DAT, Chiesa e le verità temute e nascoste dietro la legge varata dal governo PD

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DAT – Quel governo che la maggior parte degli italiani non vede l’ora che vada a casa prosegue nel suo cammino distruttivo sino all’ultimo momento della ‘sua esistenza’. Restavano DAT e Ius Soli, la prima è andata, la seconda è sulla strada del traguardo finale tra polemiche e divisioni.
Ma andiamo ad analizzare cosa è il DAT e cosa pensa Papa Francesco di tutto questo.
Papa Francesco (in tempi non sospetti) aveva già avuto parole molto chiare ricevendo in udienza i partecipanti alla XXVIII conferenza internazionale sul servizio della Chiesa alle persone anziane malate, indetta dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Nel discorso pronunciato davanti ai numerosi ricercatori, medici, infermieri, assistenti professionali, volontari e politici riuniti nell’Aula Paolo VI, il Pontefice aveva sottolineato che “le persone anziane sono sempre state protagoniste nella Chiesa, e lo sono tuttora. Gli anziani malgrado gli inevitabili “acciacchi”, a volte anche seri, sono sempre importanti, anzi, indispensabili. Esse portano con sé la memoria e la saggezza della vita, per trasmetterle agli altri, e partecipano a pieno titolo della missione della Chiesa. Ricordiamo che la vita umana conserva sempre il suo valore agli occhi di Dio, al di là di ogni visione discriminante.
A fronte però del fatto che “il prolungamento delle aspettative di vita, intervenuto nel corso del XX secolo, comporta che un numero crescente di persone va incontro a patologie neurodegenerative, è importante che accanto al tradizionale modello biomedico, la cura di queste persone si arricchisca di spazi di dignità e di libertà, lontani dalle chiusure e dai silenzi, quella tortura dei silenzi! Il silenzio tante volte si trasforma in una tortura. Per superare queste chiusure e silenzi, ha insistito il Santo Padre, occorre che in ambito assistenziale sia curato anche l’aspetto religioso e spirituale. Anzi, questa è una dimensione che rimane vitale anche quando le capacità cognitive sono ridotte o perdute. Si tratta di attuare un particolare approccio pastorale per accompagnare la vita religiosa delle persone anziane con gravi patologie degenerative, con forme e contenuti diversificati, perché comunque la loro mente e il loro cuore non interrompono il dialogo e la relazione con Dio”.
Lo stesso Osservatore Romano scriveva che rrespingere con fermezza ogni forma di eutanasia; difendere e diffondere sempre e ovunque la dignità della persona anziana malata; approfondire l’amore e la comprensione delle generazioni rispettando gli anziani nelle famiglie; creare una buona atmosfera per lo sviluppo spirituale nella terza età sono fondamentali.
In occasione dei lavori è stato presentato anche il sussidio La pastorale sanitaria e la nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede. Illustrandolo, l’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del dicastero, aveva spiegato che “i nosocomi e le altre strutture sanitarie, in armonia anche con l’Anno della fede e con la XIII assemblea generale del Sinodo dei vescovi, sono ovunque luoghi privilegiati di evangelizzazione. Anche nei Paesi economicamente avanzati costituiscono più che mai dei crocevia di culture e religioni, ambiti di espressione profonda di attuazione dell’apostolato della misericordia, come fu definito da Giovanni Paolo II”.
L’arcivescovo Zimowski, aveva ribadito il punto di vista della Chiesa su alcune questioni irrinunciabili. “L’attenzione e l’impegno della Chiesa per gli anziani non datano da oggi. Essi sono stati destinatari della sua missione e della sua cura pastorale attraverso i secoli e nelle più varie circostanze”.
Le trasformazioni della società in particolare nei Paesi economicamente più ricchi, con l’invecchiamento delle popolazioni, la riduzione del ruolo di supporto sociale assicurato dalla famiglia e la frequente emarginazione delle persone anziane hanno fatto sì che la sorte di queste ultime sia paradossalmente peggiorata, ed è aumentata la tentazione di ricorrere all’eutanasia. La vecchiaia infatti, considerata prima come un periodo di sapienza e una fonte di preziosi consigli, da rispettare ed onorare, viene oggi spesso considerata negativamente come “fase di declino”, di “insufficienza umana e sociale”. Di conseguenza, “il magistero pontificio degli ultimi anni si è indirizzato sempre di più alle necessità pastorali specifiche delle persone anziane malate, dominate dalla loro sofferenza fisica, morale e spirituale”.
“La persona anziana, oggi, è meno preparata alla sofferenza e alla morte – ha sottolineato il presule – ed è angosciata sia della prospettiva di dover soffrire, sia dell’altra prospettiva di vedersi mantenuta in vita con i mezzi moderni di sostenimento artificiale della vita. Per questo può cadere facilmente nella tentazione dell’eutanasia, considerata come liberazione, Contro tentazioni del genere, la Chiesa offre una doppia risposta. Una per i medici o operatori sanitari che prendono su di loro il diritto di eliminare fisicamente le persone anziane malate valutate “inutili”; ad essi ricorda «il principio inalienabile della sacralità e inviolabilità della vita. Ogni vita umana ha ricevuto da Dio la sua dignità, che nessuno può violare”. La seconda riguarda la comunità civile ed ecclesiale, perché «la richiesta d’eutanasia o di suicidio assistito da parte d’una persona anziana malata – ha detto in proposito – esprime spesso uno stato di afflizione profonda. L’unica risposta valida a una tale richiesta viene non dalla tecnica, ma dal cuore umano, con le sue capacità di ascolto e di compassione”.

