L’Ungheria di Victor Orban raccontata da chi la vive in prima persona. Qiando scopri che la vera democrazia non è in Italia e non piace all’Unione Europea!
Caro Direttore,
mi trovo in Ungheria con tutta la famiglia. Disponevo di vecchie ferie da fruire e la scelta del periodo e del luogo non è stata casuale. Con mia moglie volevamo far vedere le immagini dell’ultima ecografia ai nonni magiari. Mi accorgo di aver trascurato un dettaglio: mia moglie è ungherese ed ha imparato la lingua italiana al liceo. Si è laureata a Budapest (dove l’Università è gratuita) ed ha preso un ulteriore titolo di studio universitario in Italia, dove ci siamo conosciuti. Il nostro primo figliolo scorrazza libero nel giardino della casa dei nonni sulla collina di Buda; il secondo da i primi segni di presenza di sé. La mia metà ha chiesto di poter rientrare nella sua amata Ungheria prima del parto, in concomitanza con le elezioni politiche. È fiera dei suoi diritti e dei suoi doveri. In special modo della sua Nazione. I miei suoceri altrettanto. Sono patrioti, un termine che da noi è diventato obsoleto, inconsueto, se non una vera sorta di eresia da estirpare ad ogni costo o, al massimo, da sbandierare durante le partite degli Europei o dei Mondiali di calcio. Nazionalisti, razzisti, populisti, illiberali sono alcuni sinonimi utilizzati in Italia e nel mondo occidentale europeo per definire il popolo magiaro, forte di individui orgogliosi delle proprie tradizioni, usanze, lingua, costumi e religione.
Vorrei aprire una piccola parentesi per poter rendere attinente il mio racconto all’epoca attuale. Prima di conoscere mia moglie un lustro fa ed iniziare a visitare trequattro volte l’anno la terra dei suoi avi, ricordo che mi trovavo nel 2010 a vedere i Tg nazionali. Ho memoria delle parole dello speaker cariche di timori, in quanto informava lo spettatore dell’improvvisa nascita, nel cuore dell’Europa, di un “impero nero” a distanza di sessantacinque anni dalla caduta del III reich tedesco. Da appartenente alle Forze dell’ordine, cercai altre “fonti aperte” cui verificare la notizia, ribattuta pressoché da tutte le agenzie allo stesso modo: l’Ungheria era in mani naziste. La circostanza che gli stati dell’Est, privati delle libertà sotto il dominio sovietico, stessero virando verso l’estremismo neonazista nella nostra epoca democratica, mi stupì non poco. Ricordo le immagini che passavano i main-stream con le sfilate al ritmo del passo dell’oca di militanti in uniforme. Ero tremendamente impressionato:sembravano SS in marcia su Budapest. Era la rappresentazione di un nuovo fronte governativo di estrema destra di una nazione non schierata favorevolmente verso Bruxelles che, pur facendo parte dell’Unione Europea dal 2006, non aveva adottato l’Euro. Ho creduto a questa panzana per un biennio, finché non conobbi una ragazza ungherese, che di lì a poco sarebbe diventata mia moglie. Non aveva la svastica al braccio, né il Mein Kampf nella libreria. Anzi, era alquanto irata per la rappresentazione falsa e strumentale data del suo popolo, poiché la storiella a noi propinata dell’estrema destra degli “Jobbik al potere”, era totalmente differente. Da noi era caduto da poco un Governo sotto i colpi dello spread (di cui ogni italiano ignorava l’esistenza e continua ad ignorare cosa sia in realtà). Quello “democratico” sorto sulle sue ceneri, senza consultazioni nazionali, ma imposto dall’alto poiché “ce lo chiedeva l’Europa”, esigeva sacrifici dalla gente comune, varando continue politiche contrarie agli interessi nazionali e della società stessa (su tutte, le lacrime di coccodrillo versate successivamente alla riforma e all’innalzamento dell’età pensionistica).In Ungheria, stato democratico dell’Europa centrale, un governo a guida