La metafisica e i cartoon spiegati a mio figlio

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Lotto spesso con mio figlio. Giochiamo a provocarci. Da un paio di anni lui pratica Judo e ogni tanto cerca di mandarmi giù, cogliendomi di sorpresa. La sera ormai supero la soglia di casa guardingo come l’ispettore Clouseau in attesa di Kato. Se aggiungete che la madre collabora segretamente col figlio mentendomi spudoratamente sulla sua presenza in casa, capite bene che la cosa sta assumendo sempre più i toni di una, non tanto velata, vendetta intra-coniugale le cui incomprensibili motivazioni meritano un’analisi a parte. Almeno una decina di post (sto scherzando Giuseppe!). Per ora mi difendo. Da tutti.

Le nostre sono arti marziali miste, improvvisate, ed ogni tanto sferriamo dei pugni. Il venerdì sera preferiamo inscenare quello famoso, il pugno incrociato tra Rocky Balboa e Apollo Creed, perché, come da copione tra il terzo Rocky dell’82 ed il quarto dell’85, anche noi rimaniamo lì fermi il più possibile, sospesi nel tempo. Il sabato tanto non si va a scuola. Creiamo enfasi con lo slow motion. In verità gli lascio il tempo di raccontarmi la settimana. Succede però che, nei combattimenti a velocità reale, un colpo parte per davvero, provocando qualche contusione. Poca cosa, per carità. Una bazzecola rispetto al rischio di collasso cardiaco della madre che urla per il figlio “colpito a morte”. Urla che non sento quando ad essere ferito è il sottoscritto. Immagino perché coperte dagli scrocianti applausi provenienti da una imprecisata stanza…

Papà, hai un pugno d’acciaio!!

Se devo essere sincero, ancor prima di Rocky Balboa, alla tua età seguivo le gesta di Rocky Joe e poi di Forza Sugar. Due anime sportivi molto in voga ai miei tempi. Il primo molto cupo, il secondo sicuramente più interessante. La sua storia merita di essere raccontata perché la forza del piccolo protagonista ha del misterioso.

Il piccolo Sugar (Genki Horiguchi nella versione giapponese) ha soli 5 anni, è orfano della mamma, morta proprio durante il parto. Vive col papà Peter “pugno d’acciaio” Pepper (Hideki “Shark” Horiguchi), ex-pugile professionista, non eccelso fra i pesi leggeri, ritiratosi alla nascita di Sugar. Conducono una vita dignitosa caratterizzata da un affetto profondo. I nonni materni non condividono la scelta di vita del genero che indirettamente reputano responsabile della morte della figlia. Peter torna a combattere ma in un incontro con Kenji Seki viene sconfitto duramente. Riporta dei traumi alla testa che sommati al calo di peso necessario per tornare in categoria lo costringono ad un ricovero urgente.

Siccome aveva promesso al piccolo Sugar di portarlo al Luna park, abbandona il letto d’ospedale e lo accompagna, ma muore seduto sulla panchina accanto al figlioletto che lo crede addormentato. Una scena straziante. Il bimbo oramai solo viene accolto dai facoltosi nonni che lo accudiscono, dandogli un’istruzione adeguata. Sugar si allena di nascosto indossando i guantoni del padre. Prosegue negli esercizi, prima da solo, poi sotto la guida attenta del signor Mishima. L’anime finisce col trasferimento di Sugar a Tokyo dove finalmente accede nel mondo del pugilato professionistico, mantenendo così la promessa fatta sulla tomba del padre. Il manga invece ci propone il finale tanto atteso: Sugar vince il campionato mondiale mandando al tappeto proprio Kenji Seki.

Figlio mio, se continui senza sosta a muovere i pollici sulla Wii, il resto della mano non sarà più capace di afferrare una mela. Se non alleni il resto del corpo e della mente, ti ritroverai ad essere utilizzato come un’amiibo. Il virtuosismo virtuale dissimula un’inabilità a lavorare il reale. Come Peter vorrei introdurti all’esercizio delle virtù naturali. Perché ti voglio bene.

