Lo chiamano overtourism, come abbiamo già raccontato più volte anche in questa newsletter. In realtà, bisognerebbe già distinguere l’overtourism (la sovrabbondanza di ricettività in una destinazione, tale da snaturare l’equilibrio con i residenti) dall’overcrowding (il sovraffollamento dei turisti in giornata). E poi, forse, ragionare su un termine che punta il dito contro il turista, reo e responsabile di essere “di troppo” per il luogo che sta visitando. Alcuni ricercatori pensano che non sia del tutto corretto dare la colpa solo ai turisti: come ha spiegato lo studioso Michael O’Regan in un’interessante intervista pubblicata su Elle, il termine overtourism «si basa molto su metafore che ritraggono il turismo e i turisti come una minaccia o una crisi, che possono influenzare l’opinione pubblica» ma «manca di prove e di rigore empirico ed è spesso usato come strumento retorico piuttosto che come base per soluzioni significative». Ad esempio, ci sono varie ragioni per cui i prezzi delle case in città continuano ad aumentare. E «piuttosto che dire “tourist go home“, i residenti dovrebbero votare per i politici e i partiti che hanno una reale strategia per il turismo»: i turisti, infatti, non hanno nessun controllo su questioni di sistema come pianificazione urbana, infrastrutture, politiche turistiche e strutture economiche che spesso privilegiano le entrate turistiche rispetto, per esempio, alla sostenibilità.
Un punto di vista interessante, su cui ci sarebbe molto da dire e su cui c’è senz’altro molto da lavorare. In un recente evento a Capri, il Ministro del Turismo Daniela Santanché ha affermato, rispondendo a un giornalista: “A me pensare che ci siano troppi turisti, sinceramente, è una cosa che mi lascia un po’ perplessa. Forse non si è stati sinora capaci di gestire i flussi, lei pensi che il 75% dei nostri turisti utilizza il 4% del nostro territorio nazionale. Capisce che non è una questione di troppi turisti, ma di flussi che non vengono gestiti, che non sono mai stati gestiti in passato, non si è mai pensato a questo problema, perché si è sempre pensato ai numeri”. Ma si può davvero costringere i turisti a scegliere mete alternative a Venezia, alle Tre Cime di Lavaredo o alla Pelosa di Stintino, che sono “uniche” e nell’immaginario collettivo di tutti? Certo non basterà mostrare loro Chioggia, il Lagorai o Capo Comino per fargli cambiare idea. E comunque bisognerà pensarci bene, prima che queste località subiscano il destino di tante altre (vedi il lago di Braies, per fare un esempio).
D’altra parte, al momento solo Venezia, nel contesto italiano, ha avuto “poteri speciali” per intervenire rispetto alle problematiche locali. In un recente convegno, l’accademico e ricercatore Dino Gavinelli ha sottolineato come l’amministrazione di Barcellona abbia potuto agire concretamente sulla questione proprio grazie ai suoi poteri di intervento e che i problemi più gravi permangono laddove non può intervenire direttamente (nel caso specifico la gestione dei flussi di crocieristi che dipendono dall’autorità portuale statale).