Ma cosa dice il Dat? Le Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) vorrebbero disciplinare l’iter con cui un paziente può rifiutare le cure. In caso di minori, determinante è il consenso dei genitori, anche se separati o divorziati.
La legge prevede che fino a che il paziente è cosciente e può liberamente esprimere la propria volontà, ogni cura (o rifiuto di cura) deve essere subordinata al suo consenso informato e scritto, che è sempre revocabile. L’articolo 1 del testo prevede che, nel rispetto della Costituzione, nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata.
In casi di patologie croniche, invalidanti o caratterizzate da prognosi infausta, “medico e paziente – si legge all’articolo 4 – possono pianificazione delle cure condivise, alle quali il medico è tenuto ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità”.
L’articolo 3 della legge prevede che “ogni persona maggiorenne, capace di intendere e volere, in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può, attraverso Disposizioni anticipate di trattamento (Dat), esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali”. Le Disposizioni anticipate di trattamento, sempre revocabili, sono vincolanti per il medico, che per questo è “esente da responsabilità civile e penale”. Le disposizioni, però, possono esser disattese dal medico quando queste sono “palesemente incongrue”, non corrispondano alla situazione clinica del malato, o siano sopraggiunte terapie – non prevedibili al momento di compilazione delle Dat – tali da offrire “concrete possibilità di miglioramento della vita” del malato.
Sempre l’articolo 3 stabilisce il modo in cui il malato deve esprimere la propria volontà: “Le Dat devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata, con sottoscrizione autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale o da un medico dipendente del Servizio sanitario nazionale o convenzionato. Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, possono essere espresse attraverso videoregistrazione”. In caso di emergenza o di urgenza, viene precisato, “la revoca può avvenire anche oralmente davanti ad almeno due testimoni”.
Chi decide di usufruire delle Dat dovrà indicare un fiduciario che ne faccia le veci e lo rappresenti: la persona in questione può rinunciare al ruolo tramite un atto scritto e, in ogni caso, il suo incarico può essere revocato. In questi casi, o se il fiduciario dovesse morire o divenire incapace di intendere e di volere, le Dat mantengono efficacia in merito alle convinzioni e preferenze del paziente.
Secondo la legge, per l’interdetto decide sempre il tutore. L’inabilitato, invece, decide per se stesso. Mentre per coloro che fruiscono dell’amministratore di sostegno dipenderà da caso a caso. Se il tutore o l’amministratore di sostegno rifiutano le cure ma i medici le ritengono necessarie o adeguate, decide il giudice.
Quando il malato è minorenne, decidono sempre i genitori, anche se sono separati o divorziati. Dice il testo: “Il consenso è espresso dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore o dall’amministratore di sostegno, tenuto conto della volontà della persona minore”. In caso di conflitto tra i genitori decide il Tribunale che deve sempre ascoltare il minore con più di 12 anni.
Nella legge non è prevista l’eutanasia o il suicidio assistito. Il diritto di rifiutare le cure, infatti, non legittima alcun comportamento commissivo (volontario) del medico volto a procurare la morte del malato. L’omicidio del consenziente, dunque, rimane nel nostro ordinamento un reato.

In queste ore è intervenuta anche la CEI: “E’ una legge che aspettavamo da tempo, speravamo fosse meglio. E’ una norma che ci lascia perplessi su tanti punti, come chiesa cattolica non possiamo riconoscerci in nulla”. Lo ha detto il direttore dell’Ufficio Cei per la Pastorale della Salute, don Massimo Angelelli, definendo “un errore considerare alimentazione e idratazione come terapia. Bere e mangiare sono diritti inalienabili”.
Infatti la dichiarazione anticipata di trattamento (Dat), detta impropriamente “testamento biologico”, è legge, ma la Chiesa teme che sia il primo passo verso l’eutanasia.

Il “Catechismo della Chiesa cattolica” (1992) afferma che la vita è il bene primario che merita di essere tutelato e promosso sempre. La nutrizione e idratazione artificiali, in linea di principio, sono moralmente obbligatori, ma non si può escludere che risultino inefficaci a nutrire e idratare, o di pesante aggravio psico-fisico per il paziente. Netta e costante la condanna morale dell’eutanasia, del suicidio assistito e dell’accanimento terapeutico. Afferma il Catechismo: “Coloro la cui vita è minorata o indebolita richiedono un rispetto particolare. Le persone ammalate o handicappate devono essere sostenute perché possano condurre un’esistenza per quanto possibile normale” (n. 2276).
“L’eutanasia consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte: è moralmente inaccettabile. Un’azione o un’omissione che provoca la morte, costituisce un’uccisione gravemente contraria alla dignità della persona e al rispetto del Dio vivente” (n. 2277). “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima: è la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole procurare la morte: si accetta di non poterla impedire” (n. 2278).
“Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d’ordinario sono dovute a una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate” (n. 2279).




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