Salute – Essere nevrotici aumenta il rischio del Parkinson

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Parkinson – Che essere nervosi sia antiproduttivo non lo scopriamo certo oggi. Che la rabbia e l’agitazione non facciano bene alla salute non è una novità di queste settimane, quel che però non tutti sanno è che essere nevrotici aumenta il rischio di sviluppare il Parkinson.
La malattia di Parkinson colpisce circa l’1-2% della popolazione anziana mondiale ed è la seconda patologia neurodegenerativa più comune dopo il morbo di Alzheimer. Seppur le cause non siano ancora note, gli scienziati ritengono che fattori genetici e ambientali contribuiscano alla sua insorgenza. Una nuova ricerca con partecipazione dell’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irib) di Cosenza e l’Istituto per le bioimmagini e fisiologia molecolare (Cnr-Ibfm) di Milano, pubblicata su Movement Disorders, indica che anche il tratto di personalità “nevroticismo” è costantemente associato a un maggiore rischio di sviluppare la malattia di Parkinson.
“Il nevroticismo è stato collegato ai disturbi dell’umore e all’Alzheimer, ma ci sono meno studi sulla sua connessione prospettica con il Parkinson, disturbo degenerativo a lungo termine che causa un progressivo declino delle funzioni motorie e fisiche. Quando la malattia progredisce, il danno alle cellule nervose nel cervello provoca un calo dei livelli di dopamina che porta a sintomi come tremori, movimenti lenti, rigidità e perdita di equilibrio”, spiega Luca Passamonti, primo ricercatore presso Cnr-Ibfm di Milano e neurologo presso l’Università di Cambridge.
“In precedenza si pensava che il legame tra la personalità nevrotica e insorgenza del Parkinson fosse collegato all’eccesso di attività dopaminergica che caratterizza il profilo neurocognitivo del nevrotico e che porterebbe a una condizione di stress chimico delle aree dopaminergiche legate allo sviluppo della malattia in età avanzata”, prosegue Antonio Cerasa, neuroscienziato e responsabile della sede Cnr-Irib di Cosenza. “Quest’ipotesi è stata però rigettata negli ultimi anni a favore di una visione rivolta alla compromissione del sistema ipotalamo-ipofisi-surrene che, nel nevrotico, porterebbe a uno stato di stress ossidativo a lungo termine”.
“Grazie alla possibilità di usare i dati della UK Biobank, in questo studio sono stati reclutati e seguiti per circa 12 anni mezzo milione di individui, di età compresa tra 40 e 69 anni tra il 2006 e il 2010. Durante le valutazioni longitudinali sono comparsi nel campione 1.142 casi di Parkinson. I soggetti che all’inizio dello studio mostravano livelli più elevati di nevroticismo hanno mostrato più dell’80% di rischio di sviluppare la malattia”, conclude Antonio Terracciano della Florida State University di Tallahassee (USA), coordinatore dello studio, condotto in collaborazione anche con università francesi, inglesi e italiane (Roma Tor Vergata). “Ansia e depressione sono fenomeni associati con la malattia di Parkinson. In parte questo problema potrebbe essere dovuto a come la malattia altera il cervello e può avere un’influenza sulle emozioni. Alcuni clinici pensano che ansia e depressione siano solo il risultato del Parkinson, tuttavia i nostri risultati suggeriscono che una certa vulnerabilità emotiva è presente molti anni prima dello sviluppo della malattia”.
Ma in cosa consiste questa malattia? Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge, principalmente, alcune funzioni quali il controllo dei movimenti e dell’equilibrio. La malattia fa parte di un gruppo di patologie definite “Disordini del Movimento” e tra queste è la più frequente. I sintomi del Parkinson sono forse noti da migliaia di anni: una prima descrizione sarebbe stata trovata in uno scritto di medicina indiana che faceva riferimento ad un periodo intorno al 5.000 A.C. ed un’altra in un documento cinese risalente a 2.500 anni fa.
Il nome è legato però a James Parkinson, un farmacista chirurgo londinese del XIX secolo, che per primo descrisse gran parte dei sintomi della malattia in un famoso libretto, il “Trattato sulla paralisi agitante”. Di Parkinson, deceduto nel 1824, non esistono né ritratti né ovviamente fotografie.
La malattia è presente in tutto il mondo ed in tutti i gruppi etnici. Si riscontra in entrambi i sessi, con una lieve prevalenza, forse, in quello maschile. L’età media di esordio è intorno ai 58-60 anni, ma circa il 5 % dei pazienti può presentare un esordio giovanile tra i 21 ed i 40 anni. Prima dei 20 anni è estremamente rara. Sopra i 60 anni colpisce 1-2% della popolazione, mentre la percentuale sale al 3-5% quando l’età è superiore agli 85.
Le strutture coinvolte nella malattia di Parkinson si trovano in aree profonde del cervello, note come gangli della base (nuclei caudato, putamen e pallido), che partecipano alla corretta esecuzione dei movimenti (ma non solo).
La malattia di Parkinson si manifesta quando la produzione di dopamina nel cervello cala consistentemente. I livelli ridotti di dopamina sono dovuti alla degenerazione di neuroni, in un’area chiamata Sostanza Nera (la perdita cellulare è di oltre il 60% all’esordio dei sintomi). Dal midollo al cervello cominciano a comparire anche accumuli di una proteina chiamata alfa-sinucleina.
Forse è proprio questa proteina che diffonde la malattia in tutto il cervello. La durata della fase preclinica (periodo di tempo che intercorre tra l’inizio della degenerazione neuronale e l’esordio dei sintomi motori) non è nota, ma alcuni studi specifici riescono a datarla intorno a 5 anni.




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