Mercoledi storico per Papa Francesco

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Mercoledi 24 Maggio 2017 è una data che sicuramente resterà nella storia. Papa Francesco dapprima ha incontrato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, poi, come vi riferiamo ha parte, ha nominato il presidente della Conferenza Episcopale, Gualtiero Bassetti, quindi si è incontrato con i suoi amati fedeli per l’udienza generale durante la quale ha parlato della Speranza cristiana – 23. Emmaus, il cammino della Speranza.
L’incontro con il presidente USA, Donald Trump è stato all’insegna della cordialità. I media hanno cercato di dipingerlo come il faccia a faccia tra la Chiesa ed il diavolo ma i toni sono stati di tutt’altro genere.
Scherza Jorge Mario Bergoglio con Melania Trump. Osservando l’altezza del marito le domanda: “Cosa gli dà da mangiare?”. È il momento dei saluti nella biblioteca privata del Papa dopo l’atteso incontro tra il presidente Usa e Papa Francesco. Bergoglio chiede alla first lady se avesse preparato a Donald la putizza, tipico dolce sloveno. L’ex modella di Novo Mesto, presa di sorpresa, capisce pizza: “Sì, pizza, sì”. Allegro misunderstandig che stempera la tensione. Dopo 29 minuti di colloquio privato il clima adesso è rilassato.
Il presidente USA è giunto in Vaticano puntualissimo. Lo hanno fatto passare per la “porta stretta”, l’ingresso laterale del Perugino che costeggia Casa Santa Marta. Il corteo presidenziale non ha potuto varcare il più solenne Arco delle campane, utilizzato dai capi di Stato in visita ufficiale, perché i pellegrini già si stavano affollando per l’udienza del mercoledì. Prima delle 8.30 Trump è salito da piazza San Damaso alla seconda loggia, dove lo attendeva il Papa. Sull’ascensore, primo scambio di battute con il prefetto della Casa pontificia Georg Gaenswein:“È un po’ come la Trump Tower”.
Il corteo dei gentiluomini del Santo Padre e delle Guardie svizzere ha scortato Trump alla Sala del Tronetto. Protocollo collaudato e studiatissimo in Vaticano: l’incedere lento, sotto le maestose volte della loggia, stupisce tutti. Incute anche un po’ di timore all’ospite, forse troppo, come ammetteva Giovanni XXIII che lo avrebbe voluto ammorbidire. Trump è apparso meno stupito di Barack Obama nel 2014. Ha manifestato sicurezza e sorrisi evidenti fin da subito. Leggermente più concentrato in volto Francesco per la prima foto di rito. Ma già quando i due si sono seduti al grande tavolo della biblioteca del pontefice, anche il viso di Bergoglio si è illuminato. Ai giornalisti presenti è sembrato dicesse: “Sono molto lieto di incontrarla. Non parlo molto bene l’inglese”.
“Non dimenticherò quello che mi ha detto”. Sono queste le parole con cui il presidente americano Donald Trump si è congedato da papa Francesco.
Al momento della stretta di mano iniziale, il presidente Usa aveva detto “È un grandissimo onore essere qui”.
Papa Francesco ha salutato la First Lady con una stretta di mano e, dopo qualche parola, ha benedetto un rosario che Melania gli ha consegnato.
Poi il Pontefice ha salutato la figlia del presidente statunitense Ivanka, il genero Jared Kushner e tutto il seguito, che nella prima parte del colloquio è stato in una sala di un appartamento delle udienze. Anche Ivanka, con un atteggiamento di profondo rispetto, era vestita con un abito nero e aveva il velo, secondo il cerimoniale.
Tra i doni che il Papa ha presentato a Donald Trump, c’è il messaggio per la Giornata mondiale della pace che ha per titolo “La non violenza, stile di una politica per la pace”, soffermandosi in particolare con il presidente statunitense su alcuni brani che ha indicato sfogliando il libretto. “Questo glielo regalo perché lei sia strumento di pace”, ha detto Francesco a Donald Trump regalandogli il medaglione con il ramo di ulivo che unisce la pietra divisa, dopo avergli spiegato che esso rappresenta un “simbolo di pace”. “Abbiamo bisogno di pace”, gli ha risposto il presidente americano.
Gli altri doni del pontefice sono stati i tre documenti programmatici del Pontificato: l’Evangelii gaudium, la Laudato sì e l’Amoris laetitia. Trump ha invece consegnato al papa una scatola blue , dicendo che conteneva “libri di Martin Luther King. Penso che le piaceranno, lo spero”. “Grazie per la visita”, ha detto il papa a Melania Trump, salutandoli e ringraziando anche il presidente.

