2 marzo del 1939: il cardinale Eugenio Pacelli viene eletto Papa Pio XII

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Pio XII – “Annuntio vobis gaudium magnum…” il 2 marzo del 1939 il cardinale Eugenio Pacelli viene eletto Papa. Pio XII è il 260.mo Pontefice di Santa Romana Chiesa. L’annuncio della sua elezione è interrotto quattro volte dall’applauso della folla di fedeli accorsi in Piazza San Pietro. Papa Pacelli è eletto il giorno del suo compleanno: il 2 marzo del 1939. Instancabile costruttore di pace, fronteggiò gli orrori della Seconda Guerra Mondiale portando la luce di Cristo tra le macerie del conflitto e la speranza della ricostruzione. Il Papa romano guiderà la barca di Pietro per diciannove anni. Ordinato vescovo il 13 maggio del 1917, giorno della prima apparizione della Madonna di Fatima, durante il pontificato incontra più volte suor Lucia e nel 1940 riconosce definitivamente le apparizioni.
Un cammino nel solco di Maria che vede il primo novembre del 1950 l’istituzione del dogma dell’Assunzione al cielo, in anima e corpo, della Madre di Dio, una verità radicata profondamente nel senso religioso dei cristiani fin dai primi secoli. Poco dopo l’elezione proclama San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena Patroni Primari d’Italia. Pio XII è il primo Papa a comparire sul piccolo schermo, definisce cinema, radio e televisione “meravigliose invenzioni tecniche”, si spende per la riduzione della Curia, indice il Giubileo Universale del 1950. Sostenitore della famiglia e difensore della vita, è durissimo contro i cristiani che professavano “la dottrina comunista” fino ad arrivare alla scomunica. Un pontificato che inizia però con lo spettro incombente della Seconda Guerra Mondiale. Indimenticabile il radiomessaggio del 24 agosto del 1939, rivolto ai governanti ed ai popoli nell’imminente pericolo del conflitto: “Un’ora grave suona nuovamente per la grande famiglia umana – dice con voce ferma -; ora di tremende deliberazioni, delle quali non può disinteressarsi il nostro cuore, non deve disinteressarsi la nostra autorità spirituale, che da Dio ci viene, per condurre gli animi sulle vie della giustizia e della pace. Pio XII non darà solo una consegna, ma testimonierà fino alla fine questo impegno per la costruzione della pace, parola diceva che “commuove e agita i cuori, una parola precisa e concreta”, specialmente sul contributo della Chiesa”. Per il Papa, infatti, “ufficio della Chiesa” e “primo contributo alla pace” è annunciare il Vangelo: così da edificare “quell’ordine voluto da Dio in Cristo, che garantisce una pace reale e durevole”.
Ma ricostruiamo le fasi salienti della sua vita terrena.
Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli nacque a Roma il 2 marzo 1876 da nobile famiglia, terzogenito dell’avvocato della Sacra Rota Filippo Pacelli (1837-1916) e di Virginia Graziosi (1844-1920). I titoli nobiliari della famiglia Pacelli, concessi nel 1853 e 1858, erano conseguenti agli avvenimenti della seconda Repubblica Romana (1848-1849). Quando il papa-re Pio IX si rifugiò a Gaeta, Marcantonio Pacelli (1804-1902) da Onano (Viterbo), nonno paterno di Eugenio, seguì il Papa nella cittadina laziale (allora parte del Regno delle Due Sicilie). Fu quindi premiato con i titoli di principe e di marchese, sia per la sua fedeltà, sia per aver contrastato efficacemente, dopo la fine della Repubblica, nel ruolo di sostituto del ministro dell’interno, i liberali che si opponevano al governo papalino. Lo stesso Marcantonio fu, successivamente, tra i fondatori dell’Osservatore Romano (1861). Filippo Pacelli, padre del futuro Papa, essendo secondogenito di Marcantonio, poté fruire solo dei titoli di nobile romano e di nobile di Acquapendente e di Sant’Angelo in Vado, che poi trasmise ai suoi figli. Eugenio sentì sin da piccolo la vocazione sacerdotale. Pare che nei momenti liberi amasse far