1 Dicembre 1916 : con uno sparo terminava la vita di Charles de Foucauld

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l 1° dicembre 1916, con uno sparo partito forse per errore, terminava la vita di Charles de Foucauld, anzi, di fratel Carlo di Gesù, come aveva scelto di farsi chiamare. Potrebbe sembrare un’esistenza sprecata, la sua: dalla gioventù trascorsa nei vizi alla decisione di vivere da eremita nel deserto del Sahara, seguita alla sua apparentemente repentina conversione. Eppure, a cent’anni dalla sua morte, continua ad essere un modello per numerosi credenti, specie per quelli che s’ispirano più direttamente al suo messaggio.
Nacque a Strasburgo il 15 settembre 1858, secondogenito di Édouard de Foucauld, visconte di Pontbriand e sovrintendente alle foreste dell’Alsazia, e di Elisabeth de Morlet. Era stato preceduto da un altro fratello, lui pure di nome Charles, morto un mese dopo la nascita. La madre educò lui e la sorella Marie, nata due anni dopo, in maniera seria e religiosa, ma morì nel marzo 1864.

Nel mese di agosto fu la volta del padre, da tempo affetto da una malattia mentale. I figli vennero allora presi sotto la tutela del nonno materno Charles de Morlet, colonnello in pensione. Con l’annessione dell’Alsazia alla Germania, seguita alla guerra del 1870, scelse di dare loro la nazionalità francese e si trasferì a Nancy.

Charles continuò gli studi in quella città, senza mai applicarsi troppo. Ricevette la Prima Comunione e la Cresima il 28 aprile 1872 nella cattedrale di Nancy, ma di lì a poco, verso il 1874, perse la fede. Fu stimolato in questo dalla sua passione per la lettura, non regolata né guidata, e dalle correnti filosofiche del tempo, improntate al materialismo e alla negazione di Dio. Espulso dalla scuola di preparazione per l’accademia militare di Saint-Cyr a causa della sua pigrizia e della cattiva condotta, riuscì comunque a vincere il concorso, per non dispiacere il nonno.

Alla morte di quest’ultimo, nel febbraio 1878, ereditò i suoi beni. Annoiato dalla vita militare, il giovane si divertiva invece organizzando cene raffinate e frequentando l’alta società. Una fotografia del tempo ci restituisce il suo aspetto pingue e abituato a cibi succulenti. Un’altra sua passione erano le donne: collezionava conquiste, ma aveva paura di contrarre la sifilide. Intanto passò alla scuola di Cavalleria a Saumur, dove divenne sottotenente, sebbene ultimo nell’elenco dei promossi.

Destinato a Pont-à-Mousson, venne arruolato nel 4° squadrone degli Ussari: fu poi inviato a Bona, in Algeria, nell’ottobre 1890, per sedare la rivolta contro la Francia. Tuttavia, con lui, c’era la sua amante fissa, che fece passare per «la viscontessa de Foucauld», ossia come la sua legittima moglie. Il colonnello de Pont, responsabile di vigilare sulla disciplina degli ufficiali, gli ordinò di rimandarla in patria: al suo rifiuto, lo mise prima agli arresti, poi in stato d’inattività; praticamente, era radiato dall’esercito.

Insieme all’amante, Charles si stabilì nella cittadina termale di Evian in Svizzera, ma una notizia lo sconvolse: il 4° Ussari era stato coinvolto in alcune operazioni presso la frontiera tunisina. Comprese dunque di dover tornare in Africa, anche se Marie si rifiutò: a quel punto, ruppe la relazione con lei. Fu reintegrato nell’esercito con lo stesso grado di prima, ma in un altro reparto, il 4° Cacciatori d’Africa. I commilitoni si stupivano per la sua capacità di entrare in azione e per la guida sicura con cui indirizzava i sottoposti.

