Il dramma della Siria e gli scenari futuri

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Il dramma della Siria e gli scenari futuri

La Siria è un paese devastato da una guerra che sembra non avere mai fine. Un vero e proprio tutti contro tutti con le potenze straniere divise ed indecise sul da farsi ed intanto la popolazione soffre e muore. Con l’arrivo di Donald Trump alla presidenza degli USA appaiono all’orizzonte nuovi scenari ma frattanto, ora dopo ora, la situazione si fa sempre più drammatica. Putin e Trump lavorano per un accordo difficile che chiuda la contesa ma gli interessi dei paesi che partecipano alla guerra sono economicamente ingenti.
Importante anche la vittoria alle primarie del centro-destra francese di François Fillon, candidato dei repubblicani all’Eliseo nelle prossime presidenziali: in queste settimane Fillon ha ripetuto a più riprese che di fronte “al totalitarismo islamico” bisogna riunire “tutte le forze possibili, tutti gli Stati possibili, che siano essi democratici o meno”. Un assist diretto al presidente Assad.
Intanto il numero delle persone che vivono sotto assedio in Siria è raddoppiato nell’ultimo anno, passando da 486.700 a 974.080 negli ultimi sei mesi. È quanto ha affermato il coordinatore delle operazioni umanitarie Onu in Siria Stephen O’Brien con parole chiare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’alto diplomatico ha parlato di persone “isolate, affamate, bombardate e private di cure mediche e di assistenza umanitaria, per costringerle ad arrendersi o a fuggire”.
Fonti locali riferiscono di colpi di mortaio, ordigni e barili bomba scagliati dall’aviazione del regime sul settore orientale. E ancora, la gravissima crisi umanitaria a causa della mancanza di cibo e dell’interruzione – prolungata – nelle consegne degli aiuti.
Nella zona est della metropoli del nord, un tempo capitale economica e commerciale del Paese, e in cui vivono circa 250mila persone in condizioni di assedio, non vi sarebbero più ospedali operativi. In un raid aereo dell’aviazione siriana il 20 novembre scorso è rimasto colpito anche l’ultimo nosocomio sinora operativo e la situazione a livello sanitario è sempre più critica.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a est “non vi sono più ospedali funzionanti”.
Violenze si registrano anche ai danni del settore occidentale, controllato dal governo e abitato dalla grande maggioranza della popolazione (circa 1,2 milioni di persone). Solo a novembre sono caduti oltre 350 colpi di mortaio e razzi lanciati dai ribelli in modo indiscriminato, che hanno colpito nella maggior parte dei casi obiettivi civili.
Sarebbero almeno 60 le persone morte in tre settimane nella zona ovest, circa 350 i feriti. Fra i vari obiettivi civili finiti nel mirino dei razzi lanciati dai ribelli vi è anche una scuola pubblica, colpita il 20 novembre scorso; secondo fonti governative nell’attacco sarebbero morti almeno otto bambini.
Oltre alla capitale, la situazione più critica secondo l’alto funzionario delle Nazioni Unite si registra proprio ad Aleppo, soprattutto nel settore orientale, dove le condizioni umanitarie sono “passate da terribili a terrificanti” e ora “si fatica a sopravvivere”.
Stephen O’Brien non ha risparmiato critiche nemmeno allo stesso Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, a suo avviso “apparentemente incapace o reticente” nel tentativo di mettere fine alla guerra. Del resto il veto posto dalla Russia ha bloccato sinora tutte le iniziative inerenti il dossier siriano, innalzando la tensione fra le varie potenze.
L’amministrazione statunitense appare sempre più debole nello scacchiere siriano, dove il presidente uscente Barack Obama non ha mai voluto davvero impegnarsi a fondo in una campagna militare. Questo ha favorito la resistenza del governo di Damasco, rafforzato nell’ultimo anno dall’intervento dell’alleato russo e dall’interventismo del presidente Vladimir Putin. E la riconquista di Aleppo, in questo contesto, sembra essere secondo gli esperti “questione di settimane” e comunque da raggiungere prima dell’insediamento della nuova amministrazione Usa, il 20 gennaio prossimo.