finta di celebrare la messa. Determinante per la sua formazione fu l’influenza che ebbe, a partire dall’età di 8 anni, il reverendo Giuseppe Lais, scienziato astronomo, discendente da una storica famiglia romana di origine sassone. Questi fu per molti anni precettore e mentore del futuro papa Pio XII e in seguito insignito della medaglia d’oro pontificia da papa Benedetto XV. Dopo le elementari, frequentate in una scuola privata cattolica, e la frequenza al liceo di Stato “Ennio Quirino Visconti”, Eugenio Pacelli entrò nel Collegio Capranica. Dal 1894 al 1899 studiò teologia alla Gregoriana. Il 2 aprile 1899 (domenica di Pasqua) fu ordinato sacerdote dall’imposizione delle mani del vescovo Francesco di Paola Cassetta. Si addottorò in teologia nel 1901. Nel 1902 si laureò in giurisprudenza in utroque iure, cioè sia in diritto civile, sia in quello canonico. Non ebbe mai modo di praticare l’avvocatura, al contrario del fratello maggiore Francesco, giurista per la Santa Sede e uno dei principali negoziatori dei Patti Lateranensi del 1929.
l cardinale Vincenzo Vannutelli, che più tardi sarebbe diventato decano del Sacro Collegio, indusse Pacelli a entrare come “apprendista” nella segreteria di Stato. In tale ufficio conobbe subito importanti prelati quali i cardinali Mariano Rampolla, Rafael Merry del Val e Giacomo della Chiesa, futuro papa Benedetto XV. Dopo tre anni fu nominato minutante e, dopo la specializzazione accademica in relazioni fra Stato e Chiesa, monsignore-ciambellano di papa Pio X (1904). Preoccupato per le influenze libertarie che stavano contagiando il clero italiano, Pacelli vide con favore l’introduzione del giuramento antimodernista da parte di Pio X. Si applicò con zelo alla stesura di un nuovo codice di diritto canonico e, a partire dal 1911, alla carica di consultore presso il Sant’Uffizio. Nello stesso anno divenne sottosegretario della congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari e rappresentò la Santa Sede all’incoronazione di Giorgio V del Regno Unito. Nel 1914 fu nominato segretario del cardinale Pietro Gasparri, all’epoca sottosegretario della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici straordinari e futuro segretario di Stato. In questa veste collaborò alla stesura del concordato tra il Regno di Serbia e la Santa Sede stipulato il 24 giugno 1914, pochissimi giorni prima dell’inizio della Prima guerra mondiale. Tale accordo garantiva finanziamenti statali all’episcopato cattolico in Serbia e non ci sono fondate prove storiche che sia stato una delle cause delle tensioni con il confinante e cattolico Impero austro-ungarico, culminanti poi nello scoppio del conflitto. Il 13 ottobre 1914, papa Benedetto XV nominò Gasparri segretario di Stato. Pacelli ne fu il collaboratore principale sino alla sua ordinazione vescovile, il 13 maggio 1917, lo stesso giorno della prima apparizione della Madonna a Fátima. Benedetto XV lo elevò in pari data alla dignità arcivescovile con il titolo di arcivescovo di Sardi in partibus. Inoltre lo nominò nunzio apostolico in Baviera. Durante i dodici anni in Germania (1917-1929) l’arcivescovo Pacelli si avvicinò molto al mondo tedesco e conobbe bene la realtà politica della Repubblica di Weimar. Il 19 aprile 1919, nel corso della rivolta spartachista, di ispirazione comunista, la nunziatura di Monaco di Baviera fu accerchiata da un gruppo di rivoluzionari, che intendevano farvi irruzione. Il leader del gruppo, Siedl, estrasse una pistola e la puntò al petto di Pacelli, il quale si era personalmente posto a difesa dell’entrata della nunziatura. Sebbene scosso, il nunzio non intendeva cedere, difeso dalla coraggiosa suora tedesca, Pascalina Lehnert, che si interpose tra i rivoluzionari e il medesimo. Siedl non se la sentì di andare avanti e ordinò agli spartachisti di ritirarsiPacelli scriverà al riguardo: «Sono dei veri e propri russi bolscevichi».
