QUELLE TESTATE NUCLEARI INESPLOSE

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TESTATE NUCLEARI – Il 5 Febbraio 1958 una bomba atomica viene persa dall’aviazione statunitense al largo della costa di Savannah (Georgia), non verrà mai recuperata. Una grave negligenza evento più unico che raro? Affatto! Partendo da quello che sarebbe potuto essere un catastrofico evento ecco l’occasione per ripercorrere una serie di rischi nucleari dovute ad errori, negligenze, sfortuna o incapacità (decidete voi!) che hanno portato la Terra ad un passo dalla catastrofe nucleare.
Nel 1967 gli USA disponevano di 32 mila ordigni nucleari di ogni tipo e le sole bombe B–61 furono prodotte in serie con tiratura da industria automobilistica; nonostante il trattato di non-proliferazione (NPT) siglato nel 1968 si stima che nell’86 vi fossero ancora ben 40 mila armi nucleari operative in tutto il mondo. Non solo: queste armi non venivano prodotte e stoccate in enormi, inaccessibili e sorvegliatissimi arsenali, ma si spostavano in continuazione. Secondo la politica dinuclear sharing (condivisione nucleare) adottata dalla NATO, queste venivano distribuite ai paesi membri (come Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia) mentre l’operazione “Chrome Dome” prevedeva da 12 a 24 bomba rdieri nucleari sempre in volo che compivano regolarmente il giro del mondo. Dal canto suo l’Unione Sovietica aveva trasportato a Cuba 140 testate nei primi anni ’60 (Crisi dei missili di Cuba) ed un numero imprecisato di ordigni era costantemente imbarcato su sottomarini nucleari a spasso per gli oceani in modo che il nemico sapesse che poteva essere colpito in qualunque momento.
In questo continuo via–vai, solo dalla parte americana tra il 1950 ed il 1968 almeno 1250 armi nucleari furono coinvolte in circa 700 incidenti di varia entità; di queste 41 si trovavano a bordo di aeromobili caduti e 24 furono per diversi motivi sganciate accidentalmente da un aereo o lanciate da una nave. Gli incidenti più gravi, che potevano comportare la detonazione accidentale, la distruzione o la perdita di un ordigno era classificati con il codice Broken Arrow (freccia spezzata). Tra gli anni ’50 ed ’80 si verificarono una trentina di incidenti Broken Arrow, la maggior parte dei quali si era concluso con la distruzione della bomba o il recupero del materiale nucleare. Ma i rigidi protocolli del Dipartimento della Difesa tentavano di prevedere e codificare ogni tipo di inconveniente possibile compresa l’eventualità, definita in codice Empty Quiver (faretra vuota), che l’arma atomica potesse essere rubata o semplicemente “smarrita”. Se i furti di ordigni nucleari furono un leitmotiv della saga di James Bond (Thunderball, La Spia Che Mi Amava, Octopussy), casi di smarrimento si sono realmente verificati e ad oggi sono noti almeno sette[6] ordigni americani persi e mai più recuperati.


il 5 febbraio del 1958, un Boeing B–47 “Stratojet” fu danneggiato da una collisione in volo con un caccia North American F-86 Sabre durante un’esercitazione vicino a Savannah, in Georgia. L’equipaggio decise che una bomba nucleare Mk 15 non era esattamente quel tipo di cosa che avrebbe voluto avere nella stiva durante un atterraggio di emergenza: l’ordigno fu sganciato nell’oceano al largo di Tybee Island, vicino al confine tra Georgia e South Carolina, dove si inabissò sprofondando nel fondale limoso e non fu mai più ritrovata.[
L’11 marzo dello stesso anno una bomba nucleare Mk 6 “sfuggì” accidentalmente ad un B-47E-LM “Stratojet”, cadendo su una fattoria a Mars Bluff, nel North Carolina. Motivo, il personale di terra si era dimenticato un gancio. La capsula fissile fortunatamente non era inserita, ma lo scoppio del detonatore ferì quattro persone e distrusse il pollaio, danneggiando diversi edifici nelle vicinanze.