Sugar nella sua vita le ha date ma anche prese. Conosce bene la potenza distruttiva che certi pugni possono infliggere su un’anima. La fortezza è quella virtù naturale che lo aiuta a contrastare gli istinti nichilisti che vogliono demolirlo e precipitare al tappeto, nel nulla.

Ci sono pugni “strategici” come alcuni diretti che tendono a controllare l’avversario, a limitarne il movimento, a stancarlo gradualmente. Bisogna non fossilizzarsi, continuare a muoversi. Danzare seguendo il senso del proprio agire.

Ci sono pugni “temibili” come i ganci che ti investono ai lati, con potenza superiore ai primi. Meglio guardarsi attorno mentre stiamo in movimento.

Ci sono quelli “stellari” come i montanti, la testa colpita si solleva piegandosi all’indietro e quando arriva a fine corsa si vedono le stelle. È come se si spegnesse l’interruttore della coscienza. Bisogna ritirare il mento per rimanere vigile. Mai lasciarsi anestetizzare la coscienza. Va protetta, educata, abituata a riprendersi.

Ci sono anche colpi “invisibili” che vengono scaricati ad una velocità tale da sentire solo lo schiocco come fossero una frusta. Non conviene lasciare scoperta la testa, un colpo apparentemente innocuo potrebbe raggiungerla. Attenzione a questi “fantasmi”, sembrano leggeri, ma in realtà fanno un male cane.

Ci sono infine i colpi “bastardi”, quelli sotto la cintura. Chi vuole l’avversario morto picchia proprio lì.

Il colpo inferto sotto l’ombelico, figlio mio, oltre che dolorosissimo e anche molto pericoloso perché interessa gli organi genitali. Una zona che caratterizza l’uomo come maschio. Se sollecitata con violenza comporta l’incapacità di proseguire il combattimento. Ti traumatizzano i testicoli perché sperano di avere la meglio. Copri bene queste parti. Occhio alle scorrettezze. Tieni alla tua mascolinità.

La boxe è uno sport di “contatto” dove un uomo deve affrontare un altro uomo, il corpo deve rimanere sempre perfettamente bilanciato ed equamente distribuito su entrambe le gambe e con i piedi accarezzi continuamente il tappeto. Bisogna essere forti per rimanere o tornare in piedi.

Oggi vivi in una società in cui tutto viene spiegato a tutti, come se l’informazione “distribuita” potesse garantire di per se più “sicurezza”. Ma nessuno ti insegna ad essere forte. A coltivare concretamente la fortezza. Non fidarti del kit “il mondo spiegato in un click”, è puro ansiolitico. Cura i sintomi di una malattia che non si vuole comprendere in profondità. Il reale fondamento della fortezza è la realtà metafisica dell’esistenza del male; del male nel mondo umano e nel mondo diabolico; del male nella doppia forma della colpa e della pena. Del male che facciamo e del male che subiamo. Se non rammenti ciò non comprenderai più per cosa valga la pena lottare. La vita stessa perde senso. La forza accompagna la verità, la violenza l’errore. Ogni agire, per essere buono e sano, deve poggiare sopra una conoscenza vera; e ogni conoscenza per essere veramente tale, deve rispecchiare la realtà oggettiva. Se non rimarrai connesso alla realtà, rispettando il principio di evidenza, verrà meno in te il senso del dovere e sarai preda dei desideri, e non solo tuoi. La distrazione diverrà la condizione permanente della tua vita e giacerai inerme sul tappeto. Diverrai il tappeto di qualcun altro.

Il male esiste ed il contatto con un pugno può fartelo ricordare. I pugni che inevitabilmente riceverai modelleranno la tua struttura psicofisica. La forza che eserciti e quella che ti investe interferiscono con la tua psicologia, lavorano sul tuo carattere, modellano il tuo volto, ti ficcano nella concretezza del tempo, evidenziano il tuo agire. Se non coltivi i motivi e le energie per opporti al male, resterai prigioniero di te stesso e delle circostanze. Sii cosciente di essere un uomo con una identità e un destino precisi, con una storia unica e una vocazione comunitaria. Responsabile della tua vita e di quella altrui.