Nel 1920 fu il primo a essere nominato nunzio per l’intera Germania e si trasferì a Berlino. Nel 1925 fu nominato anche nunzio apostolico in Prussia. In tale doppia veste egli concluse i concordati con i Länder della Baviera (1924) e con la Prussia (1929). Dopo la ratifica parlamentare di tale atto lasciò la Germania richiamato a Roma dal Papa, per essere creato cardinale. Nel frattempo, l’11 febbraio 1929, Benito Mussolini e il cardinale Gasparri avevano firmato i Patti Lateranensi, frutto della mediazione di Domenico Barone e di Francesco Pacelli, fratello maggiore dell’allora nunzio a Berlino. Eugenio Pacelli fu creato cardinale da Pio XI nel concistoro del 16 dicembre 1929. Il 7 febbraio 1930 succedette a Pietro Gasparri nella carica di segretario di Stato. Proseguì nella linea del suo predecessore, negoziando e stipulando altri concordati al fine di regolare le relazioni tra la Santa Sede e le autorità statali. Nel 1932 stipulò quello con il Land tedesco del Baden e nel 1933 quello con l’Austria. Pacelli aveva ricercato con costanza un concordato con l’intera Germania già nel periodo della sua nunziatura, negli anni venti. Heinrich Brüning, leader della Deutsche Zentrumspartei, partito cattolico di centro, dichiarò nelle sue memorie che Pacelli, in occasione di un incontro del 1931 (quando Brüning era cancelliere), avrebbe insistentemente premuto per la dissoluzione dell’accordo di coalizione con il partito socialdemocratico, ponendola quasi come una condizione per la stipula del concordato. Il cancelliere in carica avrebbe respinto la sollecitazione considerando che il prelato fosse in grave errore di valutazione sulla situazione politica tedesca e, in particolare, sul peso del nascente partito nazista- Il 20 luglio 1933, a pochi mesi dall’ascesa di Adolf Hitler al potere (30 gennaio 1933), Pacelli firmò a Roma il Reichskonkordat con la Germania. Questo concordato garantiva i diritti dei cattolici tedeschi e ripristinava le garanzie per la Chiesa e i fedeli, soppresse nell’Ottocento per il Kulturkampf. Fu il concordato più discusso, perché accordava il riconoscimento della Chiesa al regime nazista che segnò la fine di ogni vita democratica in Germania e la proibizione di tutti i partiti politici, compreso quello cattolico del centro (Zentrumspartei). Successivamente, nel 1935, Pacelli sottoscrisse anche un concordato con il Regno di Jugoslavia. Come segretario di Stato, Pacelli fu spesso in viaggio sia con una serie di importanti missioni diplomatiche, come negli Stati Uniti nel 1936. Sia con la partecipazione a una serie di congressi eucaristici in Ungheria e Argentina, o a manifestazioni religiose, come a Lourdes o a Lisieux. Tali viaggi gli permisero, tra l’altro, di farsi conoscere dalle gerarchie cattoliche esterne alla Curia Romana. In ogni caso il Reichskonkordat fu sistematicamente violato dai nazisti. La Chiesa cattolica nella Germania nazista lamentava di dover agire in condizioni difficili. La Santa Sede, dal 25 settembre 1933 al 26 giugno 1936, inviò per la violazione da parte del Reich 34 note di protesta, 5 pro-memoria, 3 aide-memoire, 6 scritti contenenti proposte e progetti e 6 appunti vari. Il concordato fu, quindi, il primo tentativo fallito di venire a patti con il nazismo. Eugenio Pacelli, tuttavia, fu sempre propenso a seguire una via diplomatica di mediazione con il regime nazista mentre le posizioni di papa Ratti sembrano propendere per la rottura. Tali posizioni condussero Pio XI, nel 1937, a stilare un’ammonitoria enciclica verso il nazismo dal titolo Mit brennender Sorge (Con viva preoccupazione). Per tale motivo, tra il 1937 e il 1939 si esplicitò pienamente una differenza tra Pio XI e il suo segretario di Stato.
