SPAZIO – URANO E LE SUE LUNE

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SPAZIO – Quattro delle maggiori lune di Urano potrebbero essere un obiettivo estremamente interessante per le future missioni di esplorazione robotica del Sistema solare. Lo suggerisce un nuovo studio pubblicato la settimana scorsa sul Journal of Geophysical Research, nel quale un team di ricercatori della Nasa illustra come alcune di queste lune potrebbero nascondere, come altre loro simili nel Sistema solare, oceani di acqua allo stato liquido sotto la superficie ghiacciata.

Le lune ghiacciate dei giganti gassosi del Sistema solare, in particolare quelle di Giove e Saturno, sono da sempre considerate tra i luoghi più promettenti per la ricerca di vita al di fuori della Terra. Non a caso, le più importanti missioni passate di esplorazione robotica del Sistema solare si sono per larga parte concentrate su questi remoti ambienti, effettuando scoperte sensazionali e inattese: enormi quantità di acqua allo stato liquido che, sotto sterminate distese di ghiaccio, formano veri e propri oceani dalle temperature tutto sommato accettabili, verosimilmente, persino per la vita.

Le prossime missioni robotiche di esplorazione del Sistema solare dovranno aggiungere alla lista un altro obiettivo estremamente interessante: le lune maggiori di Urano. Lo rivela un nuovo studio pubblicato la settimana scorsa sul Journal of Geophysical Research, nel quale un team di ricercatori della Nasa ha rianalizzato i dati disponibili su questi remoti mondi, come quelli degli osservatori terrestri e della sonda Voyager 2, che a metà degli anni ’80 sfiorava il pianeta e le sue fedeli compagne, scoprendo che alcune di queste potrebbero avere, come le loro simili nel sistema solare, oceani liquidi sotterranei. 

Combinando i dati con le informazioni raccolte da altre sonde che hanno esplorato sistemi planetari analoghi, come la sonda Galileo su Giove, New Horizons su Plutone e Cassini su Saturno, il team ha sviluppato nuovi modelli che descrivono il comportamento e l’evoluzione della composizione e della struttura interna dei cinque maggiori satelliti naturali del gigante gassoso, penultimo per distanza dal Sole: ArielUmbrielTitaniaOberon e Miranda. Quattro di questi sembrano avere una buona possibilità di ospitare un oceano liquido sotterraneo, posto tra il nucleo e la superficie. L’unica luna che non sembra essere adatta è Miranda, che stando ai dati e ai modelli sviluppati perderebbe calore troppo velocemente, e attualmente sarebbe ghiacciata, non riuscendo quindi a mantenere la giusta temperatura per un oceano liquido. 

«Quando si tratta di corpi piccoli – pianeti nani e lune – gli scienziati planetari hanno già trovato prove di oceani in luoghi improbabili, tra cui i pianeti nani Cerere e Plutone e la luna di Saturno Mimas», dice Julie Castillo-Rogez del Jet Propulsion Laboratory della Nasa, prima autrice dell’articolo. «Quindi ci sono meccanismi in gioco che non comprendiamo appieno. Questo lavoro indaga su quali possano essere e su come siano rilevanti per i molti corpi del Sistema solare che potrebbero essere ricchi di acqua ma con un calore interno limitato». 

Lo studio si è concentrato su diversi aspetti della composizione e della struttura delle lune. Ad esempio, si è indagata la porosità delle superfici, un fattore determinante per capire se esse siano sufficientemente isolanti – e pare che lo siano – per trattenere internamente il calore necessario a consentire gli oceani liquidi. Il team ha cercato inoltre di individuare possibili fonti di calore interno. I mantelli rocciosi, che rilascerebbero liquido caldo, potrebbero essere una di queste, e due delle lune, Titania e Oberon, potrebbero avere oceani sufficientemente caldi da essere in grado di ospitare vita. Ma uno dei punti chiave dello studio illustra come il calore interno potrebbe non essere l’unico fattore che contribuisce a mantenere gli oceani. I dati suggeriscono che i cloruri e l’ammoniaca sono probabilmente presenti in quantità abbondanti nelle acque sottosuperficiali, ed entrambi sono noti per le loro proprietà antigelo: potrebbero contribuire quindi in maniera determinante al mantenimento delle acque allo stato liquido. Inoltre, l’attività geologica delle lune potrebbe aver fatto confluire materiale dall’interno verso la superficie, come dimostrano alcuni dati osservativi che indicano come Ariel potrebbe essere stata recentemente teatro di attività di vulcani ghiacciati, che avrebbero innescato proprio questo fenomeno. Date queste informazioni, i ricercatori pensano che studiando la composizione degli oceani sotterranei si potrebbe risalire ai materiali che sono presenti in superficie.  

Nuovi modelli indicano la probabile presenza di uno strato oceanico in quattro delle lune principali di Urano: Ariel, Umbriel, Titania e Oberon. Gli oceani salati, o salmastri, si trovano sotto il ghiaccio e sopra strati di roccia ricca d’acqua e di roccia secca. Miranda è invece troppo piccola per trattenere abbastanza calore per uno strato oceanico. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

Studi di questo tipo si rivelano di fondamentale importanza per la programmazione delle future missioni di esplorazione robotica: indagando la composizione della superficie e del sottosuolo, gli scienziati e gli ingegneri possono capire in che modo progettare gli strumenti che faranno parte delle sonde. Per esempio, conoscere in anticipo la presenza di ammoniaca e cloruri significa poter progettare spettrometri in grado di coprire determinate lunghezze d’onda. Oppure, per determinare la presenza di oceani sotto la superficie si potrebbero osservare, come nel caso della sonda Galileo con la luna gioviana Europa, le correnti elettriche che contribuiscono al campo magnetico delle lune. Tuttavia, acque troppo fredde, come potrebbe essere nel caso delle lune di Urano, potrebbero essere meno adatte a trasportare le correnti elettriche. Perciò avere questa informazione potrebbe aiutare i ricercatori a progettare nuove tipologie di strumenti in grado di rilevare la presenza di liquidi sotto la superficie.  

Naturalmente, c’è ancora molto lavoro da fare per comprendere in maniera più precisa l’evoluzione, la struttura e la composizione di queste lune. «Dobbiamo sviluppare nuovi modelli per diverse ipotesi sull’origine delle lune, al fine di guidare la pianificazione delle osservazioni future», conclude Castillo-Rogez. 




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