Terminata la spedizione, rientrò nella guarnigione, ma sentiva dentro di sé un’altra attrattiva: unirsi agli esploratori che, al seguito dell’esercito, si addentravano nel territorio africano. Domandò così di essere destinato al Senegal, ma gli venne impedito: con un gesto che sorprese tutti, militari e parenti, si congedò dall’esercito. Un anno dopo partì da Algeri per l’esplorazione del Marocco, appoggiato dalla Società francese di geografia, ma con un avvertimento: in quanto francese e cristiano, poteva rischiare di morire. Allora, sfruttando la sua abilità nel travestimento appresa sotto le armi, assunse l’identità del rabbino russo Joseph Aleman, dopo aver imparato l’arabo e l’ebraico.

Entrato nel Marocco il 23 giugno 1883, iniziò la sua esplorazione con un minuscolo taccuino e una matita di dimensioni ancora più ridotte, così da prendere appunti senza essere visto. Pur tra i numerosi disagi, si lasciò sorprendere dal modo di pregare dei fedeli musulmani. Undici mesi dopo, il 23 maggio 1884, uscì dal Paese, prostrato e sfinito. Rientrato in Francia per riposarsi, divenne conteso dai salotti dei ricchi, ma ormai quell’ambiente era diventato penoso: si dedicò al resoconto delle sue esplorazioni, raccolto nel volume «Ricognizione in Marocco», la cui stesura l’impegnò per tre anni, prima ad Algeri, poi a Parigi.

Nel frattempo, qualcosa in lui stava cambiando. Riaffioravano i suoi ricordi d’infanzia, insieme a quelli dei musulmani in preghiera. Aveva anche pensato di sposarsi con una brava ragazza, Marie-Marguerite Titre, ma fu ostacolato dalla sua famiglia, perché lei era povera. Tuttavia, alcune conversazioni con la zia che l’ospitava e con la cugina Marie de Bondy lo condussero a riconoscere che la religione cattolica poteva contribuire all’elevazione spirituale. Cominciò dunque ad andare in chiesa, trascorrendo ore intere a ripetere: «Mio Dio, se esisti, fa’ che Ti conosca».

Così, alla fine dell’ottobre 1886, andò nella chiesa di Sant’Agostino a Parigi, dov’era vicario l’abbé Henri Huvelin, direttore spirituale della cugina. Era intenzionato a chiedere di ricevere un’istruzione religiosa, ma si sentì rispondere tutt’altro: doveva confessarsi e ricevere la Comunione. Così fece: «Da quel giorno», scrisse in seguito, «la mia vita è stata una concatenazione di benedizioni».

Per prima cosa, si liberò di tutto quel che gli ricordava la vita militare e si mise a cercare l’ordine religioso che potesse concedergli di vivere nella più perfetta imitazione di Cristo. Riferì in una lettera all’amico Henri de Castries: «Non appena ho creduto che ci fosse un Dio, ho capito che non potevo vivere che per lui: la mia vocazione religiosa è nata nel momento stesso in cui nasceva la mia fede: Dio è grande… Ma non credere che la mia fede si sia formata dalla mattina alla sera». Accettò comunque il consiglio, dato dall’abbé Huvelin, d’intraprendere un pellegrinaggio in Terra Santa.

Dal novembre 1888 al febbraio 1898 Charles si fece pellegrino sui passi di Gesù, riconoscendo in Lui un modello di umiltà. Lo riscontrò soprattutto a Nazareth, dove rimase per dieci giorni. Rifletté sul fatto che aveva ormai l’età in cui il Signore cominciò la vita pubblica e ripensò anche a un’espressione di sant’Agostino che l’abbé Huvelin ripeteva spesso nelle sue omelie: «Nostro Signore ha scelto l’ultimo posto, a tal punto che nessuno è mai riuscito a toglierglielo». Proprio per sceglierlo a sua volta, dopo un ritiro, Charles decise che sarebbe entrato in monastero, nell’ordine dei Trappisti, che secondo lui aveva la vita più umile. Intanto, grazie alla cugina, aveva imparato a far propria la devozione al Cuore di Gesù, che stava riprendendo piede in Francia.