cristiana (ebbene sì, cristiana!), cercava di dare nuove prospettive e un futuro stabile alla propria gente. Il governo di Viktor Orban, leader di Fidesz1, appoggiato dal KDNP2, subito si attirava gli strali di Bruxelles e di tutta l’intellighenzia schierata, specialmente quella socialista e radical-chic, unica fazione a detenere e fregiarsi del termine “demo cratica”. Da dove tutta quest’acredine? Era semplice. Ad Est, lungo il corso del Danubio, una nazione popolata da quasi dieci milioni di individui, nel 2010 faceva sorgere un governo cristiano ed un parlamento democraticamente eletto dal popolo. La Pannonia romana, il regno di Attila, terra che più volte, in epoca moderna, aveva respinto gli invasori Ottomani, schiacciava il “pensiero unico comune” in maniera incontrovertibile, portando alla vittoria la coalizione Fidesz-KDNP con il 52.73% dei consensi, bissando la vittoria nel 2014 con il 44.54%. L’”orda nera” per altri quattro anni ha così infestato quotidiani, Tg e mass-media. Dipinto come estremamente conservatore ed illiberale, il governo ungherese, critico fin da subito nei confronti di questa Unione Europea figlia del globalismo contemporaneo, ha insistito nel rilanciare l’importanza di valori eterni e di principi non negoziabili. Il mondo occidentale ha abiurato al suo ruolo guida, perso negli ozi consumistici di cui è permeato, ed il nostro paese non è da meno con le recenti “battaglie” per nuovi diritti e libertà: alla cultura mortifera dell’aborto, si è aggiunta quella eutanasica delle D.A.T. e della droga libera “per scopo ludico”, accompagnate dai “falsi miti di progresso” delle imprescindibili unioni civili (per persone dello stesso sesso) e dell’indefettibile necessità di varare lo ius soli. Così ragionando, il nemico pertanto è solo ed esclusivamente quello che rifiuta i nuovi diritti e che pensa “al bene del suo popolo”, un programma riassumibile con l’“America first” di Trumpiana memoria, slogan tanto odiato nel nostro paese. Cito in ordine sparso le tematiche in ordine alla famiglia e all’economia: il nucleo familiare è il cardine della nazione e per le giovani coppie il Governo ha stanziato da tempo la donazione di dieci milioni di Fiorini (poco più di 30.000,00 €) per l’acquisto dell’abitazione, con il prestito di ulteriori dieci milioni di fiorini a tasso d’interesse nullo; la famiglia gode di incentivi e sgravi fiscali per i nuclei numerosi, in cui, oltre ai genitori, vi siano almeno tre figli; a fronte di un IVA al 27% (sui cibi al 15%), è stata introdotta una flat tax al 15%, con un incremento – in punti percentuali – del 10 e dell’8,5 per la sanità e la pensione, valori questi già di per sé bassi e che subiscono un deciso decremento in caso di nascita di figli (da qualche parte ho letto amenità di condanna sulla falsa riga della “procreazione di una nuova razza ariana” ovvero di una “omogeneità etnica ungherese”); congedo di maternità fissato in tre anni. Nella primavera del 2015, trovandomi dai suoceri a disquisire del problema “immigrazione fuori controllo” (a dovere di cronaca, la ricordo fuori controllo già nel 1992, prima ancora di indossare un’uniforme), mi fecero presente che il Governo aveva inviato a tutti i cittadini una missiva (che mi mostrarono), mettendoli dinanzi a problemi che si sarebbero paventati di lì a poco, chiedendogli di proporre soluzioni su come affrontare il problema “migranti” provenienti da una “rotta balcanica”. Beh, non nego che sorridendo a tali richieste da parte di un governo (cui non ero di certo abituato: ma quando mai, da noi, chi esercita la res publica, chiede alla polis quale siano le priorità, cercando di attuarle?), citai lo scandalo di “Roma Capitale”, della rotta sahariana, del ruolo cardine dell’Italia in fatto di sbarchi, dell’attività