Pio XI morì il 10 febbraio 1939. La morte, sopravvenuta per un attacco cardiaco dopo una lunga malattia, gli impedì di pronunciare un importante discorso in occasione del I decennale della “conciliazione” con lo Stato Italiano. Il discorso, preparato da mesi, sarebbe stato il suo testamento spirituale e, probabilmente, avrebbe denunciato la violazione dei Patti Lateranensi da parte del governo fascista e le persecuzioni razziali in Germania. Tuttavia non ne è rimasta traccia. Pio XI avrebbe dovuto anche annunciare un’enciclica contro il razzismo e l’antisemitismo, intitolata Humani generis unitas. Neanche essa ebbe corso. Una copia microfilmata dell’enciclica e dei documenti annessi fu però scoperta nel 1967 dal gesuita Thomas Breslin, mentre procedeva alla catalogazione degli archivi di John LaFarge. In un lungo articolo di fondo, Gordon Zahn, uno specialista delle encicliche sociali, ha sostenuto che l’enciclica ritrovata «è forse la più forte dichiarazione cattolica su quel male morale» che è l’antisemitismo. In qualità di camerlengo, fu Pacelli che diresse il conclave che seguì alla morte di Pio XI. Il 2 marzo 1939, giorno del suo 63º compleanno, dopo solo tre scrutini e un giorno di votazioni, la scelta ricadde su di lui. Pacelli scelse il nome di Pio XII, a voler significare una sostanziale continuità con l’operato del precedente capo della Chiesa. Fatto insolito per un conclave, fu eletto colui che, alla vigilia, aveva le migliori possibilità di diventare papa. In effetti Pacelli rappresentava un’ottima scelta politica in quanto era il più esperto in diplomazia tra i cardinali del Collegio. Pacelli fu il primo segretario di Stato dal 1667 (Clemente IX) e il secondo camerlengo (dopo Leone XIII) a venir eletto papa. Il novello papa nominò, alle cariche ricoperte in precedenza, il cardinale Luigi Maglione segretario di Stato e Lorenzo Lauri cardinale camerlengo. Eletto in un periodo di grandi tensioni internazionali, già il 15 marzo 1939 – tre giorni dopo la sua incoronazione – il regime nazista invase la Cecoslovacchia. Sempre nel 1939, Pio XII proclamò san Francesco d’Assisi e santa Caterina da Siena patroni d’Italia. Il 7 maggio 1940, il segretario di Stato Maglione firmò il concordato con il Portogallo di Antonio de Oliveira Salazar. In giugno, il Papa citò le apparizioni di Fátima nella sua enciclica Saeculo Exeunte Octavo, scritta per invitare la Chiesa portoghese a incrementare la sua attività missionaria in terra straniera. Nel 1941 trasformò la Commissione delle Opere Pie, nata nel 1887, nell’Istituto per le Opere di Religione (IOR). Nell’ottobre del 1942, in risposta a un messaggio inviatogli da suor Lucia dos Santos nel 1940, Pio XII consacrò il mondo al Cuore Immacolato di Maria (Radiomessaggio al Portogallo del 31 ottobre 1942). Agli inizi di agosto del 1939 l’Europa era ad un passo dalla guerra, ad accrescere le preoccupazioni del Papa, il nunzio apostolico a Berlino, il vescovo Cesare Orsenigo, scriveva: “I tedeschi sono tutti pronti alla guerra con una freddezza terrificante. Incontro alla guerra, marcia, quasi esultante un popolo di 80 milioni di tedeschi armati fino ai denti”. Pacelli fece un ultimo tentativo inviando un messaggio personale ad Hitler, ricordandogli gli anni passati con piacere in Germania ed esortandolo ad occuparsi del vero benessere spirituale del popolo tedesco. Per tutta risposta, il 23 agosto 1939 la Germania nazista e l’Unione Sovietica sottoscrissero il patto Molotov-Ribbentrop. Un protocollo segreto dell’accordo prevedeva la divisione dell’Europa orientale in due sfere d’influenza, dando modo a Hitler di lanciare l’offensiva sulla confinante Polonia mentre l’URSS avrebbe avuto mano libera sulle repubbliche baltiche, la Finlandia e la Polonia orientale. Il Papa, a conoscenza delle clausole del protocollo segreto, sapeva anche che, in caso di sua attuazione, Francia e Regno Unito, alleati della Polonia, avrebbero dichiarato guerra alla Germania, dando inizio alla seconda guerra mondiale. Tentò quindi di scongiurare il rischio di una nuova guerra pronunciando alla radio, il 24 agosto 1939, un messaggio rivolto ai governanti ed ai popoli nell’imminente pericolo della guerra. In tale discorso pronunciò la frase simbolo del suo pontificato: «Nulla è perduto con la pace; tutto può essere perduto con la guerra». Pio XII propose anche a Germania e Polonia di soprassedere per quindici giorni alle misure militari per riunire una conferenza internazionale di pace. Tuttavia anche tale iniziativa fu inutile.
