privato di questi Paesi a fine 2018 ha raggiunto il record di 55mila miliardi di dollari. Dal 2010 il loro rapporto debito/pil è aumentato del 54% fino a raggiungere il 168%.

 

Dunque ancora una volta suona l’allarme debito. Questa volta riguarda i Paesi emergenti e in via di sviluppo

 

In questi otto anni, relativamente ai Paesi oggetto dello studio, si è verificata la crescita più grande, più veloce e diffusa degli ultimi 5 decenni. In media il 7% annuo, tre volte più veloce di quanto avvenne durante la crisi del debito dell’America Latina negli anni ottanta.

 

Nel cinquantennio scorso, quella dei Paesi emergenti sarebbe l’ultima delle quattro grandi crisi debitorie. Si è potuto evidenziare che la crescita elevata del debito è combinata con veri e propri sconquassi finanziari che hanno determinato crolli nella produzione, nei consumi e negli investimenti.

 

La crescita del debito in questione è stata guidata dalla Cina che ne detiene 20mila miliardi di dollari. Nel periodo di riferimento, Pechino ha visto crescere del 72% il rapporto debito/pil portandolo a 255%.

 

La pericolosità della bolla debitoria è aggravata dai rilevanti cambiamenti realizzati rispetto al passato. Non si tratta solo di debito pubblico e di quello estero ma anche di debito privato, in particolare delle imprese.

 

Rispetto al 2007, oggi questi Paesi sono più deboli. Il 75% di loro ha deficit di bilancio e i deficit delle partite correnti (la differenza tra la spesa per le importazioni e gli introiti dalle esportazioni) sono 4 volte più grandi. Inoltre sono coinvolte nuove categorie di creditori. In passato erano i governi e le organizzazioni internazionali, adesso i debiti sono soprattutto in mano ai vari tipi di fondi d’investimento e a settori non bancari. In aggiunta sono negoziati nei mercati di capitali, tanto che oltre il 50% dei debiti pubblici sono in mano a operatori stranieri.

 

Tali debiti sono anche fuori dal Club di Parigi, cioè fuori dall’accordo che garantisce interessi moderati, eventuali sospensioni dei pagamenti e riorganizzazioni debitorie non punitive. Spesso sono denominati non in moneta nazionale ma in dollari ed espongono i Paesi a fluttuazioni e crisi generate fuori dal loro controllo.

 

La crescita del loro debito aggregato è stata favorita, se non sollecitata, dalla politica del tasso d’interesse zero della Federal Reserve, della Bce e delle altre banche centrali. Anche la liquidità dei quantitative easing, non utilizzata in investimenti nei settori dell’economia reale dei Paesi industrializzati, è spesso confluita verso le economie emergenti in cerca di rendimenti maggiori. Quando il denaro non costa più, si avallano anche le propensioni a rischi elevati e al cosiddetto azzardo morale, che nel medio periodo minano le fondamenta di qualsiasi sistema economico.

 

Adesso un improvviso choc globale, quale l’aumento dei tassi d’interesse o dei premi per il rischio di mercato, potrebbe generare un pericoloso stress finanziario difficilmente sostenibile.

 

Si ricordi che, in merito al debito, la Banca Mondiale afferma che “è la dose che può diventare veleno”.

Inoltre si ritiene che il debito non sia un male in sé, se è usato per promuovere lo sviluppo di lungo termine. Se finisce, invece, in varie operazioni non produttive o addirittura speculative, allora diventa non sostenibile.

 

Le soluzioni proposte dalla Banca Mondiale sembrano, però, vaghe e astratte. Si suggeriscono priorità sociologiche più che economiche. Ad esempio si richiedono una maggiore trasparenza e una più attenta gestione del debito. Indubbiamente cose utili, che non fanno male. Ma le cause profonde sono nella progressiva degenerazione della finanza a livello globale e nella mancanza di regole cogenti e di controlli.

 

Certamente i governi dei Paesi emergenti hanno molte responsabilità. Essi, però, seguono i modelli dei paesi occidentali, degli Stati Uniti in primis, che di solito dettano le loro condizioni da applicare all’economia e alla finanza.

 

Per la sostenibilità del debito e per ridurre il rischio di choc economici, i Paesi emergenti e in via di sviluppo necessiterebbero, invece, d’investimenti e di crediti mirati al loro sviluppo economico e sociale. Si dovrebbero creare meccanismi per facilitare la soluzione delle loro crisi debitorie, evitando gravi conseguenze sociali. Troppo spesso essi sono trattati soltanto come fornitori di materie prime, di prodotti e di mano d’opera a basso costo. Il neocolonialismo, anche se in forme moderne, depreda le ricchezze e mantiene la maggioranza delle popolazioni nella povertà e nel sottosviluppo.

 

È augurabile che con il nuovo anno, soprattutto da parte dell’Unione europea, possa esserci un’azione nelle competenti sedi internazionali per una revisione profonda delle politiche di sostegno e collaborazione con i Paesi emergenti

 

A tal proposito Jeremy Cunningham, Investment Director Fixed Income di Capital Group ha però dichiarato: “Il debito emergente è una asset class sensibile alla fase del ciclo e dipendente dalla crescita, e per quanto la crescita globale sia stata interessata da un rallentamento non crediamo che il rischio di una recessione su larga scala sia elevato. Le autorità cinesi si sono mosse per rendere la politica monetaria più accomodante e sembra essere imminente un programma di stimolo fiscale, come è imminente un piano di stimolo sul fronte fiscale negli USA, mentre le autorità giapponesi ed europee non sembrano aver fretta di restringere ulteriormente la politica monetaria visto che l’inflazione continua a rimanere molto bassa. Nel mentre, i fondamentali per una serie di Paesi Emergenti sono piuttosto solidi”.

 

“L’inflazione rimane una sfida solo per alcune nazioni in via di sviluppo, mentre il bilancio delle partite correnti è generalmente di supporto. Anche se alcuni paesi in Africa e in America Latina devono affrontare delle importanti sfide dal punto di vista fiscale, i bilanci nazionali appaiono in un discreto stato forma in molte altre economie degli Emergenti. Il rapporto debito/PIL è generalmente più basso rispetto alle medie storiche, e nei casi in cui il totale dei debiti appare più elevato, spesso è indicativo di un mercato obbligazionario in maturazione. Nonostante ciò, i rendimenti reali degli Emergenti conservano un premium elevato rispetto a quelli dei mercati sviluppati. In termini di universo investibile, i mercati finanziari dei Paesi Emergenti si stanno sviluppando e le singole nazioni sono ora in grado di aumentare l’offerta in valuta locale, migliorando i livelli di liquidità. Le curve di rendimento stanno diventando a loro volta più articolate, permettendo agli investitori attivi di aggiungere valore andando a posizionarsi su scadenze differenti. Grazie ai miglioramenti su questi due fronti l’insieme degli investitori si è fatto più diversificato, con un miglior bilanciamento tra investitori locali ed esteri”.




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