Il 15 gennaio 1890 diede quindi addio alla famiglia e si avviò verso il monastero di Nostra Signora delle Nevi, nell’Ardèche. Il nome non poteva essere più adatto: situato in una località ad altitudine elevatissima, aveva i muri congelati per nove mesi l’anno. Eppure, il postulante si diceva felice e non si lasciava distrarre, concentrato nella preghiera e nel lavoro manuale. La sua speranza era di essere inviato nel monastero recentemente fondato ad Akbes, in Siria, che gli stessi trappisti avevano costituito per timore di essere dispersi dal governo francese: vi pronunciò i voti semplici nel 1892, assumendo il nome di fra Maria Alberico.

Intanto, però, stava iniziando a pensare di dover fondare un ordine ancora più povero, ancora più simile alla vita nascosta di Gesù. I suoi superiori, invece, ritenevano che dovesse approfondire la vita monastica e gli studi teologici: per questo, nell’autunno 1896, lo inviarono a Roma, dopo un passaggio per la trappa di Staoueli. L’abbé Huvelin, dal canto suo, lo scoraggiava dai progetti di fondazione che via via gli sottoponeva. Alla fine, l’abate generale dei Trappisti gli concesse la dispensa dai voti.

Seguendo il consiglio del direttore spirituale, nel marzo 1897 si stabilì a Nazareth e ottenne di alloggiare in un capanno del convento delle Clarisse, come loro ortolano e giardiniere. Nei fatti, però, secondo i racconti delle monache, non era capace di piantare neppure un cespo d’insalata. Suoi unici interessi erano la preghiera e la stesura delle regole degli Eremiti del Sacro Cuore di Gesù, come avrebbe voluto chiamare il suo ordine.

Inizialmente reticente al sacerdozio, comprese di doverlo abbracciare grazie ai consigli di madre Elisabetta, la badessa del convento: per lui doveva essere un altro passo per assomigliare ancora di più al Signore. Assunse quindi un motto specifico, «Jesus Caritas», rappresentato da un cuore sormontato da una croce: significava Gesù che per amore degli uomini li salva mediante la Croce. Alla fine, dopo un periodo di preparazione all’abbazia di Nostra Signora delle Nevi, fu ordinato sacerdote il 9 giugno 1901 nella cappella del Seminario maggiore di Viviers. Il vescovo del luogo lo aveva lasciato libero di vivere il ministero nella forma che preferisse, anche se era incardinato in quella diocesi.

Il pensiero di Charles fu impiantare un eremitaggio in Marocco, ma sarebbe stato difficile: accettò quindi di stabilirsi a Beni-Abbes, al confine tra Algeria e Marocco, d’accordo con il prefetto apostolico del Sahara e con le autorità civili, in qualità di cappellano militare della locale guarnigione. Celebrò la sua prima Messa nella cappella che lui stesso aveva costruito il 1° dicembre 1901: un vero e proprio avamposto di fede nel deserto. La sua azione si estese ben presto anche alle popolazioni arabe e berbere, tanto che molti venivano a trovarlo per parlargli: per loro scrisse un opuscolo, «Il Vangelo presentato ai poveri del Sahara». Cercò di opporsi al fenomeno dello schiavismo, ma poté liberare solo pochi di quelli che arrivavano a scavalcare il muretto dell’eremo.

Nel 1905 cedette all’invito di un suo antico compagno d’armi, il comandante Laperrine, e si trasferì nello Hoggar, a Tamanrasset, in un territorio abitato dalle popolazioni tuareg. Per farsi ancora più vicino a loro, iniziò un’opera, che volutamente lasciò anonima, ossia un dizionario francese-tuareg. Assimilò a tal punto la sua vita alla loro da ammalarsi per la siccità che colpì la zona nel 1907: furono gli abitanti a prendersi cura di lui, a quel punto. L’anno seguente tornò per poco tempo in Francia, allo scopo di trovare aderenti per una nuova realizzazione: una confraternita, o meglio, un’associazione per quanti volessero condividere il suo ideale. Non trovò ascolto né allora né negli anni seguenti, così riprese la sua vita di lavoro, preghiera e ascolto: ormai poteva ben dirsi «fratello universale».