Uno dei più celebri broken arrow fu l’incidente avvenuto nel 1966 a Palomares, in Spagna, un villaggio andaluso di pescatori e contadini sulla costa del Mediterraneo. Un Boeing B–52 “Stratofortress” dello Strategic Air Command, questa volta con quattro bombe nucleari tipo Mk28 a bordo, entrò in collisione con l’aereo cisterna che doveva rifornirlo prima di attraversare l’Atlantico per tornare negli Stati Uniti; il tanker esplose in volo facendo a pezzi il bombardiere, solo 4 persone dell’equipaggio di quest’ultimo riuscirono a salvarsi lanciandosi. Le bombe nucleari, ciascuna abbastanza potente da radere al suolo Manhattan, furono sparpagliate nella zona intorno al villaggio. Due di di esse aprirono il paracadute, una atterrò sul letto di un torrente asciutto e fu ritrovata relativamente intatta, l’altra finì in mare. Le altre due impattarono nei campi, le cariche esplosive detonarono lasciando esposto il nucleo atomico e spargendo plutonio in aerosol su una superficie di 260 ettari. Per buona sorte non ci furono vittime a terra, ma la situazione era davvero grave. Inoltre, il fatto che all’epoca a Palomares ci fosse un solo telefono non avrebbe impedito alla notizia di uscire in prima pagina sul New York Times 6 giorni dopo.
Le operazioni durarono tre mesi, durante i quali furono rimosse 1400 tonnellate di terreno e vegetazione contaminati, sigillate in 4 810 barili e spedite all’impianto di Savannah River in South Carolina (USA) per lo smaltimento. Contemporaneamente la US Navy, con uno spiegamento di ben 38 navi, si occupava della ricerca in mare della bomba dispersa: la posizione ufficiale del Pentagono era «non sappiamo di nessuna bomba dispersa».
Un imponente corpo di spedizione formato da aerei, elicotteri e una ventina di navi, con quattro sottomarini, lavorò alla ricerca.
I giornalisti che si occupavano della storia notavano spesso la straordinaria coincidenza con il film di James Bond appena uscito: in Thunderball, l’agente 007 ha proprio la missione di recuperare dal mare alcune bombe atomiche che sono andate perdute. Il comandante della missione, l’ammiraglio William S. Guest, non era molto ottimista: «Non è come cercare un ago in un pagliaio – dichiarò – è come cercare la cruna di un ago, al buio, in un campo pieno di balle di fieno».
Quasi due mesi dopo l’incidente, il 15 marzo, l’equipaggio del sottomarino Alvin localizzò la bomba a cinquecento metri di profondità. Le laboriose operazioni di recupero sembrarono colpite dalla sfortuna quando, nove giorni dopo, il cavo che stava trainando la bomba – pesante diverse tonnellate – si ruppe e la Mark 28 tornò sul fondo del mare. Fu l’Alvin a trovarla di nuovo, una settimana dopo, e questa volta il cavo tenne.
I militari, evidentemente sollevati, invitarono i giornalisti a bordo della nave di Guest per lo spettacolo della bomba ritrovata: l’operazione di recupero più costosa della storia della marina militare americana (circa dieci milioni di dollari dell’epoca) era arrivata alla conclusione. Gli Stati Uniti dovettero cedere la base militare di Torrejón al controllo della Nato e accettare il divieto del governo spagnolo a sorvolare il paese con bombe nucleari.
Il 21 gennaio del 1968 si verificò un incendio a bordo di un bombardiere strategico Boeing B–52G in missione segreta sopra la Groenlandia. Sei dei sette membri dell’equipaggio riuscirono a lanciarsi e l’aereo in fiamme sfiorò i tetti della base americana di Thule, andando a schiantarsi sulla baia ghiacciata di North Star, vicino all’isola di Appal. L’impatto fece detonare le cariche esplosive di tre dei quattro ordigni, spargendo plutonio, uranio e trizio. Il sito venne avvolto dalle fiamme, alimentate dal carburante, che iniziarono a sciogliere il ghiaccio; la banchisa si ruppe e la quarta bomba venne inghiottita dal mare.
