Le Teil – L’11 novembre del 2019 la Francia meridionale è stata colpita da un terremoto di magnitudo MW 4.9 che ha danneggiato alcune centinaia di edifici nella cittadina di Le Teil, a circa 10 km da Montelimar, causando anche alcuni feriti (Figura 1). La regione è caratterizzata da attività tettonica e livello di sismicità molto bassi, quasi nulli e, anche per questo motivo, vi sono state installate diverse centrali nucleari. Quest’area della Francia è nota anche per essere caratterizzata da una intensa attività estrattiva. In particolare, proprio nelle vicinanze di Le Teil c’è una importante cava dalla quale viene prelevato calcare per cemento fino dal 1833. A suo tempo la cava servì a fornire materiale per la costruzione del canale di Suez (1859-1869).

La quantificazione del volume di roccia sottratto dalla superficie, unitamente all’analisi di sismogrammi e della deformazione causata in superficie dal terremoto, hanno permesso di stabilire che l’attività estrattiva ha verosimilmente innescato il terremoto.
Tutti i terremoti avvengono a causa di variazioni delle condizioni dello sforzo all’interno della crosta terrestre. Le spinte legate al lento movimento delle placche caricano, nel corso di secoli o millenni, sforzo che viene accumulato fino a che, in qualche punto della crosta, inizia la rottura perché lo sforzo accumulato non è più in equilibrio con la resistenza delle rocce. Questo avviene lungo le superfici di faglia, che rappresentano punti di maggiore debolezza, cioè quelli in cui la soglia di rottura viene raggiunta prima.
Un terremoto può avvenire sia perché lo sforzo è accumulato fino a superare la resistenza della roccia, sia perché la resistenza stessa della roccia diminuisce scendendo al di sotto dello sforzo accumulato fino a quel momento. In generale, queste variazioni sono il risultato di processi naturali, principalmente legati alla tettonica e alla circolazione di fluidi nella crosta. Ma può capitare che attività umane – per lo più legate a operazioni industriali effettuate in superficie o che interessano i primi chilometri di profondità – riescano a produrre variazioni di sforzo o degradazioni della resistenza tali da portare una faglia alla rottura.
A causa della bassa sismicità, non sono presenti stazioni sismiche nell’area più prossima a quella colpita dal terremoto e la sua localizzazione tradizionale, basata sul tempo di arrivo delle onde sismiche alle stazioni sismiche, risulta abbastanza incerta. L’analisi di dettaglio delle fratture causate in superficie dal terremoto e di alcuni sismogrammi ha però rivelato che l’ipocentro del terremoto deve essere localizzato immediatamente a ovest della cava di Le Teil e a profondità di circa 1 km (Ampuero et al., 2019) (Figura 1).
Oltre a essere caratterizzato da una profondità ipocentrale anomalmente bassa per un evento sismico di magnitudo MW 4.9, contrariamente a quanto avviene di solito questo terremoto è stato seguito da un numero molto ridotto di repliche. Queste peculiarità e la vicinanza della cava all’area epicentrale hanno fatto sorgere nell’opinione pubblica il dubbio che in qualche modo il terremoto potesse essere legato alle attività estrattive (es., https://www.
In casi come questo, la scienza ha una sola possibilità di procedere per cercare di dare una risposta: fare i conti! L’unico modo per verificare la sussistenza o meno di questo legame dunque è costruire una immagine quanto più accurata della faglia su cui si è generato il terremoto e quantificare la massa estratta nel corso degli anni dalla superficie, valutando le variazioni di sforzo e/o di resistenza che l’estrazione ha causato sulla faglia.
L’analisi della deformazione permanente causata in superficie dal terremoto è ormai una tecnica largamente utilizzata per determinare le caratteristiche della rottura in profondità, sulla faglia. In particolare, l’uso di immagini acquisite dai satelliti (con la tecnica DInSAR) prima e dopo il sisma permette di valutare le modifiche anche minime (dell’ordine di qualche centimetro) che il terremoto ha causato sulla morfologia dell’area colpita. Da questa, attraverso simulazioni computerizzate, si possono ricostruire la posizione e la geometria della rottura che l’hanno causata. Nel caso particolare, nonostante la magnitudo relativamente limitata del terremoto, i risultati mostrano una geometria complessa, con la dislocazione distribuita su due superfici di faglia, non parallele (Figura 2), localizzate proprio nell’area in cui si trova la cava. Studi molto recenti suggeriscono che su queste faglie non ci sono tracce di movimenti recenti e molto probabilmente non sono avvenuti terremoti almeno nelle ultime migliaia o anche decine di migliaia di anni (Ritz et al., 2020).