Gli echi della prima guerra mondiale, intanto, cominciarono a farsi sentire anche nello Hoggar. Fratel Charles, intanto, aveva un’altra lotta dentro di sé: quella con lo scoraggiamento. «Dieci anni che dico Messa a Tamanrasset, e non un solo convertito!», esclamò scrivendo. Ma sapeva che il suo scopo era un altro: elevare l’Ostia nel deserto, adorare il Signore che in essa era nascosto e, così, portarlo al suo prossimo. Per questo motivo, alla proposta di allontanarsi, rispose negativamente. Accettò piuttosto di trasferirsi in un fortino o “bordj”, più sicuro sia per lui che per gli altri. Il 1° dicembre 1916, verso sera, stava lavorando come suo solito, ma sentì bussare alla porta: era El Madani, un uomo che spesso aveva beneficato. Gli aprì tranquillamente, ma fu subito trascinato fuori e legato, mani e piedi insieme, con redini di cammello; intanto altri uomini, appartenenti al gruppo dissidente dei senussiti, si diedero al saccheggio dell’abitazione. All’improvviso, il rumore dell’arrivo di alcuni soldati a dorso di dromedario mise in agitazione il ragazzo, sui quindici anni, che l’aveva in custodia: gli partì un colpo di fucile e l’ostaggio cadde a terra. Il corpo di fratel Charles fu gettato nel fossato che circondava il fortino, ma venne tirato fuori dal comandante Laperrine, che lo fece seppellire in una tomba più adatta. I suoi resti mortali, nel 1929, vennero traslati presso il cimitero francese di El Golea in Algeria, vicino alla chiesa di San Giuseppe, dei Padri Bianchi. Furono loro a incaricare il romanziere francese René Bazin di comporre la sua prima biografia, edita nel 1921 e presto diventata un grande successo letterario. Era il segno che la testimonianza di fratel Charles aveva iniziato a dare frutto, come dimostrò soprattutto il sorgere di vari gruppi che s’ispiravano a lui a vario titolo. Il primo, l’Union-Sodalité, ebbe origine per compiere il suo desiderio mai realizzato. Tra i più famosi, anche in Italia, ci sono poi i Piccoli Fratelli di Gesù, fondati nel 1933 a El-Abiodh, in Algeria, da padre René Voillaume, e le Piccole Sorelle di Gesù, la cui iniziatrice fu Magdeleine Hutin, nel 1939. La fama di santità di cui fratel Charles era circondato già in vita – i musulmani, usando le loro categorie di pensiero, lo definivano «il marabutto cristiano» – condusse all’apertura del suo processo di beatificazione il 16 febbraio 1927 presso la prefettura apostolica di Ghardaia, sotto cui cade Tamanrasset. La fase diocesana fu chiusa il 10 febbraio 1947 e gli atti del processo vennero depositati alla Sacra Congregazione dei Riti (l’organismo che allora seguiva le cause dei santi) l’11 aprile successivo. Nonostante la sua morte violenta possa far pensare a un martirio, il percorso seguito fu quello per il riconoscimento delle virtù eroiche L’esame dei documenti, tuttavia, subì un rallentamento a causa della guerra franco-algerina. Solo il 30 marzo 1967 i lavori poterono ricominciare, arrivando, il 1° giugno 1968, alla promulgazione del decreto sugli scritti. A dare impulso alla ripresa fu senz’altro la sua menzione nell’enciclica «Populorum Progressio»: «In parecchie regioni, essi [i missionari] sono stati i pionieri del progresso materiale come dello sviluppo culturale. Basti ricordare l’esempio del padre Carlo de Foucauld, che fu giudicato degno d’esse chiamato, per la sua carità, il “Fratello universale”, e al quale si deve la compilazione di un prezioso dizionario della lingua tuareg. È