I governi di Stati Uniti e Danimarca (della quale la Groenlandia era una provincia) avviarono immediatamente la massiccia operazione congiunta “Crested Ice”, ribattezzata ironicamente “Dr. Freezelove” (parodia del “Dr. Strangelove” di Kubrick) per le condizioni ambientali: la temperatura scendeva a -56 °C con venti fino a 150 km/h, l’equipaggiamento congelava.
Come a Palomares cinquecento persone lavorarono otto mesi per rimuovere oltre diecimila tonnellate di ghiaccio e rottami radioattivi e spedirli a smaltire a Savannah, nel South Carolina. E, nonostante Palomares, ancora nessun corpo permanente era stato formato per fronteggiare questo tipo di incidenti e non lo sarebbe stato fino al 1975, quando fu finalmente istituito il “Nuclear Emergency Support Team” (NEST).


Il primo Broken Arrow della storia si verificò la notte del 13 febbraio del 1950, quando un Convair B-36B “Peacemaker” in difficoltà, con tre motori in fiamme e gli altri tre non in grado di sviluppare piena potenza, dovette sganciare la pesante bomba atomica Mk 4 da esercitazione (dummy) sopra i canali dell’Inside Passage, lungo la costa dell’Alaska. Il detonatore fu settato per esplodere a tremila piedi: essendo priva del core (nocciolo) di materiale fissile, l’esplosivo convenzionale delle cariche di innesco avrebbe distrutto la bomba in volo.
La deflagrazione disperse però 45 kg di uranio radioattivo, contenuti nel detonatore, sui fiordi tra Estevan Sound e Squally Channel.
L’equipaggio si lanciò con il paracadute; dei diciassette membri solo dodici furono ritrovati nelle acque gelide del Pacifico e tratti in salvo mentre l’aereo, che si riteneva precipitato in mare, fu inspiegabilmente ritrovato solo tre anni dopo in una vallata vicino al monte Kologet, nell’entroterra a canadese a 340 km a nord dal luogo dove era stato visto per l’ultima volta.
Incidenti Broken Arrow non furono un’esclusiva dei bombardieri strategici: il 5 dicembre 1965, a bordo della portaerei USS Ticonderoga (CV-14) in navigazione a 80 miglia da Okinawa, un aereo Douglas A-4 “Skyhawk” che si trovava nell’hangar della nave veniva caricato sull’ascensore che l’avrebbe portato al ponte di volo per una esercitazione. L’aereo però non era stato frenato e scivolò in mare inabissandosi con il pilota ed un missile nucleare, che non fu mai ritrovato. Nel 1968, il sottomarino USS Scorpion si inabissò per motivi non chiari 400 miglia sud–est delle Azzorre trascinando sul fondo, oltre all’intero equipaggio, due armi nucleari di natura imprecisata che si trovano verosimilmente ancora lì.
Nel 1980 a Damascus (Arkansas) presso la base aeronautica di Little Rock. La sera del 18 settembre, all’interno di un silo di lancio del “374th Strategic Missile Squadron”, un aviere stava eseguendo lavori di manutenzione ad un missile balistico intercontinentale “Titan II” armato con una testata W53 da 9 megatoni quando gli sfuggì una chiave, che cadde per 24 metri prima di colpire il serbatoio del primo stadio, forando il sottile rivestimento e causando una perdita di propellente ipergolico.
L’intero complesso e i residenti nell’area circostante furono evacuati dalla polizia militare. Verso le tre di notte il silo, ormai invaso dal propellente, esplose scaraventando il coperchio del peso di 740 tonnellate a 180 metri di distanza. La testata nucleare fu catapultata in aria e ritrovata a trenta metri dall’imbocco del silo, “fortunatamente” intatta.
Ma la situazione dall’altra parte? Come ben sapete imperava il silenzio in Unione Sovietica ed era cosa quasi impossibile che qualche notizia trapelasse, figuriamoci su possibili errori nucleari.
Nonostante tutto ciò sappiamo che tra il 1960 ed il 1980 almeno 25testate nucleari russe finirono sul fondo dell’oceano, delle quali solo 8 recuperate a causa di incidenti riguardanti i sottomarini.
Credetemi: lassù Qualcuno ci ama!




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