Movienerd – Cinema – I FIGLI DEL FIUME GIALLO

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I figli del fiume giallo – “I figli del fiume giallo” è un film di Jia Zhangke con  Zhao Tao, Liao Fan, Zheng Xu, Casper Liang, Feng Xiaogang, Yinan Diao, Yibai Zhang

Qiao è innamorata di Bin, un gangster locale. Nel corso di una rissa tra bande rivali, Qiao apre il fuoco per difenderlo. Questo gesto di lealtà le costerà cinque anni in carcere. Quando viene rilasciata, si rimette sulle tracce di Bin per riallacciare i rapporti con lui.

Nella fase di montaggio dei miei precedenti film Ren Xiao Yao, la cui protagonista è Zhao Tao, ha dichiarato il regista Jia Zhang-Ke , ho deciso di semplificare la trama eliminando alcune delle sue scene d’amore. Ma quando ho riguardato quelle scene tagliate, i due personaggi da lei interpretati si sono in qualche modo fusi nella mia mente. Ho immaginato una donna nata e cresciuta nella mia città natale, in una regione mineraria nel nordovest della Cina. Il suo nome è Qiaoqiao (“Qiao” come diminutivo) e si innamora di un tizio appartenente al jianghu. Il loro tormentato amore sarebbe stato l’inizio della storia. Nel 2006, raggiungono l’età matura e l’uomo parte per la regione delle Tre Gole. Lei lo segue, ma il loro rapporto si è incrinato. Tutto quello che sarebbe successo di lì in avanti mi avrebbe permesso di scatenare la mia fantasia. Quando riguardo il personaggio interpretato da Zhao Tao in Ren xiao Yao, vedo purezza, semplicità e amore incondizionato. Tuttavia, quando rivedo la donna che ha impersonato in Still Life, osservo complessità, tristezza e una maschera che cela i veri sentimenti. Il tempo ha cambiato il suo aspetto, ma il cinema registra il modo in cui gli anni l’hanno forgiata. Quelle scene tagliate mi hanno spinto a immaginare cosa ne sarebbe di quella donna – e dell’uomo che aveva amato – ai giorni nostri. Ho preso a prestito il titolo cinese del film Jianghu Ernu (“Figli e figlie del Jianghu”) dall’ultimo progetto di Fei Mu, il maestro del cinema cinese attivo negli anni 1930 e 1940, meglio conosciuto per Xiaocheng Zhi Chun. La sceneggiatura scritta da Fei Mu era poi stata filmata da Zhu Shilin. Il film aveva il titolo inglese The show must go on è una storia ambientata in un circo in tournée. Il mio film non ha nulla a che vedere con quella storia, ma adoravo il titolo cinese. La parola cinese “Ernü” (“figli e figlie”) connota uomini e donne che osano amare e odiare. L’altra parola che compone i titolo, “Jianghu” (che significa letteralmente “fiumi e laghi”, benché sia difficile coglierne il vero significato in italiano), evoca un universo di emozioni drammatiche e, naturalmente, di pericoli reali. Associando queste due parole che compongono il titolo, appare un mondo di individui che osano sfidare l’ordine costituito e che vivono secondo i principi morali della bontà e dell’ostilità, dell’amore e dell’odio. Il titolo cinese dice quasi tutto. La coppia del film vive ai margini della società. Sopravvive sfidando l’ordine sociale convenzionale. Non ho cercato di difenderli, ma piuttosto di immedesimarmi nelle loro disgrazie. Per certi aspetti, mi hanno fatto ripensare ai primi dieci anni della mia carriera, quando per me era rischioso fare film che esprimessero con chiarezza i miei sentimenti e i miei pensieri autentici nei confronti della società. Dunque mi sono buttato nella scrittura della sceneggiatura come se si trattasse di un personale viaggio emotivo: la mia gioventù perduta e i miei sogni per il futuro. Vivere, amare ed essere libero. Il film si apre in Cina all’inizio del XXI secolo e si chiude nel 2018. Ho sempre amato le storie che si sviluppano su un ampio arco temporale: il tempo detiene i segreti della vita, le storie e le esperienze. Il jianghu appartiene a coloro che non hanno una dimora. Nella prima parte del film, il jianghu è il teatro dei conflitti tra le diverse bande criminali nella provincia dello Shanxi. È anche il luogo in cui la vecchia generazione percepisce un senso di crisi nella nuova generazione. È una storia simile a quella di un western, ambientata in un panorama desolato, in un clima freddo, in prossimità di vecchie miniere di carbone. La seconda parte del film si svolge nella zona delle Tre Gole, in riva al fiume Yangtze, dove la costruzione di una diga rischia di far scomparire intere città. La protagonista, Qiao, vittima di un inganno, inganna gli altri a sua volta: utilizza le tecniche di sopravvivenza apprese in prigione per negoziare il suo posto ai margini di questa società. L’ultima parte ci riporta nello Shanxi, dove il protagonista maschile Bin parte per un nuovo viaggio proprio perché sente la mancanza e ha bisogno del jianghu – i luoghi che ridaranno vita al suo dramma interiore. Ed è proprio lì che Qiao ha scelto di sistemarsi, alla ricerca di qualcosa che la stimoli. C’è un luogo nel film che Qiao non riuscirà mai a raggiungere: lo Xinjiang, nel profondo nordovest della Cina. Forse ciascuno di noi possiede un luogo così, un posto dove non riuscirà mai ad arrivare, non per via della distanza geografica, ma perché è troppo difficile ricominciare una nuova vita. Non siamo in grado di separarci dai nostri legami emotivi, dai nostri amori, dai nostri ricordi e dalle nostre abitudini che ci impediscono di volare alto. Questi legami sono come la forza di gravità che ci inchioda sulla terra e ci preclude la possibilità di andare nello spazio. Una forza di gravità emotiva che ci mantiene saldamente legati ai nostri rapporti sociali e ci impedisce di andarcene liberamente. E quando lottiamo per liberarci, il risultato si riflette nella nostra dignità di esseri umani. Oggi ho 48 anni di esperienza di vita e desidero utilizzarli per raccontare una storia d’amore ambientata nella Cina contemporanea che ha attraversato trasformazioni epiche e drammatiche. Mi fa sentire di aver vissuto tutto questo io stesso e di continuare a viverlo.

