7 Ottobre 1985: il dramma dell’Achille Lauro

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Achille Lauro – Poco dopo le 13 del 7 ottobre 1985 – iniziava il dirottamento della nave da crociera italiana Achille Lauro. La nave fu dirottata da quattro militanti dell’FLP, il Fronte per la Liberazione della Palestina, un gruppo radicale dell’OLP, l’organizzazione politica e paramilitare fondata nel 1964 e guidata per molti anni da Yasser Arafat. I quattro dirottatori dell’Achille Lauro – Bassām al-ʿAskar, Aḥmad Maʿrūf al-Asadī, Yūsuf Mājid al-Mulqī e ʿAbd al-Laṭīf Ibrāhīm Faṭāʾir – chiedevano la liberazione di circa 50 palestinesi detenuti in Israele. Il dirottamento durò molte ore, riguardò molti passeggeri e membri dell’equipaggio di diverse nazionalità e si capì molto presto che aveva un motivo politico, legato all’opposizione tra Palestina e Israele. Per queste ragioni in quei giorni si parlò del dirottamento in tutto il mondo, non solo in Italia. Una volta terminato, il dirottamento ebbe anche importanti conseguenze diplomatiche che riguardarono Stati Uniti e Italia.

Quando fu dirottato, l’Achille Lauro stava facendo una crociera nel Mediterraneo: i quattro dirottatori si imbarcarono a Genova, con dei documenti falsi, e iniziarono il loro dirottamento al largo delle coste egiziane: uno di loro spiegò al termine del dirottamento che l’intenzione era di compiere un attentato in un porto israeliano in cui la nave avrebbe dovuto attraccare ma che i dirottatori si trovarono – dopo essere stati scoperti – a dover “improvvisare” un dirottamento. Seppur improvvisato, il dirottamento fu da subito molto efficace: i quattro dirottatori riuscirono a prendere il controllo della nave, su cui c’erano oltre 400 tra membri dell’equipaggio e passeggeri (alcune altre centinaia di passeggeri erano invece a terra, perché stavano facendo un’escursione in Egitto).

Nell’ottobre del 1985 il governo italiano era guidato da Bettino Craxi: il ministro degli Esteri era Giulio Andreotti e il ministro della Difesa era Giovanni Spadolini. Craxi e i suoi ministri si trovarono a gestire una situazione che sin dalle prime ore si complicò molto: si pensò inizialmente a una soluzione militare e la sera del 7 ottobre l’Italia inviò a Cipro più di 50 incursori paracadutisti del “Col Moschin”, un reparto di forze speciali dell’esercito italiano. Nella notte tra il 7 e l’8 ottobre si decise invece di scegliere la strada diplomatica: l’Italia trovò in Yasser Arafat un importante mediatore. Arafat negò che lui e l’OLP avessero a che fare con il dirottamento e iniziò a collaborare per trovare una mediazione con i dirottatori. Grazie ad Arafat furono scelti due mediatori: Hani El Hassan e Abu Abbas.

Tra l’8 e il 9 ottobre i due mediatori inviati grazie all’aiuto di Arafat riuscirono a porre fine al dirottamento: i quattro dirottatori salirono su una motovedetta diretta in Egitto, con l’assicurazione che da lì avrebbero potuto poi recarsi in qualsiasi paese arabo di loro scelta. Una volta terminato il dirottamento si scoprì però che l’8 ottobre i quattro militanti del FLP avevano ucciso e gettato in mare Leon Klinghoffer: un passeggero disabile, cittadino statunitense di religione ebraica. Alla conferma dell’uccisione di Klinghoffer gli Stati Uniti decisero di opporsi agli accordi presi tra i mediatori (e quindi lo Stato italiano) e i dirottatori. Nel 1985 il presidente degli Stati Uniti era Ronald Reagan, che durante le precedenti fasi del dirottamento si era opposto ad ogni tipo di negoziazione con i dirottatori, che avevano più volte minacciato di uccidere alcuni passeggeri iniziando da quelli statunitensi.

Alla ripartenza dell’aereo con destinazione Ciampino si unirono al velivolo egiziano un velivolo del SISMI (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare) che era nel frattempo giunto con l’ammiraglio Fulvio Martini (che nelle prime ore della crisi era stato costretto a seguire le trattative solo per via telefonica) e a una piccola scorta di due F-104S decollati dalla base di Gioia del Colle e altri due decollati da Grazzanise, voluta dallo stesso Martini. Nel frattempo un F-14 statunitense decollò dalla base di Sigonella senza chiedere l’autorizzazione e senza comunicare il piano di volo e cercò di rompere la formazione del Boeing e dei velivoli italiani, sostenendo di voler prendere in consegna il velivolo con Abbas a bordo, venendo però respinto dagli F-104 di scorta.

