Le meraviglie del K2 raccontate da Gian Luca Gasca

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La montagna ed i suoi paesaggi sono una parte straordinaria del Creato. Osservare il mondo da oltre i 1300 metri è già uno spettacolo, immaginatevi la meraviglia di farlo da una delle montagne più affascinanti che vi siano. Chi vi scrive ha avuto la fortuna di avere uno zio scalatore che gli ha raccontato le sue magnifiche gesta sull’Himalaya ma oggi, nel presente, ho avuto la fortuna di imbattermi in una persona che vive la montagna con amore, passione, gioia. Ed allora eccomi qui a raccontarvi l’avventura appena conclusasi di Gian Luca Gasca, che, dopo Alpi e Appennini ha preso il biglietto Torino – K2 e ha macinato così i 10.000 km su rotaia e su gomma che ci separano dalle montagne più alte della terra. In quelle distanze c’è un mondo intero, fatto di persone e di luoghi che qui in occidente no si immaginano neppure. In territori dove le persona vivono immerse nella natura, lontane da comodità, stress, inquinamento, dispute e tutto quello che è lontano dal vivere al cospetto della natura e di ciò che la rispetta e la circonda. Partito il primo agosto, Gian Luca, ha intrapreso questo viaggio lento e dal sapore antico, nella sterminata steppa, luogo dell’anima russa, fino alle montagne “che ho sempre sognato di vedere”. Quindi eccolo di nuovo a casa, già pronto a ripartire per nuove avventure ma prima di cimentarsi in una nuova entusiasmante impresa ci ha fatto un gran dono, il suo diario di viaggio, un viaggio durato 43 giorni.

La partenza da Torino è stata decisamente pesante. Per il terzo anno consecutivo lasciavo a casa tutto e tutti. Tutto si fermava ancora una volta per rimanere sospeso nel tempo fino al mio rientro.

A questa sensazione si aggiungeva, mentre il Flixbus viaggiava verso Monaco di Baviera, la sensazione di totale solitudine che avrebbe caratterizzato la prima parte di questo viaggio. Viaggio che, con il passare dei luoghi, si sarebbe suddiviso in periodi:

1- La solitudine: dalla partenza fino a Mosca le interazioni umane sono state davvero poche. Non ho avuto tregua con i mezzi pubblici fino alla capitale Russa. Partito da Torino sono arrivato a Berlino dove dopo poco più di 5 ore dal mio arrivo sono ripartito alla volta di Minsk che ho raggiunto cambiando 4 autobus. Minsk è stata la mia prima vera frontiera, sia burocratica che culturale. Oltre quel confine è sparito l’inglese e le interazioni umane si sono ridotte ancora di più. Sui treni nessuno o quasi parlava inglese e i russi sono diffidenti per natura. O li sai prendere nella loro lingua o rimarrai isolato per il resto del tuo tempo. Nella mia esperienza sui treni russi non ho vissuto quasi nulla di quanto letto sulle recensioni online di viaggiatori o turisti. Ho passato giornate intere di solitudine mentre viaggiavo in terza classe su treni che lentamente mi portavano verso est. Mi hanno lasciato molto tempo per riflettere, per prendere appunti e per capire quanto fosse distante l’est della mia immaginazione da quell’est che stavo vivendo (ma anche quanto fosse distante quel mondo dal mio). Solo i panorami erano quelli sognati.

Il clima inizia però a cambiare quando il treno passa il confine russo e entra in Kazakistan. I problemi linguistici rimanevano ma la gente faceva di tutto pur di rendermi partecipe di quella cultura tanto distante. Stavo finalmente trovando il mio est, quello sognato per anni, tra una partita a carte (di cui non ho compreso alcuna regola) e una busta di cetrioli dell’orto offertami in cambio di una mela dell’ipermercato.
In toto però viaggiare su questi treni è stata un’esperienza unica. Ti permette davvero di immergerti in un mondo che con la nostra mentalità occidentale non ha nulla a che fare. Quei vagoni “camerata” sono una casa per i passeggeri che appena saliti si cambiano d’abito mettendosi comodi e preparandosi quello che sarà il loro giaciglio per le prossime dodici, ventiquattro o quarantotto ore, se non di più. Sono mezzi su cui si perde la concezione del tempo e quando si domanda (a fatica) quanto manchi alla propria meta la risposta non arriva in ore, minuti e secondi, ma in chilometri… poi sta te iniziare a fare calcoli tra le stazioni intermedie e la velocità media del convoglio per capire l’orario di arrivo.

