Siria Croce Rossa: diritto internazionale umanitario al collasso

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Medici senza Frontiere ha lanciato un disperato appello a Europa e Turchia affinchè aprano i confini ai rifugiati siriani. Sono circa 100 mila infatti le persone intrappolate nel distretto siriano di Azaz, tra il confine turco ancora chiuso e le zone minacciate dal sedicente Stato islamico. Aumenta ogni giorno il numero delle vittime dei bombardamenti del regime nel nord della Siria, oggi sono almeno 30 i civili morti, tra cui 6 bambini. Ieri, per la prima volta dopo 4 anni, alcuni convogli della Croce Rossa e del Programma Alimentare Mondiale sono entrati nella città di Daraya per portare medicinali e cibo alla popolazione. Intanto, attese per oggi le decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per sbloccare l’invio dei beni ai civili, anche paracadutandoli, così da aggirare i blocchi imposti sia dal regime che dai ribelli. Sulla situazione a Daraya e in tutto il Paese, Valentina Onori ha intervistato il presidente della Croce Rossa Italiana Francesco Rocca: 

R. –  A Daraya c’è un solo ospedale funzionante, con un medico, tre infermieri e con la mancanza di tutte le medicine di base. Quindi era importante far entrare questi primi aiuti, con un’attenzione soprattutto ai più piccoli: ci sono, infatti, tutta una serie di medicinali pediatrici, proprio perché si tratta della popolazione più vulnerabile in questo momento. Speriamo – vuoi attraverso il Consiglio di Sicurezza, vuoi attraverso quello che, per noi come movimento di Croce Rossa, riguarda il dialogo costante con tutte le parti coinvolte nel conflitto – di poter continuare ad avere un accesso costante alle popolazioni. Perché ovviamente questo accesso non basta!

D. – In che cosa consistevano gli aiuti umanitari? Si è detto anche che c’erano vaccini, medicine e poco cibo…

R. – E’ vero! Rispetto alla possibilità dei tempi concordati la priorità è stata data al settore sanitario, anche perché era l’aspetto più urgente! In questa fase avevamo un’assenza totale di tutti i presidi sanitari di base. Laddove vivono migliaia e migliaia di persone, non ci sono soltanto le ferite di guerra, ma ci sono anche le tantissime patologie che devono continuare ad essere trattate.

D. – A Daraya è entrato il convoglio con gli aiuti umanitari…

R. – A Daraya è entrato il convoglio…  In questo momento c’è un’autorizzazione ad entrare in 12 aree di conflitto e noi ci auguriamo che entrambe le parti mantengano gli impegni che sono stati presi e ci consentano di entrare anche nelle prossime ore, con ancora più aiuti sia a Daraya che nelle altre aree.

D. – Com’è la situazione?

R. – E’ disperata! L’assedio è una delle cose più terribili, perché non c’è un accesso, non c’è possibilità per la popolazione di allontanarsi dal conflitto. Le vittime civili non sono state risparmiate, anzi spesso proprio gli obiettivi civili sono stati strumento di guerra. E questa è una cosa terribile!

D. – La zona più interessata è Aleppo e la zona a sud-est di Aleppo…

R. – Sì! E poi  – anche se può sembrare paradossale, però è così e lo è da tempo – la zona della “Rural Damascus”: tutta quella zona in cui si passa andando da Beirut a Damasco. Pochissimi chilometri. E’ incredibile quanto sia vicina quell’area alla capitale siriana. Sapere che a pochissimi chilometri c’è gente che sta patendo una terribile sofferenza a causa di questa mancanza di rispetto della vita ed è una fonte di sofferenza sapere che non si possa accedere. Per noi operatori umanitari l’accesso alla vittima è importante: perciò questo conflitto è di una gravità inaudita e più volte abbiamo richiamato la Comunità internazionale ai suoi obblighi. Vengono utilizzate sistematicamente le vittime civili!

D. – E’ una situazione totalmente fuori controllo?

R. – L’utilizzo dei civili sia come obiettivo che fa diventare militare ciò che militare non è, e dall’altra parte l’utilizzo di civili come scudi umani rispetto a obiettivi dichiaratamente militari, che è un atto che viene definito dal diritto internazionale un “atto di perfidia”, è qualcosa di assolutamente inaccettabile! Qui abbiamo veramente il collasso del diritto internazionale umanitario, ovvero il diritto che prevede la tutela delle vittime civili all’interno dei conflitti armati. Quando si combatte in quartieri così piccoli, come zone, che vengono contesi fra le due parti e non si consente ai civili di uscire, anche questa è un’altra violazione al diritto internazionale.

D. – Che notizie ha direttamente dalla Croce Rossa Internazionale in Siria?

R. – Di questa difficoltà. A volte per accedere ad alcune zone – certo per Daraya è stata una negoziazione con entrambe le parti per poter accedere in maniera sicura – la cosa difficile, nel quotidiano, delle nostre attività, è la negoziazione continua, perché per portare aiuti bisogna negoziare con 10-12 gruppi armati diversi. La difficoltà di questa frammentazione anche degli interlocutori rispetto all’accesso alla vittima è una cosa terribile! E’ proprio questo anche l’oggetto delle negoziazioni: il fatto di garantire che chiunque – a prescindere a quale fazione appartenga o a quale religione appartenga, sia esso alawita, sciita o sunnita – possa poter accedere ai beni che vengono distribuiti, che sono beni che garantiscono un minimo di sopravvivenza. Perché di certo non possiamo parlare di dignità della vita umana in quei luoghi: lì parliamo soltanto di sopravvivenza.