Il 1º settembre, la Germania invase la Polonia e il 3 Francia e Regno Unito risposero all’attacco: fu l’inizio della seconda guerra mondiale. Il dissenso del papa fu espresso dopo alcune settimane nella sua prima enciclica Summi Pontificatus del 20 ottobre 1939. Pio XII, senza nominare espressamente i regimi totalitari, lamentò le conseguenze dell’attuale crisi spirituale e la diffusione delle «ideologie anticristiane». Il Papa individuava gli errori della società moderna nel suo rifiuto di Dio, con la conseguente diffusione di un «paganesimo corrotto e corruttore». Tra le righe Pio XII condannava ogni discriminazione razziale, affermando la «comune origine in Dio» di tutto il genere umano; introdusse il concetto di convivenza pacifica e, soprattutto, elevò il suo straziante lamento per la Polonia, nazione fedele alla Chiesa, in attesa di «una risurrezione corrispondente ai princìpi della giustizia e della vera pace». La protesta del Papa per l’invasione della cattolica Polonia fu quindi espressa con un documento religioso e in base alla dottrina cristiana. Il 30 novembre 1939, l’invasione sovietica della Finlandia fu invece condannata ufficialmente e con molto vigore. Una solidarietà generica fu espressa al sovrano del cattolico Belgio per l’occupazione tedesca nel maggio 1940. Per tutta la durata del conflitto, Papa Pacelli organizzò aiuti alle popolazioni colpite e creò l’ufficio informazioni sui prigionieri e sui dispersi. Nella prima fase della guerra, è dimostrato che il pontefice prese parte a un tentativo di alcuni generali tedeschi avente l’obiettivo di spodestare Hitler[ e svolse il ruolo di intermediario nei contatti che intercorsi tra i cospiratori e la Gran Bretagna. Nell’aprile del 1940 ebbe più di venti incontri segreti con i congiurati tedeschi, il cui capo era il generale Ludwig Beck e il rappresentante del governo inglese Francis D’Arcy Osborne. Il possibile accordo di pace, nel caso che i congiurati fossero riusciti a sbarazzarsi di Hitler, fu scritto su carta ufficiale della Santa Sede. Cercò, inoltre, di distogliere il fascismo dall’idea di far entrare in guerra l’Italia. Tale fu, con tutta probabilità, lo scopo della visita assolutamente irrituale che il Santo Padre fece al Quirinale, a re Vittorio Emanuele III, il 28 dicembre 1939. Nonostante ciò, il 10 giugno 1940, anche l’Italia entrò nel conflitto. Durante la guerra, vari e ripetuti furono gli appelli del Papa in favore della pace. Va ricordato in particolare il radiomessaggio natalizio del 1942, in cui Pacelli delineò un nuovo ordine mondiale basato sul rispetto reciproco fra le Nazioni e i popoli. In tale messaggio il Papa denunciò anche lo sterminio delle persone sulla base della razza. Mussolini commentò il radiomessaggio del 1942 con sarcasmo: «Il Vicario di Dio — cioè il rappresentante in terra del regolatore dell’universo — non dovrebbe mai parlare: dovrebbe restare tra le nuvole. Questo è un discorso di luoghi comuni che potrebbe agevolmente essere fatto anche dal parroco di Predappio». Il 19 luglio 1943, dopo il violento bombardamento di San Lorenzo a Roma, si recò nei quartieri colpiti. Fu un’uscita eccezionale del Pontefice dal Vaticano, soprattutto all’epoca (in seguito sarebbe uscito dal suo Stato solo in casi estremamente rari). Il Papa uscì nuovamente il 13 agosto, dopo il successivo bombardamento nel quartiere di San Giovanni. Durante tale visita spalancò le braccia alla folla recitando il salmo De profundis, in un gesto che rimase immortalato in una famosa foto. Dopo l’armistizio dell’8 settembre