Per essere forte dovrai vincere la paura della ferita. La fortezza presuppone la vulnerabilità perché esser forti significa saper accettare una ferita (v. le ferite di Actarus). L’estrema e più profonda ferita è la morte. Se ti fanno un occhio blu, non disperare. Fai come Nick Fury: tieni d’occhio i Chitauri con quello buono. Non snervarti e aguzza gli altri sensi. L’escoriazione passerà presto. L’ombra opprimente della morte, richiamata dallo scuro ematoma, può essere guardata senza scivolare nel panico. È la fortezza a reggere lo sguardo, a conservare la lucidità, a mostrare le energie per continuare a vivere pur consapevoli della fine. Apprezza la vita, conoscila, amala e vivila al meglio. Se ti presenta incognite e difficoltà, “armati” per affrontarle. Chi si arma si anima. Se ami veramente, allora temerai e fai bene. Bisogna familiarizzare con la paura di perdere ciò che si ama. La forza presuppone che l’uomo tema il male e allo stesso tempo permette di non lasciarsi distogliere dal fare il bene. È forte chi giustamente ha paura e va oltre confidando nelle proprie capacità ma soprattutto nell’aiuto dall’Alto. Il dolore di un occhio tumefatto sarebbe altrimenti insopportabile.

Sarai veramente forte quando agirai con prudenza e secondo giustizia. Sugar emula il padre nella boxe, ha giurato sulla sua tomba che sarebbe diventato un campione, segue quindi i suoi consigli e quelli di Mishima. Cerca per quanto gli è possibile di non dispiacere ai nonni, si allena di nascosto. È prudente. Sa stare alle regole ed è giusto con sé stesso e gli altri, inclusi gli avversari. Riconosce addirittura a Kenji Seki di essersi battuto correttamente con il padre.

Si combatte con i pugni e la difesa. Resistenza ed assalto sono i due atti della fortezza. Ciò che gli è proprio è la resistenza perché, nel caso più grave, resistere è obbiettivamente l’unica opposizione che rimane. La più dura, come il martirio. Lo stesso Rocky Balboa raccomanda al figlio: “Il mondo non è tutto rose e fiori, è davvero un postaccio misero e sporco e per quanto forte tu possa essere, se glielo permetti ti mette in ginocchio e ti lascia senza niente per sempre. Né io, né tu, nessuno può colpire duro come fa la vita, perciò andando avanti non è importante come colpisci, l’importante è come sai resistere ai colpi, come incassi e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarti… così sei un vincente! E se credi di essere forte lo devi dimostrare che sei forte! Perché un uomo vince solo se sa resistere!

Nello scenario più comune, il ring della vita chiama a rateizzare il proprio martirio in comode rate anticipate, nella resistenza quotidiana. Nell’ordinarietà ci mette di fronte ad eventi sui quali non possiamo intervenire se non implorando la mano forte di Colui che tutto può. Occorre pazienza, cioè non perdere la serenità e andare avanti.

Ci sono però tante altre situazioni in cui siamo chiamati ad intervenire. Dove è necessario attaccare. Occasioni in cui la nostra ira può energizzare l’assalto nei confronti del male, perché indietreggi.
Se ciò è sensatamente possibile. Per assalire occorre coraggio, fiducia in sé stessi e sperare nella riuscita. Speranza nelle proprie capacità e nell’aiuto di Dio. La rabbia che senti defluire nei tuoi pugni, è l’ira che anela al combattimento. Un canto all’amore prima della battaglia. Ti arma perché tu possa realizzare la tua vocazione, compiere il tuo destino. Agendo contro chi ti ostacola.

L’immagine evangelica “… come agnelli tra i lupi” è la condizione ideale del cristiano nel mondo. Cristo stesso, la suprema forza del bene, l’ha incarnata nell’impotenza del Crocefisso. Questa immagine viene però in luce, realmente, soltanto nel caso estremo, sul Calvario. Nel martirio pagato in unica soluzione.

Sulla Terra però vi è il vasto ring dell’azione rivolta al mondo da modellare. È necessario combattere per la realizzazione del bene contro le resistenze opposte. Della stupidità, della pigrizia, della cattiveria, delle ideologie.

