Congo: uccisa suora a Bukavu

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Congo: uccisa suora a Bukavu

L’hanno assassinata nel suo ufficio, al centro di formazione professionale di cui era responsabile nella parrocchia Mater Dei di Bukavu nel Congo. Colpita a morte da banditi che probabilmente volevano rapinarla. È tornata alla cvsa del Padre così suor Marie Claire Agano, congolese, della congregazione delle Francescane di Cristo Re.
Suor Marie Claire va ad aggiungersi a una lunga lista di religiosi che a Bukavu hanno donato la vita per il Vangelo.
Come non ricordare le tre consorelle Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernardetta Boggian uccise nel 2014 nel vicino Burundi dopo aver a lungo prestato il loro servizio missionario nella Repubblica Democratica del Congo – suor Teresina Caffi, missionaria saveriana che fa la spola tra l’Italia e questo martoriato Paese africano, ricordava la figura dell’arcivescovo Christophe Munzihirwa, pastore coraggioso di Bukavu, ucciso vent’anni fa in quest’area del mondo da troppo tempo senza pace. «Morire è… un atto che si prepara durante tutta l’esistenza che lo precede. E il silenzio finale è una parola di grande ricchezza per colui che sa ascoltare dall’interno», diceva monsignor Munzihirwa.
Parole che nel contesto del Sud del Kivu – la regione di cui Bukavu è capoluogo – richiamano subito alla mente il clima di violenza diffusa alimentata dalla piaga dei «minerali insanguinati»: oro, coltan, cassiterite e tante altre ricchezze minerarie che continuano ad alimentare il conflitto e ad arricchire tutti tranne la popolazione congolese.
Bukavu come frontiera dell’amore in un contesto segnato dalla violenza: così l’ha vissuto anche suor Marie Claire. “Non si sceglie come morire, ma come vivere – ricorda suor Teresina Caffi in un’innterevista su Mondo e Missione -. E tale scelta può condurre a questo esito, non necessario, non cercato, ma possibile. Penso che una persona diventa libera quando, per le cose in cui crede, o meglio per le persone con cui vive, è disposta a mettere in conto anche di morire. Allora nulla ti può fermare. Allora soltanto forse cominci, timidamente ma veramente, ad amare”.
A proposito della situazione dei cattolici in Congo ecco una parete della lettera esplicativa (inviata in Sicilia a L’amico del Popolo) di padre Gaspare Di Vincenzo “nomada di Dio in terra concolese” come ama definirsi. È una lettera con la quale comunica alcune esperienza insieme alle difficoltà politiche sociali che il Congo sta attraversando.
“Per due mesi il governo congolese ci ha tenuti tutti “prigionieri” in questo immenso territorio staccandoci ogni comunicazione sia interna che esterna. Quando il potere ha paura dei suoi cittadini vuol dire che è arrivato a capolinea. Adesso da qualche giorno che siamo stati come liberati da questa prigione e riprendiamo le comunicazioni interne ed esterne.
Mentre i massacri di popolazione inerme, più di 350 persone tra uomini, donne e bambini, nel nostro territorio del Nord-Kivu a Beni, dopo essersi fermati con la visita del Nunzio Apostolico, in dicembre scorso, che aveva portato il sostegno morale e la preghiera di Papa Francesco, adesso sono di nuovo ripresi.
Sono stati loanciati allarmi a proposito del reclutamento di giovani musulmani all’est della Repubblica Democratica del Congo da parte di gruppi a connotazione djihadista. Allarme rinvigorito da un certo numero di articoli pubblicati dalla stampa congolese e belga. Se ne parla da qualche anno a voce bassa ma ormai il fenomeno sembra aver preso una dimensione molto preoccupante. Anche se i rapporti di esperti dell’ONU, presente nel territorio da circa 20 anni, non riconoscono ancora l’esistenza di relazioni tra i gruppi armati congolesi e i Shabaabs musulmani somali…..
L’invito è sempre quello della preghiera per questo popolo martoriato ….
Eppure l’evangelizzazione del Paese parte da lontano.
Racconta una tradizione congolese che un giorno il re del Congo, Nzinga Nkuwu, indicò verso l’oceano e disse al suo popolo: «Di là verrà il vero sacrificio, la conoscenza del vero Dio. Che io possa godere la felicità di tale giorno!».
Poco tempo dopo, nel 1482, tre caravelle condotte dall’esploratore portoghese Diego Cão, comparvero alla foce di un grande fiume chiamato Nzaidi, che successivamente prese il nome di Zaire.
Seguirono i primi contatti tra le due civiltà. Sembrava un perfetto idillio. «Grande, potente, molto popoloso e con numerosi vassalli», secondo la descrizione dei portoghesi, il regno del Congo aveva una struttura feudale: il mani (re, signore) deteneva un potere quasi assoluto su una società spezzata in due classi: il popolo, che rappresentava la forza produttiva e militare, e gli aristocratici, che dirigevano le province e i distretti per conto del re.
L’economia verteva principalmente sulla coltivazione dei cereali, sulla pesca, sulla caccia e sull’artigianato. La proprietà di terre, fiumi, palmeti e foreste era in comune: veri proprietari erano gli antenati dei rispettivi clan. Solo il ricavato del lavoro spettava al singolo o alla famiglia. C’era anche una moneta accettata in tutto il regno e consisteva di semplici conchiglie.
Ammaliato dalle conquiste tecniche dei portoghesi, il mani Congo vide nei nuovi arrivati un alleato prezioso in grado di far progredire il proprio regno e tenere a bada i vassalli, che non sempre gli erano leali. I portoghesi, oltre che stipulare accordi commerciali, intuirono l’opportunità di fare di quel Paese uno stato cristiano modello.
Da allora i cristiani sono stati grandi protagonisti della storia del paese ma in molti sembrano non essersene resi, ancora, conto.




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