Giappone : il punto sulle contaminazioni post terremoto

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Giappone – Il governo giapponese ha comunicato oggi alle ambasciate di 28 paesi – tra cui l’Italia – i suoi piani per il riversamento in mare di acqua contaminata al trizio proveniente dalla centrale nucleare Fukushima Daiichi, che nel 2011 è stata teatro del più grande incidente atomico della storia dopo quello di Cernobyl.

Lo riferisce l’agenzia di stampa Kyodo.I diplomatici sono stati riuniti al Ministero degli Esteri a Tokyo e hanno ricevuto aggiornamenti di dettaglio sulla decisione di smaltire in mare più di un milione di tonnellate di acqua che è stata trattata e ora è conservata in silos nelle vicinanze della centrale.

 

Ma, visto che l’acqua contaminata continua a essere prodotta, anche la capacità di stoccaggio è al limite.Il governo ha spiegato che vuole utilizzare due metodi che ritiene “fattibili”: cioè diluire in mare o far evaporare. Preferibile, secondo il Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria nipponico il rilascio in mare, perché consente un più agile monitoraggio dei livelli di radioattività.

 

Per quanto riguarda il rischio, secondo il governo nipponico è “significativamente basso” perché il rilascio in acqua in un anno comporterebbe la diffusione di radioattività tra 1/40mila e 1/6mila la quantità di esposizione annua per un essere umano.

 

Ogni giorno 170 tonnellate di acqua vengono immesse nella centrale per raffreddare il combustibile fuso. L’acqua viene poi purificata attraverso un sistema chiamato ALPS, che però non è capace di rimuovere il trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno e altre piccole quantità di altri materiali radioattivi.

 

Così sono stati creati dei serbatoi, che però raggiungeranno il massimo della loro capacità nell’estate 2022.I pescatori locali, i residenti e i paesi vicini hanno espresso contrarietà rispetto all’ipotesi del rilascio in mare.

 

L’unica soluzione è quella di versarla in mare e diluirla”, ha detto qualche tempo fa  il ministro durante un briefing informativo a Tokyo. “Il governo ne discuterà, ma vorrei offrire la mia semplice opinione”.

 

l segretario di gabinetto giapponese Yoshihide Suga, in una conferenza stampa separata, ha precisato però che i commenti di Harada sono “la sua personale opinione”. Tepco non può decidere cosa fare, seguirà le istruzioni governative. Lo spazio per immagazzinare l’acqua finirà definitivamente entro il 2022. Harada non ha specificato quanta acqua contaminata dovrebbe essere riversata nell’Oceano.

 

A rendere radioattiva l’acqua, utilizzata per raffreddare i reattori danneggiati della centrale di Fukushima (e che viene poi stoccata in grandi serbatoi costruiti accanto all’impianto), è il trizio. Si tratta di un isotopo dell’idrogeno a bassa radioattività, per questa ragione difficile da rilevare. La sua radiazione non riesce a penetrare la pelle umana, ma può essere dannoso se ingerito o inalato. Viene tuttavia considerato poco pericoloso per l’uomo, perché viene espulso rapidamente attraverso le urine e il sudore. Dimezza la sua carica radioattiva in 12 anni.

 

Per il presidente dell’Autorità giapponese per il nucleare, Toyoshi Fuketa, scaricare l’acqua contaminata in mare è l’opzione più ragionevole e sicura

 

 

Nel frattempo il Giappone progetta di costruire sino a 22 nuove centrali termoelettriche a carbone nei prossimi cinque anni, una conseguenza diretta dall’arresto quasi totale del comparto nucleare civile a seguito del disastro di Fukushima.

 

Gli impianti sorgeranno presso 17 diversi siti nel paese, proprio mentre la comunità internazionale si mobilita per ridurre le emissioni di anidride carbonica e combattere il riscaldamento globale.

 

Lo scrive il quotidiano “Asahi”, secondo cui le emissioni dei 22 nuovi impianti saranno paragonabili, complessivamente, a quelle del totale delle nuove automobili vendute ogni anno negli Stati Uniti. Una delle nuove centrali dovrebbe sorgere a Yokosuka, dove però è sorto un movimento pubblico di opposizione insolito per il Giappone

 

Sono trascorsi quasi 9 anni da quel tragico giorno, dal terremoto e dallo tsunami in Giappone, che causarono la morte di più di 15.800 persone, oltre all’esplosione della centrale di Fukushima Daiichi, il peggiore disastro nucleare dai tempi di Chernobyl.

 

Dopo anni di tentativi e insuccessi, con diverse tipologie di robot da decontaminazione rimanere irreversibilmente danneggiati dalle radiazioni, una sonda meccanica calata sul fondo del reattore 2 è riuscita a spostare di alcuni centimetri cinque frammenti di combustibile.