2- Cina: Il dubbio di non poter passare il confine cinese mi ha accompagnato dal primo giorno di viaggio fino all’arrivo ad Almaty, dove poi è diventato realtà certa. Purtroppo non conosco le reali motivazioni per cui non mi sia stato concesso il visto cinese. I funzionari hanno fatto spesso riferimento al visto pakistano, ma oltre per ora non saprei dire. Purtroppo durante il viaggio non ho avuto tempo di documentarmi a sufficienza sulla questione, anzi. Mi sono dovuto occupare di trovare rapidamente una soluzione al problema. Per questo una volta decretata la mia impossibilità ad attraversare via terra e con i mezzi pubblici il territorio dello Xinjiang cinese mi sono arreso all’evidenza che era necessario prendere un aereo per Islamabad (Ormai ero troppo vicino alla mia meta per rinunciarvi e questo piccolo, ma grosso, imprevisto ha reso la mia storia più interessante).
Così, superata in volo la Cina (In realtà ci sono passato perché ho dovuto cambiare aereo ad Urumqi per Islamabad) sono finalmente arrivato in Pakistan.

3-Pakistan: L’impatto con il Pakistan è stato da subito liberante e piacevole. Liberante perché finalmente non ero più solo. Da qui in poi ero accompagnato da Carlo Alberto Garzonio, amico ed ex presidente del Comitato Scientifico centrale del CAI, che mi ha raggiunto per un accompagnarmi durante il trek di avvicinamento a Campo Base del K2.
Da quando sono atterrato tutto è stato veloce e immediato, senza quasi darmi il tempo di comprendere. Sceso dall’aereo ho incontrato il proprietario dell’agenzia e poche ore dopo eravamo già in viaggio verso Skardu. Circa 24h dopo, dopo aver testato la guida pakistana e soprattutto la Karakorum Highway eravamo finalmente in albergo a goderci un sonno riposante che sarebbe durato poco. La nostra guida, Hassan Jan, un ottimo alpinisti himalayano con all’attivo tutti gli 8000 del Pakistan, ci è piombata in camera chiedendo i documenti per i militari e dicendoci di preparare di bagagli perché in base alla velocità dei militari saremmo partiti o la mattina dopo o quella successiva. Ovviamente i permessi sono arrivati immediatamente e così il 20 agosto siamo saliti in jeep alla volta di Askole (anche questa strada è stata una bella esperienza), ultimo punto raggiungibile con mezzi a motore. Da qui abbiamo camminato. Il percorso non è stato particolarmente impegnativo o complesso, ma il panorama era unico. Tutto era sovradimensionato, dai torrenti alle rocce per arrivare alle montagne.

È stato qualcosa di unico e spettacolare incrociare finalmente quei luoghi di cui ho letto tanto sui libri di alpinisti e storici in questi anni. Finalmente avevo occasione di trovarmi di fronte a montagne sognate per tutta la vita, di mettere il piede sugli stessi sentieri calcati dai grandi dell’alpinismo. È stato particolare ritrovarmi a pensare a chi, prima di me e con ben altri obiettivi, ha messo piede e visto quegli stessi panorami. Sono nomi che hanno lasciato impronte profonde nella storia dell’esplorazione e dell’alpinismo e meritano il massimo rispetto.

Due giorni prima di incontrare la testata del Baltoro, poi la torre Trango a Sinistra e, per un istante, la cima del Broad Peak che sbuca in lontananza.

“L’arrivo al Concordia è stato sicuramente il momento più emozionante” ha raccontato Gian Luca. Era il 26 agosto ed ero in giro da ventisei giorni che parevano essere durati un anno per la mole di esperienze accumulate in così poco tempo. Giungere finalmente a destinazione è stato lo scarico di tutto quanto. Un momento di liberazione culminato con l’abbraccio della mia guida Hassan Jan, che aveva scalato il K2 con la spedizione del 2014 organizzata da Agostino da Polenza, che mi ha tirato su dicendomi “welcome to Concordia my friend”. È stato un bel momento, peccato che il K2 fosse completamente coperto, tranne la base e una parte dello sperone Abruzzi. Ma dopo una mezzora si è scoperto completamente. Mi sono trovato davanti tutta la piramide. Era una cosa che avevo sognato per molti anni, per moltissimi anni e finalmente, grazie al Club Alpino Italiano, ho potuto coronare il sogno di vedere dal vivo la seconda montagna della terra. Senza di loro non credo che avrei mai avuto l’opportunità di compiere un viaggio di questa portata. Il momento più difficile è stato invece durante la discesa, ho avuto dei problemi con il cibo che ci davano durante il trek, un uovo sodo mi ha messo k.o. tenendomi sveglio tutta la notte. Il giorno dopo Hassan mi ha obbligato ad una giornata di stop, così mi sono fatto un pezzo di Baltoro a cavallo. Durante il viaggio la fatica più grande è stata invece l’enorme solitudine. C’è stato molto tempo per pensare…

Già pensare, pensare ad un viaggio meraviglioso a quel momento magico dopo quasi 10000 chilometri arrivando a Concordia ma anche a quel desiderio di tornare dai propri cari che Gian Luca ci ha confidato di provare. Ma la montagna sarà ancora la sua prossima avventura…




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