Una volta giunti a Ciampino, intorno alle 23:00, un secondo aereo statunitense, fingendo un guasto, ottenne l’autorizzazione per un atterraggio di emergenza e si posizionò sulla pista davanti al velivolo egiziano, impedendone un’eventuale ripartenza. Su ordine di Martini al caccia venne allora dato un ultimatum di cinque minuti per liberare la pista, in caso contrario sarebbe stato spinto fuori pista da un Bulldozer; dopo tre minuti il caccia statunitense ridecollò, liberando la pista.

L’11 ottobre gli Stati Uniti riuscirono così a obbligare l’aereo diretto a Tunisi ad atterrare nella base NATO di Sigonella, in Sicilia. L’atterraggio avvenne dopo che Craxi diede a Reagan il “permesso” di far atterrare gli aerei militari statunitensi e l’aereo che trasportava i dirottatori. Dopo l’atterraggio Craxi e il suo governo decisero però di non lasciare che i militari statunitensi si avvicinassero all’aereo con i dirottatori dell’Achille Lauro (in cui tra l’altro, si scoprì anni dopo, c’erano alcuni militari egiziani armati). Per impedire che i militari statunitensi si avvicinassero a dirottatori e mediatori (“scortati” dai militari egiziani) furono inviati nella base di Sigonella dei carabinieri italiani a protezione dell’aereo.

E non si tratta solo di difesa dell’orgoglio nazionale; a bordo dell’aereo infatti, ricorderà Craxi anni dopo, c’erano anche dieci militari egiziani, guidati da un ufficiale che aveva l’ordine di difendere l’aereo con le armi. Se gli americani fossero entrati con la forza, ci sarebbe stata una battaglia in piena regola.

Gli Stati Uniti richiesero nuovamente la consegna di Abu Abbas, in base agli accordi di estradizione esistenti tra Italia e USA, senza tuttavia portare prove del reale coinvolgimento del negoziatore nel dirottamento. I legali del Ministero di Grazia e Giustizia e gli esperti in diritto internazionale consultati dal governo ritennero comunque non valide le richieste statunitensi.

Quella che divenne nota come la “crisi di Sigonella” portò quindi a una situazione di tensione nell’aeroporto di Sigonella e a quella che fu una complicata trattativa diplomatica tra Craxi e Reagan. Craxi riuscì a ottenere la custodia di mediatori e dirottatori, che furono portati nel carcere di Siracusa. Dopo complesse trattative i mediatori palestinesi furono invece lasciati liberi di volare verso Belgrado. Fu Craxi a decidere di lasciare liberi i due mediatori, senza prima consultarsi con Spadolini, più vicino di Craxi agli Stati Uniti. Spadolini avrebbero preferito trattenere i due mediatori, senza lasciare che andassero a Belgrado. Poco dopo che i due mediatori volarono a Belgrado si scoprì che uno di loro – Abu Abbas – era direttamente implicato nel dirottamento: era stato lui a ordinarlo e fu condannato all’ergastolo in contumacia. Abbas andò poi in Iraq e lì fu catturato nel 2013 dai militari statunitensi: morì in carcere l’anno successivo.

I quattro dirottatori furono invece processati e condannati a Genova. Tornò a Genova anche l’Achille Lauro, che negli anni successivi riprese a fare crociere, fino a quando nel 1994 prese fuoco e affondò. Le vicende che portarono al dirottamento dell’Achille Lauro e soprattutto le complicate e mai del tutto chiare trattative della “crisi di Sigonella” sono ricordate e raccontate come un’importante momento della politica italiana e della sua diplomazia. Le tensioni diplomatiche tra Italia e Stati Uniti si risolsero alcune settimane dopo con una lettera che Reagan scrisse a Craxi. Prima della “crisi di Sigonella” Craxi aveva infatti programmato una visita ufficiale negli Stati Uniti, ma dopo i fatti di Sigonella l’aveva cancellata. La lettera di Reagan – famosa per il suo incipit: “Dear Bettino” – convinse Craxi a riconsiderare la sua scelta e a recarsi comunque negli Stati Uniti.




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