JIA ZHANG-KE ha risposto ad alcune domande sul film….

La struttura di I figli del fiume giallo fa eco al contesto temporale di Al di là delle montagne, ma stavolta il tono e i personaggi sono molto diversi. Perché ha deciso di interessarsi ai protagonisti del mondo criminale del jianghu?

“La mistica del jianghu svolge un ruolo molto importante nella cultura cinese. Molte gang malavitose si sono costitute nell’antica Cina e sono radicate in determinate regioni o industrie. Erano reti che trascendevano i rapporti famigliari e le identità dei clan locali, fornendo sostegno e uno stile di vita alle persone appartenenti alle classi più disagiate. Il simbolo spirituale più conosciuto della cultura del jianghu è il Signore Guān. Rappresenta la lealtà e la rettitudine, valori fondamentali del jianghu. Si vede un esempio di questo nella sequenza d’apertura del film: il personaggio di Jia rifiuta di riconoscere il suo debito nei confronti di un tizio e Bin lo costringe a confessare la verità di fronte alla statua del Signore Guān, il loro totem spirituale. Dopo la vittoria comunista del 1949, in Cina le bande criminali sono gradualmente scomparse. I personaggi di I Figli del fiume giallo non appartengono a gang tradizionali. Sono gruppi malavitosi che sono nati a seguito del movimento di “riforma e apertura” di fine anni ’70 e hanno ereditato il retaggio violento degli anni della “Rivoluzione Culturale”. Hanno adottato i principi morali e i protocolli dei film sui gangster di Hong Kong degli anni ’80. Hanno sviluppato un particolare modo tutto loro di gestire i rapporti umani per sopravvivere e aiutarsi reciprocamente in mezzo a tutti i drastici cambiamenti sociali che la Cina stava attraversando. Il jianghu è un mondo di avventure e di emozioni che non esiste da nessun’altra parte. Mi hanno sempre interessato le storie d’amore del jianghu in cui i protagonisti non temono né l’amore né l’odio. La vicenda di questo film copre un arco di tempo dal 2001 al 2018, anni di enormi sconvolgimenti sociali, in cui i valori tradizionali delle persone e i loro stili di vita hanno subito una trasformazione incredibile. E tuttavia il jianghu resta ancorato ai suoi valori e ai suoi codici comportamentali e a modo suo funziona. Può sembrare ironico, ma io lo trovo curiosamente attraente. Qiao e Bin non si sono sposati. Per come la vedo io, è il loro destino, ma è anche un simbolo del loro spirito ribelle”

Ha tratto ispirazione da fatti realmente accaduti, come aveva fatto per Il Tocco del Peccato o si tratta di una storia di pura finzione?

