IL DRAMMA DEL SUDAN

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SUDAN – Da circa una settimana il Sudan è un Paese messo a ferro e fuoco da due fazioni, l’esercito regolare e i paramilitari del cosiddetto “Rapid Support Forces”. Uno scontro violentissimo che ha fatto oltre 400 morti e 3.500 feriti, secondo le cifre fornite dall‘Organizzazione mondiale della sanità e che oggi, 21 aprile, ha causato la morte anche di un operatore dell’Oim, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. La capitale Karthoum non è immune dall’ondata di combattimenti e da qualche tempo è diventata campo di battaglia, con sparatorie, lancio di missili, che colpiscono pure in altre aree. In città molte sono le persone che da giorni vivono asserragliate nei propri uffici da dove non sono potute più uscire per i combattimenti in strada.

La Chiesa come anche le altre comunità ecclesiali, dice, “si sono sempre astenute da commenti o da partecipazione alla scena politica” e hanno poca forza per incidere giacché “i cristiani sono una minoranza molto limitata numericamente” che si aggira attorno al “2-3% in tutto il Sudan”. C’è peraltro “una forte presenza di cristiani non sudanesi ma sud sudanesi, che però – spiega il religioso – non hanno voce in capitolo perché non sono più cittadini del Paese e quindi non hanno lo status politico per poter dire la loro”. Il missionario conclude osservando che se il viaggio del Papa in Suda Sudan lo scorso febbraio “ha dato un messaggio forte alla popolazione”, purtroppo in Sudan “non è stato non è stato percepito a livello di società civile o società politica” e quindi non sembra avere oggi “un effetto su sulla vita politica e sulla situazione sociale e militare”.