Terremoto in provincia di Roma, M 3.3, 11 maggio 2020

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Terremoto – Dopo il terremoto dello scorso, 11 maggio 2020, alle ore 05:03 italiane di magnitudo M 3.3 localizzato dalla Rete Sismica Nazionale tra il comune di Fonte Nuova (RM) e il territorio comunale capitolino, si sono verificate solo due ulteriori scosse di bassa magnitudo. La prima, subito dopo alle ore 05:14, di magnitudo 0.7, la seconda questa notte, 12 maggio, alle 02:06 di magnitudo 1.8.

L’occorrenza di terremoti nella città di Roma, sebbene abbastanza sporadica, non è un fatto eccezionale. Sappiamo che storicamente, ma anche recentemente, oltre ai terremoti appenninici (tra i più noti e energetici ricordiamo quelli del 1349, 1703, 1915, 2009 e 2016) e quelli avvenuti nei Colli Albani nel 1806, 1899, 1988, a Roma si avvertono saltuariamente piccoli eventi di origine locale.

Grafico della storia sismica della città di Roma dall’anno 1000 in poi, estratto dal Database Macrosismico Italiano (DBMI15). Si notano gli eventi maggiormente risentiti nella città del 1349, 1703 e 1915.

In particolare due aree prossime a Roma rilasciano sporadicamente una sismicità sensibile: la zona appena a sud della capitale, per intenderci tra la via Pontina e la via Ardeatina, dove sono stati localizzati i terremoti del 1895, 1909 e del 1995, tutti con magnitudo inferiore a 5, ed una seconda area a nord-est, ai margini della Sabina, in cui il terremoto più forte è stato quello di Palombara Sabina del 24 aprile 1901, di magnitudo intorno a 5.

L’area compresa tra la Sabina e il Grande Raccordo Anulare di Roma è stata in precedenza sede di attività sismica, simile al terremoto di oggi: ad esempio nel 1993 e nel 1997, con eventi di modesta intensità, ma fortemente avvertiti dalla popolazione. Più anticamente, nel catalogo sismico, si annovera anche il terremoto del 19 gennaio 1484, che procurò lievi danni in alcune località come Mentana, Monterotondo e Castelnuovo di Porto, lungo la via Salaria. Dobbiamo infine ricordare che l’area delle Acque Albule, fra Tivoli e Guidonia, non lontano dall’epicentro di ieri mattina, è talvolta sede di sciami sismici, come avvenuto in varie occasioni, l’ultima delle quali nel 2001-2002.

Epicentri dei terremoti avvenuti entro 30 km dal centro di Roma dal 1985 a oggi (http://terremoti.ingv.it).

Interessante notare che nell’area contenuta entro il Grande Raccordo Anulare di Roma, o nelle immediate vicinanze, si contano poco più di 70 eventi in 35 anni, di magnitudo compresa tra 0.7 e 3.8. Tra questi eventi, nessuno ha dato origine a sequenze sismiche o sciami, si è trattato quasi sempre di scosse isolate. Il caso dei recenti eventi alla periferia nordest della Capitale farebbe quindi eccezione, avendo avuto due piccole repliche. Va anche considerato che per gli eventi degli anni ’80 e ’90, e forse anche nei primi anni del 2000, la sensibilità della rete sismica non era pari a quella attuale e quindi qualche eventuale piccola scossa potrebbe non essere stata rilevata.

Per il terremoto dell’altra mattina alle 5:03 è stato calcolato il meccanismo focale che ha evidenziato un movimento di tipo trascorrente. La figura mostra che il piano di faglia possibile è quello orientato in direzione NNE-SSO, o quello ortogonale (ESE-ONO). Al momento, non ci sono elementi che possano farci discriminare tra i due piani. In ogni caso, l’orientazione degli assi del meccanismo focale indica una estensione in direzione circa “anti-appenninica” (nordest-sudovest) e una compressione a questa ortogonale, che risulta coerente con le conoscenze geologiche di questi settore della Penisola.

Dal punto di vista geologico l’area epicentrale di quest’ultimo terremoto è caratterizzata da affioramenti marginali di depositi vulcanici di ricaduta provenienti dal distretto dei Monti Sabatini, situato a nordovest di Roma, e di depositi, ancora vulcanici ma come flussi piroclastici, provenienti dai vicini Colli Albani, posti a sud. Questi terreni costituiscono un “plateau” vulcanico che rappresenta il tipico paesaggio della campagna romana. Quest’area è posizionata poco a sudovest del margine dell’Appennino centrale, che è stato ribassato da faglie estensionali a direzione nordovest-sudest, attive particolarmente durante il Pleistocene medio, in concomitanza con il periodo più intenso dell’attività vulcanica (tra 800.000 e 350.000 anni fa).
È presente inoltre in quest’area un evidente lineamento morfo-strutturale a direzione nord-sud, rappresentato da un’incisione torrentizia, probabile testimone di un’altra zona di faglia sepolta, forse non più attiva. L’evento di ieri mattina rappresenta molto probabilmente uno dei rari episodi di riattivazione di piccoli segmenti di queste vecchie faglie, sotto un campo di stress molto meno intenso di quello che un tempo ha trasformato il paesaggio di questo territorio.




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