Nostro dovere rendere omaggio a questi precursori troppo spesso ignorati, uomini sospinti dalla carità di Cristo, così come ai loro emuli e successori che continuano ad essere, anche oggi, al servizio di coloro che evangelizzano». Il 13 aprile 1978, quindi, fu decretata l’introduzione della causa presso la Congregazione delle Cause dei Santi, seguita dal decreto sul processo sul non culto il 18 maggio 1979. Il 17 novembre 1979 la causa ottenne la dispensa sul processo apostolico, ma venne richiesto un supplemento di ricerca storica, per la redazione della “Positio super virtutibus”, consegnata il 25 luglio 1995 dopo oltre quindici anni di lavoro. In quel periodo giunse anche la convalida dei processi diocesani, il 21 giugno 1991. La Commissione teologica, il 20 ottobre 2000, si pronunciò favorevolmente circa l’esercizio in grado eroico delle virtù teologali da parte del Servo di Dio. Il parere venne confermato dai Cardinali e vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi il 9 febbraio 2001. Infine, il 24 aprile 2001, san Giovanni Paolo II autorizzò la promulgazione del decreto che dichiarava Venerabile fratel Charles. Nel corso degli anni, il postulatore, monsignor Maurice Bouvier, s’impegnò a trovare un possibile miracolo, senza riuscirci. Ai primi di dicembre 2000, però, una delle Piccole Sorelle di Gesù incontrò una coppia di Desio, Giovanni Pulici e Giovanna Citeri, di passaggio a Roma per il Giubileo degli Artisti. Giovanni era da molto tempo devoto di fratel Charles e chiese alla suora quando fosse prevista la beatificazione. Lei rispose che serviva un miracolo, sempre più difficile da trovare. A quel punto, l’uomo affermò che ne aveva uno proprio di fronte a lei, indicando sua moglie: la suora, invece, era proprio quella incaricata di seguire il processo di beatificazione. Alla fine del 1983, infatti, Giovanna era stata colpita da un tumore osseo, che nella Quaresima del 1984 era già molto avanzato. Suo marito, allora, chiese espressamente l’intercessione del “fratello universale”: da quel momento, le ossa, che prima erano tanto fragili da rompersi a ogni starnuto, si rinsaldarono. Il processo sul miracolo si svolse quindi nella diocesi di Milano, sotto cui si trova Desio, dal 28 ottobre 2002 al 4 marzo 2003. Nel corso dell’inchiesta emerse che mancavano i documenti necessari per comprovare la presunta guarigione miracolosa; tuttavia, i molti testimoni compensarono la carenza di referti medici. Il 15 maggio 2003 la Congregazione delle Cause dei Santi approvò gli atti del processo. La commissione medica formata per l’occasione, il 24 giugno 2004, riconobbe l’inspiegabilità scientifica del fatto, mentre i cardinali e vescovi confermarono, il 7 dicembre successivo, l’intercessione del Venerabile. Infine, il 20 dicembre 2004, san Giovanni Paolo II autorizzò la promulgazione del decreto che riconosceva la sanazione di Giovanna Citeri Pulici come miracolo. La cerimonia di beatificazione avrebbe dovuto svolgersi in piazza San Pietro a Roma il 15 maggio 2005, nella solennità di Pentecoste; tuttavia, la morte del Papa costrinse a rimandare la celebrazione. Papa Benedetto XVI stabilì quindi che si tenesse domenica 13 novembre 2005, nella basilica di San Pietro. La memoria liturgica del Beato Charles de Foucauld, per la diocesi di Viviers e la Famiglia Spirituale che a lui si ispira, cade il 1° dicembre, giorno della sua nascita al Cielo.




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