Everest, “solo un po’ di tosse”: covid, il dramma nascosto

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Everest – In Nepal circa il 3 per cento è vaccinato, i contagi sono 680.556, con più di 1.500 nuovi casi accertati, domenica 25 luglio, e inoltre i vaccini scarseggiano. Le entrate dal turismo d’alta quota contribuiscono all’8 % del Pil nazionale: rinunciarvi contribuirebbe alla catastrofe economica.

Everest: che cosa non si farebbe per denaro! L’ennesima dimostrazione di quanti soldi girino intorno alla pandemia giunge direttamente dalla montagna più alta del mondo dove le spedizioni non si fermano covid o non covid!

Nel 2019, il governo del Nepal incassò quasi 2 miliardi di euro grazie al rilascio di visti d’ingresso e di permessi per salire sull’Everest. L’anno scorso però fu costretto a sospendere ogni attività, registrando un tracollo di entrate. Così, quest’ anno, è stato deciso di rilasciare un record di permessi per recuperare le perdite: 408 licenze d’ascesa, ma il Covid ha raggiunto da molte settimane la vetta più alta della Terra “e se viene stabilito che la pandemia blocca la possibilità di completare la spedizione, poi gli ascensionisti stranieri possono chiedere una proroga del loro permesso, che costa singolarmente quasi 10 mila euro, oltre ai 110 euro del visto. Se si accumulano alpinisti che quest’ anno non possono salire, ma che reclamano di farlo senza bisogno di rinnovare il permesso l’anno prossimo, c’è il rischio che nel 2022 l’affollata montagna si intasi ancor di più. Senza alcun incasso aggiuntivo”.
“Si tratta solo di polmonite o la tosse è normale in alta quota”. Queste le  sono le reazioni ufficiali più comuni da parte delle istituzioni nepalesi, quando vengono confrontate con l’evidenza dei contagi da coronavirus. “Ma non possiamo certo rinnovare i permessi di ascesa solo sulle basi di voci di contagi da Covid-19”, ha dichiarato Rudra Singh Tamang, direttore generale del dipartimento del turismo del Nepal. “Che le loro spedizioni siano state annullate per il Covid-19 resta tutto da dimostrare”. Almeno 60 alpinisti contagiati, anche se spesso asintomatici, sono arrivati sulla cima, finora. “Poiché è obbligatorio un test negativo per accedere al campo base, e vengono fatti test anche all’arrivo, i casi sono due: o chi è incaricato somministrare i tamponi viene corrotto, oppure molti alpinisti sviluppano la tracciabilità del contagio quando sono già oltre il campo base, in marcia verso l’alto”, riporta la Stampa.


In Nepal circa il 3 per cento è vaccinato, i contagi sono 680.556, con più di 1.500 nuovi casi accertati, domenica 25 luglio, e inoltre i vaccini scarseggiano. Le entrate dal turismo d’alta quota contribuiscono all’8 % del Pil nazionale: rinunciarvi contribuirebbe alla catastrofe economica che peggiora sempre più.
Ma c’è chi non rinuncia comunque: come Mario Celinic, croato risultato positivo al campo base che, dopo quattro anni di preparazione, non ha voluto arrendersi. Essendo asintomatico, ha deciso di rischiare: “Quella montagna è come un bel fiore che può ucciderti in qualsiasi momento. Ti attira. E devi venire qui, perché qui c’è la gloria. Ma oltre gli 8.000 metri sei disarmato. Sarà la montagna a decidere il tuo destino”.
Ma perchè scalare l’Everest in piena pandemia?. La risposta viene dallo scalatore britannico che prese parte alle prime tre spedizioni: «Perché vuole scalare l’Everest? – Perché è lì» (George Mallory).
I primi tentativi di raggiungere la vetta dell’Everest risalgono al 1921, quando furono organizzate delle spedizioni britanniche. Nel corso della spedizione britannica all’Everest del 1924, George Mallory e Andrew Irvine scomparvero nel corso di un tentativo alla vetta dalla cresta nord e nord-est. Mallory, il cui cadavere venne ritrovato 75 anni dopo, morì durante la discesa. Non è appurato se i due siano caduti dopo aver raggiunto la cima o, più probabilmente, a seguito della rinuncia al tentativo. Possibili ulteriori indizi potrebbero derivare dalla macchina fotografica in possesso probabilmente di Irvine, il cui corpo però è ancora disperso. Ad alimentare ulteriori dubbi sulla questione furono le dichiarazione di Mallory che affermò che, nel caso in cui fosse riuscito a raggiungere la cima, vi avrebbe lasciato una foto della moglie, foto non ritrovata sul cadavere rinvenuto decine di anni dopo. Il 1º maggio 1999, il gruppo di ricerca dell’alpinista statunitense Eric Simonson ha comunicato di aver identificato, su uno spuntone a 8 290 m di quota sulla parete nord, il corpo di George Mallory, poco sotto il punto dove nel 1933 era stata rinvenuta una piccozza che si presume appartenesse ad Andrew Irvine.
La prima ascensione filmata (arrivarono a 200 metri dalla vetta) fu fatta nel 1952, un anno prima di Edmund Hillary, dalla spedizione svizzera sull’Everest diretta dal ginevrino e medico Edouard Wyss-Dunant con a capo guida René Dittert che inaugurò finalmente la via all’Everest dal Nepal. I membri della spedizione furono quasi tutti del Club Alpin l’Androsace e del Cantone di Ginevra il quale assieme all’Università di Ginevra finanziarono in gran parte tale spedizione. Lo svizzero Raymond Lambert e Tenzing Norgay ingaggiati come capi dei portatori (circa 150 che portarono 30 kg a testa a piedi per circa 1 mese) raggiunsero la quota di 8.595 metri, a soli 200 metri dalla vetta, massima altezza mai raggiunta da un uomo. Ai 7.000 rimasero circa una settimana ed il loro fisico si deteriorò. In un solo giorno salirono a 8.000 ma la stanchezza con pochi viveri e la scarsa qualità dei respiratori impedirono ai due di raggiungere la vetta. Tenzing disse che, se anche fossero riusciti a salire in cima, non sarebbero tornati indietro vivi. Nel 2002, il figlio e nipote di Raymond Lambert e Tenzing Norgay, in occasione del cinquantenario di tale spedizione “ginevrina” che arrivò un anno prima (1952) di Edmund Hillary (e Tenzing Norgay) a soli 200 metri dalla vetta, raggiunsero gli 8.848 metri.
Il 26 maggio 1953 i britannici Charles Evans e Tom Bourdillon riuscirono a raggiungere la Cima sud (8749 m).
La prima ascensione italiana fu compiuta nel 1973. La spedizione fu guidata e voluta dall’esploratore, alpinista e mecenate Guido Monzino, che commentò:[ «l’intento è quello di portare il tricolore sulla più alta montagna del mondo, per concorrere sul piano internazionale ad un’affermazione di prestigio per la Patria.»




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