d’indagine delle DDA calabresi sui C.P.T., di come dietro la parola “accoglienza a tutti i costi”, ricadesse l’ombra di connubio mafiosopolitico, ma ciononostante, di come non credessi minimamente ad una fantomatica “rotta balcanica”. A distanza di tre anni posso fare mea culpa: quelle notizie si sono rivelate reali di lì a pochi mesi (era il luglio del 2015) ed, in attesa di sviluppare soluzioni, il Governo ungherese prese la non semplice risoluzione di difendere la propria nazione, chiudendo il confine con la Serbia (porta dell’area Schengen) tra l’indignazione generale. Da quei quesiti prospettati a tutte le famiglie nel 2015, è sorto un referendum che, pur non raggiungendo il quorum nell’ottobre 2016, fece capire come il 98% degli aventi diritto al voto, la pensasse come Orban ed il Governo da lui presieduto. È questa la democrazia. Sicurezza, sanità e scuola sono i cardini su cui si forma una società, presupposto della difesa degli interessi nazionali. Questa circostanza crea non pochi problemi ai “sepolcri imbiancati” nei quali viviamo (mi ci metto anche io nella lista degli ipocriti occidentali).“Apa”, papà, come chiamo mio suocero, per me seconda figura paterna, non capisce l’apatia ed il tedio che ha colpito la nostra nazione. Non comprende come si possa abdicare tout-court a duemila anni di storia, come sia possibile che l’Unione Europea abbia rimosso le proprie radici cristiane dalla Costituzione, parlando di valori generali di solidarietà, in realtà figliastri del fallito ideale cosmopolita illuminista. Mi guardo attorno, al parco, ai giardini, per strada, al supermercato, in chiesa: le famiglie ungheresi mie coetanee hanno mediamente tre figli a coppia. Saranno sicuramente numerose per via degli sgravi fiscali, non ne dubito. Non sarà di certo tutto oro, ciò che luccica. Ma qui si respira qualcosa di differente e vengo al dunque: la Polonia, che con l’Ungheria condivide progetti, ideali e tradizioni (con Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca fanno parte del “Gruppo di Visegrad”, non a caso osteggiato dalle élite europee), lo scorso 07 ottobre, ha permesso la celebrazione di un Rosario per la “salvezza del paese e dell’Europa”. Una fiumana di fedeli si è riversata nella recita mariana “pregando per la pace, contro l’islamismo e l’ateismo, in riparazione delle offese contro Dio e Maria, per la conversione dei peccatori”. È questo il “frutto dell’odio” cui si allude anche quando si parla del governo ungherese? Il premier Orban, calvinista, ma sposato ad una cattolica e padre di una numerosa prole, spaventa l’assopito mondo occidentale, globalista e laico (ateo). Ieri sera, al termine degli scrutini che lo vedevano nuovamente trionfare con quasi il 50% dei consensi (a fronte di un blocco compatto dell’opposizione fatto di estremisti di sinistra e di destra – quelli veri, gli Jobbik, coalizzati fra loro), il premier non ha pronunciato parole di odio, non ha promesso di voler modificare la Costituzione, di volersi vendicare degli sconfitti (i cui leader si sono dimessi realmente, circostanza da noi de facto inimmaginabile), ma ha esclamato “soli deo gloria”. È proprio questo l’assunto che una Nazione possa essere costituita da uomini coraggiosi, liberi e – sottolineo – cristiani a terrorizzare l’Europa. Ricordo però che è proprio il Cristo a ricordarci che “la Verità vi farà liberi” (Gv 8, 32). Concludo con l’esortazione a scuoterci dal nostro torpore. Facciamo nostro il motto di Santa Giovanna d’Arco, citato testualmente da Mario Adinolfi lo scorso 02 marzo dinanzi le telecamere di Rai2: “A noi la battaglia, a Dio la Vittoria!
(Matteo Mazzotta)
ARTICOLO TRATTO DALLA VERSIONE PER ABBONATI, SOSTIENI LA CROCE ABBONANDOTI QUI http://www.lacrocequotidiano.it/abbonarsi-ora