e la fuga dei Savoia dalla capitale, Pio XII rimase in Roma, all’interno della Città del Vaticano. Nei giorni successivi, quando i tedeschi imposero agli ebrei romani di versare oro in cambio di un’effimera e temporanea salvezza, il Vaticano contribuì fornendo 20 dei 50 chili d’oro richiesti. secondo la testimonianza di Ugo Foà, rabbino capo della comunità romana, il Vaticano fece sapere ufficiosamente che se non fosse stato raccolto abbastanza oro avrebbe prestato la differenza per raggiungere i 50 kg, ma non ce ne fu bisogno.
È stato scoperto di recente un piano segreto di Hitler che prevedeva l’occupazione del Vaticano e l’arresto di Pio XII, il quale secondo il dittatore nazista ostacolava i piani della Germania. A questo proposito, per evitare che Hitler e il regime nazista potessero tenere prigioniero il papa, Pio XII preparò una lettera di dimissioni da utilizzare in caso di propria cattura, dando istruzioni di tenere un successivo Conclave a Lisbona. Negli ultimi giorni di maggio del 1944, i tedeschi si preparavano alla fuga e avevano minato i ponti sul Tevere per impedire alle forze angloamericane di procedere nell’avanzata verso nord. C’era il pericolo che intendessero resistere ad oltranza, con tutte le conseguenze per l’incolumità della “città eterna”. Pacelli diede istruzioni ai due pro-segretari di Stato Montini e Tardini di consigliare agli alleati di non attaccare e ai tedeschi di non difendersi. Il giorno 2 giugno il Papa ammonì gli eserciti combattenti: «Chiunque osi levare la mano contro Roma, si macchierà di matricidio». Lo stesso giorno la giunta militare del CLN si accordò con gli alleati che non ci sarebbe stata l’insurrezione partigiana di Roma. Alle ore 22:30 del 3 giugno, Montini e Tardini acquisirono dall’ambasciatore von Weizsäcker la proposta tedesca di riconoscere il centro di Roma “città aperta”. Pur ritenendola insufficiente, il Vaticano provvide a trasmettere tale proposta agli alleati. Non vi fu bisogno che questi l’accettassero perché alle prime ore dell’alba del 4 giugno, i tedeschi lasciarono Roma, sostanzialmente senza colpo ferire. Per intercessione di papa Pio XII, al momento della loro partenza da Roma, le SS rilasciarono dal carcere di via Tasso, dove era stato sottoposto a pesanti torture, il comandante partigiano delle Brigate Matteotti Giuliano Vassalli, futuro presidente della Corte costituzionale. Il 5 giugno 1944, dopo la Liberazione, Pio XII ricevette in Vaticano i soldati alleati. La domenica successiva i romani si recarono in massa a Piazza San Pietro a salutare e a festeggiare il Papa, che, di fatto, era stata l’unica autorità, non solo religiosa, ma anche morale e politica, a essere rimasta nella capitale nei mesi bui dell’occupazione nazista. Per questo Pio XII fu anche soprannominato Defensor civitatis. Tra gli altri interventi, documenti recentemente venuti alla luce testimoniano il cordoglio del Papa nei confronti delle donne della Ciociaria e del basso Lazio che avevano subito violenze da parte dei soldati marocchini arruolati nell’esercito francese. A guerra finita, si schierò con determinazione a favore della Democrazia Cristiana. Tale fu il contenuto di due articoli de L’Osservatore Romano, in data 2 gennaio e 6 maggio 1945, nei quali si affermava che solo la DC aveva titolo per rappresentare i cattolici nella politica italiana; in essi, infatti, si sconfessava il partito della Sinistra Cristiana, dove erano confluiti i cosiddetti “cattolici comunisti”, tanto che dopo pochi mesi (7 dicembre 1945) tale partito si sciolse.