La guerra in Siria è ormai entrata nella sua fase cruciale e gli occhi sono puntati su Aleppo: prendere la seconda città siriana vuol dire avere un peso politico e diplomatico di gran lunga più importante oltre che, per quanto concerne l’esercito di Assad, poter liberare centinaia di uomini e mezzi per destinarli ad altri fronti della Siria. Ma proprio ad Aleppo, a dispetto di quello che si potrebbe pensare, il baricentro della battaglia si sta spostando lontano dal centro cittadino, sia verso sud ovest che verso est. Se a sud di Aleppo Hezbollah ed esercito siriano sarebbero già pronti e schierati per far partire l’attacco contro i militanti di Al Nusra, ad est invece la situazione è molto più delicata.
Da alcuni colleghi giungono infatti notizie allarmanti da Al Bab, località ubicata d est di Aleppo e non lontana dal confine turco, cittadina strategicache si è venuto a trovare al centro di un pericoloso intreccio.
Infatti, l’esercito siriano è stanziato a circa 30 km dalla sua periferia, attualmente occupata dll’ISIS, a nord invece i ribelli filoturchi sostenuti da Ankara per evitare la formazione di un’entità curda autonoma, sono lontani appena 20 km, sui due lati di Al Bab pressano invece i curdi sia di Afrin, dal nome dell’enclave in cui sono allocati dall’inizio del conflitto, che della Rojava. Il rischio ben evidente, in poche parole, è che si arrivi ad uno scontro diretto tra parti in causa appoggiate e sostenute da diverse potenze straniere alla Siria: da un lato l’esercito siriano aiutato dalla Russia, dall’altro per l’appunto i ribelli filoturchi che vengono armati da Ankara, dall’altro lato ancora le due distinte comunità curde le quali, rispettivamente, sono appoggiate da Damasco e dagli USA.
Un intreccio di non poco conto, una vera e propria guerra nella guerra, che potrebbe portare a scenari importanti ed imprevedibili: già in queste ore, si registrano scontri tra ribelli filoturchi (aiutati anche dall’artiglieria dell’esercito di Ankara) ed i curdi di Afrin, i quali al momento evitano che le milizie vicine al governo turco entrino in contatto con l’esercito regolare grazie ad una zona cuscinetto da loro controllata posta a pochi chilometri dalle zone orientali di Aleppo.
In tutto questo, è da evidenziare come l’ISIS non oppone una grande resistenza così come, è bene rimarcarlo, accaduto del resto anche questa estate a Mambij: i miliziani del califfato, che a Palmira e contro l’esercito siriano resistono fino allo stremo, a nord e ad est di Aleppo invece si ritirano di fronte le avanzate di curdi armati dagli USA o miliziani filoturchi.
Vi sono anche casi in cui gli uomini fedeli ad Al Baghdadi riconquistano qualche villaggio andato perduto attorno ad Al Bab, ma complessivamente sembra che l’artiglieria turca da quando Ankara è entrata con i suo mezzi in Siria stia avendo gioco facile sull’ISIS. Di certo però, nessuno degli attori in campo vuole lasciare Al Bab all’avversario: Siria, ribelli, curdi e jihadisti potrebbero innescare a breve una delle battaglie più delicate dell’intero panorama siriano.
Vista da vicino, la guerra siriana è un mosaico di trattative, conflitti e alleanze mutevoli tra gruppi armati che si contendono le spoglie del regime. Le manovre anticurde di Ankara. L’entente israelo-qaidista nel Golan. Lo Stato Islamico contro tutti.
Così mentre da una parte l’occidente (quasi compatto) attacca Assad e vorrebbe deporlo, il presidente siriano si rivolge a Trump con parole di apertura e speranza per il suo paese. Secondo il leader siriano Bashar al-Assad, il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump diventerebbe «un alleato di fatto» della Siria se manterrà la sua promessa di combattere il terrorismo dell’Isis. Assad lo ha detto alla tv portoghese Rtp, si legge sulla Bbc online, esprimendo però «dubbi» sulla capacità di Trump di rispettare le proprie promesse. È un’apertura totale del siriano Bashar Assad verso il neo presidente eletto Usa, Donald Trump: «Non possiamo dire nulla su cosa farà (Trump) ma se combatterà il terrorismo ovviamente saremo alleati, alleati naturali come con la Russia, l’Iran e molti altri Paesi», ha dichiarato Assad.
In recenti dichiarazioni The Donald aveva definito «follia» l’ipotesi di attaccare in contemporanea le Forze Armate siriane e l’Isis, e che attaccare la Siria potrebbe significare alla fin fine combattere contro la Russia alleata di Damasco. Il presidente siriano ha definito «promettente» l’impegno di Trump di concentrarsi sulla lotta contro l’Isis, ma si è chiesto se «sarà in grado di farlo».
D’altronde la parole di Trump non ammettono dubbi: a differenza di Barack Obama, la sua priorità numero 1 in Siria è sconfiggere Isis e non cacciare il presidente siriano.




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