DILIGOR, ERGO SUM: AL CUORE DELLA LETTERA APOSTOLICA

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Misericordia et Misera. Ovvero, la Misericordia è efficace solo se c’è una persona “misera”, che si riconosce misera, bisognosa di tutto. È la vera rivoluzione di Papa Francesco, contro il falso mito di progresso, che vede l’uomo del tutto autosufficiente, indisponibile all’autentica relazione con gli altri e con il Mistero trascendente. Una falsa autosufficienza che, sebbene si scontri quotidianamente con la realtà del limite, non cessa di autoproporsi sia come orizzonte esistenziale, nella logica soggettivistica della violenza, sia come orizzonte teoretico, nel postulato indimostrato della non-esistenza o della non-rilevanza (che poi è lo stesso) di Dio. E per proseguire nella medesima direzione, il Papa propone un’alternativa alla riduzione Cartesiana della conoscenza umana: non più “cogito ergo sum” (penso dunque sono), ma “sono amato, dunque esisto” (Mm 16), recuperando l’antico adagio agostiniano “amo ergo sum” e riproponendolo in chiave esistenziale, poiché l’esperienza di essere amati precede la determinazione ad amare ed entrambe si includono nell’orizzonte relazionale, nel rapporto con l’altro, essenziale al superamento del falso mito dell’individualismo. In questo orizzonte, contro la cultura del nulla e della morte (altro falso mito di progresso) il Papa propone la “cultura della misericordia” (Mm 20) che è cultura della vita e della relazione. Questo l’ampio orizzonte in cui si colloca la lettera Apostolica di fine Giubileo, ed ogni particolare determinazione, che vedremo, deve essere accolta ed interpretata alla luce di tale prospettiva. Finché l’uomo, l’umanità non si riconosce “misera”, resterà inefficace l’offerta permanente della Misericordia.
Nell’appello forte a vivere la misericordia ed a riconoscersi “miseri”, Papa Francesco afferma: “Niente di quanto un peccatore pentito pone dinanzi alla misericordia di Dio può rimanere senza l’abbraccio del suo perdono.
[…] La misericordia è questa azione concreta dell’amore che, perdonando, trasforma e cambia la vita. È così che si manifesta il suo mistero divino […] abbraccia ogni persona che confida in Lui e la trasforma, donandole la sua stessa vita” (Mm 2). La condizione per questa straordinaria esperienza, che tutti auspichiamo divenga ordinaria per la maggior parte degli uomini, è riconoscersi “peccatore pentito” (con tutto ciò che il pentimento implica), confidare in Gesù Cristo e nell’amore del Padre, nella Misericordia, sapendo di essere “miseri”. Il Papa, perché ciò avvenga in modo sempre più ampio, individua alcuni aspetti da potenziare nella vita della Chiesa, innanzitutto nella Liturgia, perché la lex orandi e la lex credendi vanno di pari passo: “siamo chiamati a celebrare la misericordia […] nella preghiera della Chiesa il riferimento alla misericordia, lungi dall’essere solamente parenetico, è altamente performativo, vale a dire che mentre la invochiamo con fede, ci viene concessa; mentre la confessiamo viva e reale, realmente ci trasforma”. (Mm 5). Poi nella conoscenza doverosa delle Sacre scritture, che insieme alla Tradizione, costituiscono l’unica fonte della Divina Rivelazione: “Sa ogni comunità, in una domenica dell’Anno liturgico, potesse rinnovare l’impegno per la diffusione, la conoscenza e l’approfondimento della Sacra Scrittura: una domenica dedicata interamente alla Parola di Dio” (Mm 7). Praticamente il Papa propone ad ogni comunità un ritiro spirituale annuale sulla Sacra Scrittura. Viene resa permanente l’esperienza dei Sacerdoti missionari della misericordia “come espressione diretta della mia sollecitudine e vicinanza”, ribadisce il Papa (n. 9).
L’aspetto mediaticamente più delicato appare l’estensione permanente, a tutti i sacerdoti, della facoltà di assolvere dal peccato di aborto. I primi tentativi della grande stampa di stravolgere quanto affermato dalla Lettera Apostolica, sono evidenti e preoccupanti: “Assoluzione per l’aborto” è stato infatti il lancio dell’ANSA ieri alle 12.31. Cerchiamo di fare di chiarezza. Innanzitutto Papa Francesco non ha tolto la scomunica Latae Sententiae per chi si macchia del peccato di aborto ed è al corrente dell’esistenza di quella pena canonica. Ciò significa che nulla cambia nella reale considerazione della Chiesa, circa la gravità del peccato di
aborto: “Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente” (Mm 12), ma “perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi…”. Lo scopo della concessione, dunque, è che un numero sempre maggiore di uomini e donne si rendano conto della gravità del peccato di aborto, se ne pentano sinceramente, possano chiedere ed ottenere il perdono (e la remissione della scomunica) e propongano in modo risoluto di non commetterlo mai più. Si deve riconoscere che ciò avveniva già ordinariamente, quando il confessore valutava “l’eccezionalità del caso” e che fosse “grave incomodo” per il penitente tornare una seconda volta o cercare un confessore “autorizzato”. Per facilitare la riconciliazione, senza in nulla mutare la natura del peccato di aborto ed il relativo giudizio morale di male intrinseco, che mai può essere giustificato, il papa ha ritenuto, nella sua magnanimità, di concedere tutti i sacerdoti tale facoltà. È un grande atto di fiducia verso i sacerdoti, che sono chiamati ad una grande responsabilità, di formazione innanzitutto.
Sempre nell’ottica della magnanimità, il Papa prolunga la facoltà di ascoltare le confessioni sacramentali dei fedeli per i sacerdoti della Franternità San Pio X: “per il bene pastorale di questi fedeli, e confidando nella
buona volontà dei loro sacerdoti perché si possa recuperare, con l’aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa Cattolica, stabilisco per mia propria decisione di estendere questa facoltà oltre il periodo giubilare, fino a nuove disposizioni in proposito, perché a nessuno venga mai a mancare il segno sacramentale della riconciliazione attraverso il perdono della Chiesa” (n. 12), riconoscendone indirettamente un certo “statuto giuridico”, poiché, almeno in quel campo agiscono a nome della Chiesa, e nel contempo esercitando una riconosciuta giurisdizione su di essi.
È stabilita, infine, la GMP, la Giornata Mondiale dei Poveri che si dovrà “celebrare in tutta la Chiesa, nella ricorrenza della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario” (Mm 21).
Accanto alla GMG ideata da San Giovanni Paolo II, sono delineate le coordinate del futuro della Chiesa: una nuova generazione, attenta alle relazioni, capace di superare il falso mito di un individualismo nichilista, ed attenta ai più deboli.
Questa, in sintesi, la vera rivoluzione culturale proposta: “sono amato, dunque esisto” (Mm 16).

di don Salvatore Vitiello

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