Sempre Cristo ha cacciato dal tempio i mercanti con dei colpi di frusta e non ha mostrato l’altra guancia quando ha replicato “…ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”. Essere disposti a cadere, nel caso estremo, resistendo pazientemente per la realizzazione del bene, non esclude l’impegno combattivo e l’assalto. Quindi non stare solo in difesa, fatti sotto. Sii pronto a colpire. Sempre più forte.

Rimani un uomo anche se hai il morale giù. Cadendo sentirai dolore, ma hai già vinto. Se al tappeto ti senti una nullità, ricordati che è solo un pensiero, spesso coercizzato dall’esterno perché tu non possa risollevarti. Vali infinitamente più dei tuoi pensieri e dei tuoi pugni. In te c’è dell’altro. C’è qualcosa di mio, di tua madre, dei nostri antenati, ma ancor prima hai l’Altro e appartieni a Lui. E Questo stai sicuro non lo batte nessuno perché ha vinto ogni male, persino la morte. Non livellarti quindi sulla miseria che avverti. Rischi di rimanere al tappeto per l’eccessivo peso dato ai sensi di colpa.

Guarda in alto. Abbi cuore, abbi coraggio, rammenta chi sei. Abbi fede. E spera. Spera più del tuo avversario.

Come per Sugar da lassù c’è chi prega per te con un batticuore in più. Chi non ha un briciolo di speranza getterà la spugna. Chi si vede all’angolo senza via d’uscita è sopraffatto dall’angoscia e dalla disperazione.
Se sarai forte abbastanza e non smetterai di dare prova della speranza che è in te, allora sarà il tuo avversario a dover gettare la spugna. A dichiararsi sconfitto.

Non fare il gradasso però. Se il bersaglio è più lontano della lunghezza del tuo braccio, non sbilanciarci in avanti pregiudicando l’equilibrio e la posizione di difesa. Non inorgoglirti se qualche match lo vinci, non pensare di essere già arrivato ai massimi livelli. Resta umile. Non infierire sull’avversario. Non usare la morale per far saltare dei molari! Se le difficoltà aumentano non andare in cerca frettolosamente del colpevole, potresti trovare un’ombra. La tua. Impara a conoscere te stesso.

Ti aiuterò a comprendere quali sono i “falsi trofei”. Seguirò i tuoi allenamenti rammentandoti che ogni prestazione, ogni dovere ha una base di partenza. La base è l’essere. E tu sei mio figlio. Ogni direttiva di azione ha radice nella conoscenza della realtà. È importante conoscere se stessi, le proprie aspirazioni, il modo di agire, la capacità di relazionarsi con le cose, gli eventi, le persone. Scoprirai le fragilità che ti contraddistinguono. Su quelle lavoreremo.

Se hai più problemi a muoverti inizieremo dalla corda. Se necessiti di sviluppare il colpo d’occhio andrai di peretta… Nella prova si apprende ciò che non va e ciò che sarebbe bene intraprendere per correggere abitudini, combattere vizi, evitare derive del pensiero, coltivare il meglio. La boxe, come la vita, non è solo questione di muscoli, occorre riflettere e pregare.

Ripasserò con te le regole del gioco, ti urlerò se necessario per farti uscire dall’angolo. Quando si rimane alle corde senza possibilità di difendersi o attaccare i colpi dell’avversario, ti raggiugono all’addome. Il tuo fegato verrà messo a dura prova. È un organo traditore, appena arriva il pugno lo senti perché reagisce come una spugna. Si chiude quando è colpito e manca subito il respiro. Rischi di cadere subito. La guardia a protezione del fegato si tiene con il busto e il gomito e stai a coltello senza mai offrire il fianco.

L’avversario punta molto sui tuoi punti deboli e chi ti sta sotto tira sempre al fegato e alla bocca dello stomaco.

Occorre avere fegato, figlio mio. Di una persona coraggiosa si dice normalmente che “ha fegato”. È simbolo di coraggio e forza fisica. Per gli antichi greci era la sede della forza, della caparbietà e delle passioni, particolarmente dell’amore sensuale e dell’ira.