Il 18 febbraio 1946, tenne il suo primo concistoro per la creazione di nuovi cardinali: per la prima volta dopo secoli, il numero di cardinali italiani risultò inferiore a quello dei cardinali non italiani. Tra essi, il primo cardinale cinese, Thomas Tien Ken-sin. Con la bolla Quotidie Nos dell’11 aprile 1946 definì la gerarchia ecclesiastica della Chiesa cattolica in Cina, la quale era oggetto della persecuzione da parte del regime comunista nato dalla rivoluzione cinese. Nell’ambito del dibattito istituzionale tra monarchia e repubblica, la Chiesa fu ufficialmente neutrale. Nel dopoguerra dovette fronteggiare la nascita della guerra fredda e della divisione del mondo in due blocchi contrapposti. Il Papa si schierò decisamente contro il comunismo, di cui fu un fermo oppositore. Nelle elezioni politiche italiane del 1948 appoggiò con slancio la Democrazia Cristiana, favorendone la schiacciante vittoria. Nel 1949, con un atto clamoroso a livello mondiale, scomunicò i cristiani che si dichiaravano comunisti e, in seguito alle persecuzioni dei cristiani nell’Europa dell’Est, i capi di governo a essi riferiti. Cercò di attivare contatti e di salvare i cattolici dalle deportazioni nei gulag sovietici, pur senza riuscirci. Nel 1949, con un atto clamoroso a livello mondiale, scomunicò i cristiani che si dichiaravano comunisti e, in seguito alle persecuzioni dei cristiani nell’Europa dell’Est, i capi di governo a essi riferiti. Cercò di attivare contatti e di salvare i cattolici dalle deportazioni nei gulag sovietici, pur senza riuscirci. Negli anni successivi, anche per il suo carattere schivo e introverso, Pio XII ridusse all’osso l’organizzazione della Curia Romana. Tuttavia fu un papa particolarmente amato dalla gente. Grazie alla conoscenza di numerose lingue, fu uno dei primi a rivolgersi in lingua straniera ai pellegrini che venivano a Roma. In un mondo ancora segnato dalle ferite della guerra, intuì che, più che un papa politico, la gente aveva bisogno di una guida verso la pace. Con questi intenti di pace Pio XII proclamò il Giubileo del 1950, cui molti si dichiararono contrari. In tanti sostenevano che l’Italia, ancora distrutta dalla guerra, non fosse in grado di reggere una manifestazione di respiro mondiale. Invece il Giubileo, con il suo messaggio di riconciliazione e di speranza, fu un vero trionfo, con oltre un milione e mezzo di pellegrini e, tra l’altro, contribuì a far conoscere le bellezze italiane all’estero, favorendo i primi boom turistici. Durante il Giubileo, con la bolla Munificentissimus Deus, proclamò il dogma dell’Assunzione di Maria, il 1º novembre, ricorrendo per l’unica volta in tutto il Novecento all’infallibilità papale. Il papa poi scrisse che il giorno precedente la proclamazione del dogma e per altre tre volte, mentre passeggiava nei Giardini Vaticani avrebbe assistito stupefatto a un fenomeno simile a quello del “miracolo del sole”, narrato dai presenti alle apparizioni della Madonna di Fátima, nel 1917. Inoltre, venendo incontro alle numerose richieste dei fedeli, proclamò santa Maria Goretti, sebbene fossero passati solo due anni dalla sua beatificazione. Morì il 9 Ottobre del 1958 a Castel Gandolfo.




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