“Si tratta di finzione, ma si ispira a tutta una serie di voci sul jianghu. Alcuni dettagli mi sono stati suggeriti da degli amici. La prima sezione del film comprende delle immagini che ha girato quasi vent’anni fa”.

È stato quel materiale il punto di partenza dell’intero progetto?

“Ho acquistato la mia prima videocamera digitale nel 2001. L’ho portata con me a Datong, nella provincia dello Shanxi, e ho girato tonnellate di materiale, in modo totalmente aleatorio. Ho filmato la gente nelle fabbriche, alle fermate degli autobus, sugli autobus, nelle sale da ballo,  nelle saune, nei bar di karaoke, in ogni genere di luogo. Ho continuato a filmare così fino al 2006, quando ho fatto Still life. Di recente, quando ho ricominciato a guardare quel materiale, mi sono reso conto che mi era sempre più estraneo. Avevo sempre pensato che i cambiamenti nella società cinese avvenissero in modo graduale, non dall’oggi al domani. Quindi, riprendendo in mano quelle vecchie immagini sono rimasto scioccato nel constatare la rapidità con cui le cose sono mutate. Solo quando riguardo quei video mi ricordo come era la città in quegli anni. Prima di scrivere la sceneggiatura di I figli del fiume giallo, ho montato un documentario di dieci minuti a partire da quel vecchio materiale che mi aveva risvegliato così tanti ricordi. Il film inizia con un frammento girato su un autobus pubblico: volevo aprire il film con quella sequenza perché i viaggi hanno un ruolo fondamentale nella mitologia del jianghu. I racconti delle leggende del jianghu sottolineano sempre il carattere avventuroso di coloro che errano. Quei volti che si vedono sull’autobus mi ricordano una massima filosofica del jianghu: “Dove ci sono delle persone, esiste il jianghu”. Il nome “jianghu” significa letteralmente “fiumi e laghi”, ma nella filosofia cinese il termine denota delle “persone diverse”. I protagonisti della storia hanno incontrato più persone della maggior parte di noi, quindi era necessario che il film iniziasse con un’immagine di gruppo”.

È tornato alle Tre Gole per la parte centrale del racconto. Si tratta di una regione che rappresenta il progresso e lo sviluppo della Cina e al tempo stesso la perdita delle vecchie comunità e delle tradizioni. Cosa continua ad attirarla laggiù?

“Sì, è diventata una location importante nei miei film, sia perché illustra i drastici cambiamenti della Cina moderna, sia perché il paesaggio vero e proprio resta più o meno inalterato e continua ad assomigliare a un dipinto tradizionale cinese. La regione delle Tre Gole si trova sul fiume Yangtze (in cinese, il “Changjiang”), dove praticamente ciascun cantone possiede un approdo in riva al fiume. Un numero incalcolabile di imbarcazioni ogni giorno scarica orde di persone e ne porta via altrettante. C’è un movimento incessante e una perenne sensazione di caos. Il progetto della diga nella regione ha costretto moltissime persone a trasferirsi altrove. Da un lato, si tratta di un progetto nazionale gigantesco, dall’altro ha spezzato intere famiglie e legami affettivi. La vicenda del film inizia a Datong, nella provincia dello Shanxi, in un freddo e arido nord, poi si sposta nelle Tre Gole, nel caldo e umido sud ovest. Le radicali differenze nell’ambiente aprono un vasto spazio per il film. Qiao intraprende un lungo viaggio di esilio, dallo Shanxi fino a Xinjiang nell’estremo nord-ovest, dove sogna una nuova vita. Percorre più di 7.700 km nel paese nel corso di questa storia. Le popolazioni che vivono nella regione delle Tre Gole parlano tutte dialetti distinti e nel mio film io volevo proprio parlare anche della diversità linguistica. Nella prima parte, sentiamo i dialoghi nel dialetto dello Shanxi, mentre nella parte centrale il dialetto che sentiamo è quello di Chongqing, più acuto”.




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