Un grande life coach, studioso della lotta greco-romana, un certo Scarmagnani, mi ha fatto conoscere il mito classico del titano Prometeo che coraggiosamente rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini. Zeus, scoperto il furto, lo condannò a essere incatenato per l’eternità a una roccia sulle montagne del Caucaso e dispose che ogni giorno un’aquila gigante gli divorasse il fegato. Ogni notte però il suo fegato ricresceva, così che l’aquila potesse tornare a divorarlo il giorno seguente.
Il fondo di verità è questo: il fegato è il solo organo del corpo umano capace di una rigenerazione quasi totale.

Quindi figli mio, l’avversario cercherà di scoraggiarti, ma tu rivesti il fegato con buoni addominali. I tuoi colloqui con Cristo, la tua quotidiana preghiera saranno i piegamenti giusti per rafforzarli. Il coraggio avrà sempre tempo e modo di rigenerarsi.

Chi pratica la boxe ( ma anche le arti marziali) nella vita, mastica la mistica. Il paradenti aderendo perfettamente al palato ammortizza e distribuisce gli inevitabili colpi su una superficie più vasta. È la protesi che riduce l’intensità dell’impatto stabilizzando i denti ed evitando lo sfregamento degli stessi. La bocca è il veicolo principale per l’ossigenazione e la respirazione: se viene ostacolata da un paradenti sbagliato non entrerà abbastanza aria da permettere la massima prestazione. La mistica tra i denti assicura protezione, vita, vigore. Lascia intatto pure il sorriso.

Peter è in cielo. La fortezza del padre, dall’alto, raggiunge quella di Sugar. Una forza “mistica” che raccoglie, spiega, trasforma, ossigena e regge quella naturale del figlio. L’istinto naturale predispone alla virtù, ma non ne garantisce la conservazione, tantomeno la crescita. Occorre un fondamento. Dio Padre è la nostra roccia. “Egli è la mia fortezza: non vacillerò”. Il rapporto che Sugar ha con il padre in cielo, corroborato dalla coincidenza delle rispettive volontà, è il fondamento della sua stessa forza. Chi ha fede sa che la volontà si ferma sulla soglia del mistero e soltanto il legame di appartenenza a Dio apre l’accesso alla comprensione di quanto sfugge alla ragione.

Nasce così una nuova intelligenza sul reale e la capacità di reggere le avversità trova energie impensabili. La fortezza soprannaturale data dalla grazia, che è un dono dello Spirito Santo, informa e corona tutte le altre fortezze naturali del cristiano.

Poiché essere forti non significa soltanto accettare la ferita e la morte nella lotta per la realizzazione del bene ma anche sperare nella vittoria. Quanto più alta è questa vittoria, e più sicura la speranza in essa, tanto più l’uomo osa per conquistarla. Il dono soprannaturale della fortezza, dono dello Spirito, trae perciò alimento dalla speranza più sicura nella vittoria definitiva e suprema, nella quale si perfezionano tutte le altre vittorie misteriosamente a lei ordinate: esso tra alimento dalla speranza nella vita eterna (Pieper docet).

“Genki” (il nome del protagonista) in giapponese è anche un aggettivo e sta a significare vigoroso, vitale, allegro, vivace. “Hideki” (il nome del padre) significa “splendida opportunità”. Il legame “genetico”, nel combinato “semantico”, evidenzia un intreccio “ontico”: il padre è una splendida opportunità per il figlio perché possa diventare veramente uomo, vivo, vigoroso e forte.

I miei errori, la mia esperienza, la mia stessa vita, saranno occasione per accresce la tua. Nello specifico, insisterò sulla coscienza del limite. Sì, ti condurrò al limite, te lo farò conoscere. Solo se ne sarai conscio, inizierai a muovere i primi passi nelle virtù. Il ring è la tua vita, io sarò sempre il tuo secondo. E non getterò mai la spugna per te. Perché credo in te e in Chi ti affidato a me. Sono tuo padre.

Trova il tuo ritmo, “vola come una farfalla, colpisci come un’ape”.

Fonte: Angelo Mazzotta




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