Dopo i 29 minuti di faccia a faccia tra Bergoglio e Trump ecco l’udienza generale: “Cari fratelli e sorelle, buongiorno!” ha esordito il vescovo di Roma. “Oggi vorrei soffermarmi sull’esperienza dei due discepoli di Emmaus, di cui parla il Vangelo di Luca (cfr 24,13-35). Immaginiamo la scena: due uomini camminano delusi, tristi, convinti di lasciare alle spalle l’amarezza di una vicenda finita male. Prima di quella Pasqua erano pieni di entusiasmo: convinti che quei giorni sarebbero stati decisivi per le loro attese e per la speranza di tutto il popolo. Gesù, al quale avevano affidato la loro vita, sembrava finalmente arrivato alla battaglia decisiva: ora avrebbe manifestato la sua potenza, dopo un lungo periodo di preparazione e di nascondimento. Questo era quello che loro aspettavano. E non fu così.
I due pellegrini coltivavano una speranza solamente umana, che ora andava in frantumi. Quella croce issata sul Calvario era il segno più eloquente di una sconfitta che non avevano pronosticato. Se davvero quel Gesù era secondo il cuore di Dio, dovevano concludere che Dio era inerme, indifeso nelle mani dei violenti, incapace di opporre resistenza al male.
Così, quella mattina della domenica, questi due fuggono da Gerusalemme. Negli occhi hanno ancora gli avvenimenti della passione, la morte di Gesù; e nell’animo il penoso arrovellarsi su quegli avvenimenti, durante il forzato riposo del sabato. Quella festa di Pasqua, che doveva intonare il canto della liberazione, si era invece tramutata nel più doloroso giorno della loro vita. Lasciano Gerusalemme per andarsene altrove, in un villaggio tranquillo. Hanno tutto l’aspetto di persone intente a rimuovere un ricordo che brucia. Sono dunque per strada, e camminano, tristi. Questo scenario – la strada – era già stato importante nei racconti dei vangeli; ora lo diventerà sempre di più, nel momento in cui si comincia a raccontare la storia della Chiesa.
L’incontro di Gesù con quei due discepoli sembra essere del tutto fortuito: assomiglia a uno dei tanti incroci che capitano nella vita. I due discepoli marciano pensierosi e uno sconosciuto li affianca. È Gesù; ma i loro occhi non sono in grado di riconoscerlo. E allora Gesù incomincia la sua “terapia della speranza”. Ciò che succede su questa strada è una terapia della speranza. Chi la fa? Gesù.
Anzitutto domanda e ascolta: il nostro Dio non è un Dio invadente. Anche se conosce già il motivo della delusione di quei due, lascia a loro il tempo per poter scandagliare in profondità l’amarezza che li ha avvinti. Ne esce una confessione che è un ritornello dell’esistenza umana: «Noi speravamo, ma… Noi speravamo, ma…» (v. 21). Quante tristezze, quante sconfitte, quanti fallimenti ci sono nella vita di ogni persona! In fondo siamo un po’ tutti quanti come quei due discepoli. Quante volte nella vita abbiamo sperato, quante volte ci siamo sentiti a un passo dalla felicità, e poi ci siamo ritrovati a terra delusi. Ma Gesù cammina con tutte le persone sfiduciate che procedono a testa bassa. E camminando con loro, in maniera discreta, riesce a ridare speranza. Gesù parla loro anzitutto attraverso le Scritture. Chi prende in mano il libro di Dio non incrocerà storie di eroismo facile, fulminee campagne di conquista. La vera speranza non è mai a poco prezzo: passa sempre attraverso delle sconfitte. La speranza di chi non soffre, forse non è nemmeno tale. A Dio non piace essere amato come si amerebbe un condottiero che trascina alla vittoria il suo popolo annientando nel sangue i suoi avversari. Il nostro Dio è un lume fioco che arde in un giorno di freddo e di vento, e per quanto sembri fragile la sua presenza in questo mondo, Lui ha scelto il posto che tutti disdegniamo.
Poi Gesù ripete per i due discepoli il gesto-cardine di ogni Eucaristia: prende il pane, lo benedice, lo spezza e lo dà. In questa serie di gesti, non c’è forse tutta la storia di Gesù? E non c’è, in ogni Eucaristia, anche il segno di che cosa dev’essere la Chiesa? Gesù ci prende, ci benedice, “spezza” la nostra vita – perché non c’è amore senza sacrificio – e la offre agli altri, la offre a tutti.
È un incontro rapido, quello di Gesù con i due discepoli di Emmaus. Però in esso c’è tutto il destino della Chiesa. Ci racconta che la comunità cristiana non sta rinchiusa in una cittadella fortificata, ma cammina nel suo ambiente più vitale, vale a dire la strada. E lì incontra le persone, con le loro speranze e le loro delusioni, a volte pesanti. La Chiesa ascolta le storie di tutti, come emergono dallo scrigno della coscienza personale; per poi offrire la Parola di vita, la testimonianza dell’amore, amore fedele fino alla fine. E allora il cuore delle persone torna ad ardere di speranza.

Tutti noi, nella nostra vita, abbiamo avuto momenti difficili, bui; momenti nei quali camminavamo tristi, pensierosi, senza orizzonti, soltanto un muro davanti. E Gesù sempre è accanto a noi per darci la speranza, per riscaldarci il cuore e dire: “Vai avanti, io sono con te. Vai avanti”. Il segreto della strada che conduce a Emmaus è tutto qui: anche attraverso le apparenze contrarie, noi continuiamo ad essere amati, e Dio non smetterà mai di volerci bene. Dio camminerà con noi sempre, sempre, anche nei momenti più dolorosi, anche nei momenti più brutti, anche nei momenti della sconfitta: lì c’è il Signore. E questa è la nostra speranza. Andiamo avanti con questa speranza! Perché Lui è accanto a noi e cammina con noi, sempre!
Al termine della catechesi, Francesco ha invocato la pace “per la cara terra ucraina”, salutando un gruppo di ucraini, che hanno partecipato al pellegrinaggio militare internazionale a Lourdes. Nel rivolgersi, poi, ai pellegrini provenienti da Siria, Terra Santa e Medio Oriente, ha sottolinea che tante persone vivono come i discepoli di Emmaus, “con il cuore spezzato a causa delle guerre”. Solo Il Risorto, dice, può riaccendere nell’umanità delusa “la fiamma della speranza che non delude mai”.

Raffaele Dicembrino




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