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A Parigi la conferenza sul Medio Oriente senza israeliani e palestinesi

◊“Una scelta coraggiosa per la pace”, è quanto chiesto dal presidente francese, Francois Hollande, in apertura della conferenza per la soluzione del conflitto israelo-palestinese. L’iniziativa che si tiene oggi a Parigi vede la partecipazione di circa 30 Paesi, ma si segnala l’assenza dei rappresentanti delle due parti in guerra tra loro, che sono state appositamente escluse per definire una posizione possibilmente univoca della comunità internazionale. Ecco le dichiarazioni rilasciate da Giusy Regina, direttore di Arabpress.eu:

R. – La Conferenza di Parigi, in realtà, è un tentativo diplomatico abbastanza importante ai giorni d’oggi: cerca di far ripartire queste trattative di pace tra israeliani e palestinesi che, obiettivamente, dagli accordi di Oslo, sono un po’ ferme. Le critiche, però, ci sono già state, perché non ci sono rappresentanti di Israele e Palestina: l’Olp si sente un po’ esclusa e Netanyahu la vive come una minaccia, e lo aveva già anticipato, quando Hollande aveva parlato dell’idea di fare questa Conferenza, tanto che sia la stampa araba che ebraica non hanno sponsorizzato l’incontro in modo molto positivo. Lo vedono, infatti, come l’ennesimo buco nell’acqua.

D. – Parliamo, comunque, di un tentativo ambizioso di far ripartire le trattative di pace. Era da oltre dieci anni che così tanti attori non si mettevano intorno ad un tavolo. Quali sono, comunque, le aspettative che accompagnano questo incontro?

R. – Trattandosi di un incontro a cui partecipano oltre 30 Paesi, tra occidentali e arabi, le aspettative ci sono forse più da parte di questi partecipanti che non da parte delle parti in causa. Sostanzialmente, infatti, il tema israelo-palestinese alcune volte sembra essere dimenticato, a causa del sedicente Stato Islamico, degli attentati e di tutto quello che sta succedendo, ma in realtà non lo è. In generale, quindi, la risonanza internazionale è tanta, perché effettivamente è importante rilanciare questa tematica. I palestinesi, però – ripeto – sono un po’ scettici, perché non credono che possa più servire ormai un approccio del genere per risolvere la questione, e gli israeliani, Netanyahu, non vorrebbero l’ingerenza occidentale in essa. Per Israele la sicurezza è tutto. Già il fatto, quindi, che si parli di questo tema e che così tanti Paesi affrontino questo tema – addirittura senza di loro – non è benvisto da Israele. Ogni tentativo di apertura, di dialogo, però – bisogna dirlo – deve essere accolto positivamente, dandone la giusta risonanza. Hollande stesso ha aperto la Conferenza, invitando questi due popoli a fare la pace. Poi, che siano parole o meno, lo vedremo. Sicuramente è importante rilanciare un dialogo del genere.

D. – Secondo alcune indiscrezioni della stampa israeliana, i francesi hanno pronto un documento e, poi, c’è anche un piano di Riad. Quali sono le proposte sul tavolo per risolvere questa crisi?

R. – Fondamentalmente, niente di nuovo sotto il sole. Comunque, si parla della soluzione “due popoli, due Stati”. Tutte le soluzioni sono incentrate su questo: sulle indiscrezioni del giornale Haaretz, del documento stilato dai francesi di tre pagine. In realtà, del contenuto non si sa molto. Sicuramente hanno posto alcune deadline. Per esempio, entro la metà del 2017 si vorrebbe arrivare ad un incontro, ad una serie di incontri bilaterali israelo-palestinesi. Insomma, sono state poste una serie di date simboliche, anche per darsi dei limiti. E poi, si parlava già, nel prossimo autunno, della preparazione di un’altra conferenza internazionale, questa volta con israeliani e palestinesi.

D. – Al momento, quindi, quali sono i principali ostacoli al raggiungimento di un accordo di pace?

R. – Fondamentalmente, gli ostacoli principali sono che Israele e Palestina restano bloccati su alcuni punti – storicamente – che sono sempre gli stessi. I palestinesi vogliono la soluzione “due popoli, due Stati”, che con tutta franchezza è difficile da raggiungere, perché Israele, da quando è nato, nel 1948, ha come base fondamentale per esistere la sicurezza. Israele, per come è nato, per la storia che ha, obiettivamente è difficile che permetta la creazione di un qualsivoglia Stato palestinese accanto ai suoi confini, a meno che non sia uno Stato smilitarizzato completamente, che possa controllare, non voglio dire al cento per cento, ma che in qualche modo lo controlli. Sia israeliani che palestinesi devono scendere a tanti compromessi, non perché la soluzione “due popoli, due Stati” sia impraticabile. Obiettivamente i palestinesi, infatti, devono cedere sulla smilitarizzazione del loro Stato e gli israeliani devono cedere al fatto di non volere assolutamente uno Stato palestinese accanto. Se non scendono a compromessi, penso che nessuna soluzione in realtà sia praticabile.




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