I modelli digitali della topografia, ricostruiti attraverso immagini aeree acquisite nel tempo (negli anni 1946, 1979, 2007 e nel 2011, ultima data disponibile) sulla stessa area permettono di quantificare il volume di roccia sottratto progressivamente alla montagna. Nel caso specifico però, l’attività estrattiva nella cava di Le Teil ha avuto inizio quando l’aereo neanche era stato ancora inventato, ma per fortuna nella prima metà del XIX secolo già si disegnavano carte topografiche molto precise. Quelle dell’area di Le Teil permettono di ricostruire la morfologia iniziale con buona approssimazione, fornendo quindi il riferimento iniziale rispetto al quale valutare il volume estratto (Figura 3a). Dal calcolo risulta che un volume totale di oltre 42.000.000 di m3 è stato asportato dal 1833 al 2011, con un grande incremento nella velocità di estrazione, da circa 100.000 m3 all’anno per il periodo 1833-1946, a oltre 237.000 m3 all’anno tra il 2007 e il 2011.

Dalla stima del volume estratto dalla cava e assumendo per la densità del tipo di roccia (calcare) il valore 2300 kg/m3, si può facilmente determinare la massa sottratta e quindi calcolare le variazioni di sforzo prodotte sulla faglia. Il risultato è che la grande quantità di roccia estratta avrebbe sia aumentato lo sforzo sulla superficie della faglia che poi si sarebbe rotta (variazione di sforzo di taglio, Figura 3b), sia diminuito la sua coesione (variazione dello sforzo normale, Figura 3b), diminuendone la resistenza. La variazione massima avviene in corrispondenza del punto in cui poi inizierà la rottura. Al 2011questa variazione era maggiore di 1 MPa (megaPascal), un valore notevole se si considera che, in alcuni casi, anche 0.01 MPa possono essere sufficienti a causare la rottura della faglia. Ma il valore effettivo nel 2019, al momento dell’accadimento del terremoto, era certamente molto maggiore, poiché in questi ultimi anni l’attività estrattiva ha subito una ulteriore accelerazione, come si può desumere dal notevole incremento di esplosioni utilizzate per frantumare la roccia (Figura 1a).
La corrispondenza dell’area di massima variazione di sforzo sulla faglia con quella in cui è avvenuta praticamente tutta la dislocazione rappresenta una conferma che questa variazione potrebbe avere effettivamente causato il terremoto. Di certo le variazioni di sforzo causate dall’attività estrattiva hanno accumulato sforzo sulla faglia con una velocità di svariati ordini di grandezza maggiore di quella con cui agiscono le forze tettoniche nell’area. Infatti, le misure effettuate indicano che nella regione lo sforzo si accumula con una velocità di circa 6 Pa all’anno e, a questo ritmo, ci sarebbero voluti oltre 160.000 anni per produrre sulla faglia una variazione di sforzo pari a quella causata dall’attività umana. Questo vuol dire che se mai un terremoto fosse avvenuto naturalmente su quelle faglie, cosa che non è detta, sarebbe avvenuto tra oltre 160.000 anni, dunque è ragionevole concludere che il terremoto del novembre 2019 sia stato causato dall’attività estrattiva o, quanto meno, che il suo tempo di accadimento sia stato anticipato di almeno 160.000 anni (Figura 4).

È importante osservare, infine, che la rimozione di massa in superficie ha prodotto variazioni di sforzo anche a profondità maggiori di quelle interessate dalla rottura. A quelle profondità, però, la faglia è più resistente e quindi la variazione di sforzo non è stata sufficiente ad attivare quella porzione di piano. Ma questo vuol dire anche che ulteriori estrazioni di roccia dalla cava potrebbero produrre variazioni di sforzo aggiuntive, sufficienti per superare la resistenza anche a profondità maggiori, causando un terremoto di energia maggiore di quello dell’11 novembre 2019.
A cura di Vincenzo Convertito e Nicola Alessandro Pino, INGV-Osservatorio Vesuviano