 

Il test serviva a dimostrare la possibilità di afferrare e spostare con successo il materiale fuso, la cui effettiva rimozione non inizierà prima del 2021.

 

La rimozione delle barre di combustibile esausto dalle piscine di raffreddamento dei tre reattori della centrale non inizierà invece prima del 2023.

Questa operazione nel reattore 3 si sarebbe dovuta avviare questo mese, ma è stata rimandata per una serie non precisata di problemi.

 

Il nodo inerente l’acqua contaminata continua a lasciare insonni gli scienziati giapponesi. A rallentare ulteriormente i lavori è la questione al momento più stringente della gestione dell’acqua contaminata. Lo spazio già riservato per un migliaio di taniche si sta rapidamente esaurendo, e si valuta da tempo la possibilità di riversare nel Pacifico il milione di tonnellate di liquido stoccato. Il sistema di decontaminazione utilizzato finora doveva rimuovere ogni elemento radioattivo dall’acqua ad eccezione del trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno relativamente poco dannoso e difficile da separare.

Tuttavia, i tecnici della Tepco.  la società giapponese che gestisce la centrale, hanno constatato (già lo scorso anno) che l’85% dell’acqua risulta, dopo il primo filtraggio, ancora contaminata, e che occorre una seconda bonifica: un lavoro che richiederà altri due anni e toglierà soldi e personale alle operazioni sul materiale radioattivo fuso e sul combustibile esausto. Al momento il maggiore timore è che se dovesse verificarsi un altro terremoto di potenza significativa il liquido contaminato potrebbe fuoriuscire totalmente e non a poco a poco come si vorrebbe

 

Ma andiamo a ricostruire cosa accadde l’11 Marzo del 2011. Alle 14:46 ore locali, al largo delle coste nord-orientali del Giappone, nella regione di Tohoku, la terra, a 30 chilometri di profondità, trema: una scossa di magnitudo 9, che fa innalzare le acque sovrastanti fino a generare uno tsunami con onde maggiori di 10 metri (fino a 40 raccontano le cronache, come registrato nella città di Miyako, nella prefettura di Iwate, tra le più colpite dal maremoto). Le onde dello tsunami viaggiano fino ad abbattersi sulla costa, lasciando numeri spaventosi a testimonianza del loro passaggio: almeno 15.700 i morti, oltre 4.600 i dispersi, 130mila gli sfollati, 332mila gli edifici distrutti. E ancora: migliaia di strade e decine di ponti e ferrovie distrutte dalla forza dell’acqua. Ma a peggiorare il bilancio dell’11 marzo 2011 è senza dubbio l’incidente avvenuto alla centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, il peggiore che la storia ricordi insieme Chernobyl, col quale condivide il triste primato di incidente di livello 7 (il più alto) nella International Nuclear Event Scale (Ines).

 

Le onde causate dal terremoto al largo del Giappone arrivando a terra investirono la centrale di Fukushima, gestita dalla Tepco, superando le barriere protettive alte oltre cinque metri. Durante il terremoto i reattori (ad acqua bollente: Bwr – Boiling Water Reactor, ovvero che usano acqua leggera come moderatore e come liquido termovettore) hanno smesso di funzionare. Come meccanismo di sicurezza, infatti, al momento della rivelazione delle scosse, il sistema di controllo ha posizionato barre di controllo nel nocciolo per bloccare la reazione di fissione nucleare, ma rimaneva il problema di smaltire le enormi quantità di calore residuo prodotto dalla fissione.

 

Questo smaltimento avveniva grazie a un sistema di raffredamento ad acqua che a Fukushima però, in seguito al maremoto, smette di funzionare (salta l’alimentazione elettrica). Anche i generatori diesel che avrebbero dovuto tamponare questa emergenza hanno funzionato per un tempo limitato, di fatto provocando un blocco nel sistema di raffreddamento dei reattori che si cerca di arginare ricorrendo a mega-idranti ed elicotteri che pescano acqua di mare e la riversano sui reattori.

 

Il malfunzionamento del sistema di raffreddamento ha quindi provocato il surriscaldamento dell’acqua e del combustibile (contenuto all’interno di barre di zirconio), con la conseguente produzione di grandi quantità di vapore ed idrogeno e aumento della pressione, che ha costretto i tecnici a far fuoriuscire una parte del vapore, disperdendo l’idrogeno che ha così causato alcune esplosioni. Una cascata di eventi che determinerà da ultimo la fusione dei noccioli 1, 2 e 3 della centrale ed il rilascio di iodio, cesio e cobalto radioattivi.




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