A Cagliari la settimana sociale

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“Senza lavoro non c’è dignità”, ma “non tutti i lavori sono lavori degni”, prima di tutto c’è il bene della persona: è quanto ha affermato il Papa nel videomessaggio trasmesso in occasione della Settimana sociale dei cattolici italiani in corso a Cagliari. Il tema dell’appuntamento è “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale”.

Un giovane su quattro ha un lavoro a termine. E sempre uno su quattro lavora a orario ridotto, “nella maggioranza dei casi per l’impossibilità di trovare un’occupazione a tempo pieno”. E’ quanto emerge dal focus di oggi dell’Istat sui giovani nel mercato del lavoro.

Il rapporto sottolinea come tra coloro che sono usciti dal sistema di istruzione nell’ultimo biennio la quota di occupati in lavori atipici e’ del 51,7% per i laureati e del 64,4% per i diplomati. Ma emerge anche che tre giovani su cinque non sarebbero disposti a cambiare casa per trovare lavoro.

La Settimana sociale dei cattolici italiani è un appuntamento fisso della Chiesa cattolica italiana, a cadenza pluriennale. Sono “riunioni di studio per far conoscere ai cattolici il vero messaggio sociale cristiano” allo scopo di guidare l’azione cattolica nelle varie categorie del mondo del lavoro, sia autonomo che dipendente. Le giornate sono organizzate in lezioni e discussioni sui problemi sociali più attuali.
“Ci sono lavori che umiliano la dignità delle persone quelli che nutrono le guerre con la costruzione di armi, che svendono il valore del corpo con il traffico della prostituzione, che sfruttano i minori” ha aggiunto Papa Francesco. “Offendono la dignità del lavoratore anche il lavoro in nero, quello gestito dal caporalato, i lavori che discriminano la donna e non includono chi porta una disabilità”.

E’ una ferita aperta per molti lavoratori, che vivono nel timore di perdere la propria occupazione. Io ho sentito tante volte questa angoscia: l’angoscia di poter perdere la propria occupazione; l’angoscia di quella persona che ha un lavoro da settembre a giugno e non sa se lo avrà nel prossimo settembre. Precarietà totale. Questo è immorale. Questo uccide: uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società. Il lavoro in nero e il lavoro precario uccidono”.

C’è poi “la preoccupazione per i lavori pericolosi e malsani, che ogni anno causano in Italia centinaia di morti e di invalidi” , per lo sfruttamento dei lavoratori e il lavoro minorile. Il pensiero del Papa “va anche ai disoccupati che cercano lavoro e non lo trovano, agli scoraggiati che non hanno più la forza di cercarlo, e ai sottoccupati, che lavorano solo qualche ora al mese senza riuscire a superare la soglia di povertà. A loro dico: non perdete la fiducia. Lo dico anche a chi vive nelle aree del Sud d’Italia più in difficoltà. La Chiesa opera per un’economia al servizio della persona, che riduce le disuguaglianze e ha come fine il lavoro per tutti”.

“La crisi economica mondiale – sottolinea il Pontefice – è iniziata come crisi della finanza, poi si è trasformata in crisi economica e occupazionale. La crisi del lavoro è una crisi ambientale e sociale insieme (cfr Ene. Laudato si’, 13). Il sistema economico mira ai consumi, senza preoccuparsi della dignità del lavoro e della tutela dell’ambiente. Ma cosi è un po’ come andare su una bicicletta con la ruota sgonfia: è pericoloso! La dignità e le tutele sono mortificate quando il lavoratore è considerato una riga di costo del bilancio, quando il grido degli scartati resta ignorato”.

A questa logica – afferma il Papa – “non sfuggono le pubbliche amministrazioni, quando indicono appalti con il criterio del massimo ribasso senza tenere in conto la dignità del lavoro come pure la responsabilità ambientale e fiscale delle imprese. Credendo di ottenere risparmi ed efficienza, finiscono per tradire la loro stessa missione sociale al servizio della comunità”.

Ma ci sono anche “segni di speranza” che come una foresta crescono senza fare rumore e insegnano due virtù: “Servire le persone che hanno bisogno” e “formare comunità in cui la comunione prevale sulla competizione. Competizione: qui c’è la malattia della meritocrazia … E’ bello vedere che l’innovazione sociale nasce anche dall’incontro e dalle relazioni e che non tutti i beni sono merci: ad esempio la fiducia, la stima, l’amicizia, l’amore”. “Nel mondo del lavoro – ribadisce il Papa – la comunione deve vincere sulla competizione!”.

Questo l’appello del Papa: “Nulla si anteponga al bene della persona e alla cura della casa comune, spesso deturpata da un modello di sviluppo che ha prodotto un grave debito ecologico. L’innovazione tecnologica va guidata dalla coscienza e dai principi di sussidiarietà e di solidarietà. Il robot deve rimanere un mezzo e non diventare l’idolo di una economia nelle mani dei potenti; dovrà servire la persona e i suoi bisogni umani”.

L’ economista Leonardo Becchetti, componente del Comitato organizzatore delle Settimane Sociali, è comunque convinto che ci siano tante buone pratiche per rilanciare il Paese e l’occupazione. “La precarietà è un macigno che pesa sulla società italiana, ma abbiamo proposto un metodo per uscirne”, spiega Becchetti, citando “ascolto di territori, laboratori locali per lo sviluppo e proposte di sviluppo per piccole e medie imprese”.

Un lavoro più umano, come ha chiesto anche il Papa, rientra nel capitolo della “necessaria armonizzazione del lavoro con la famiglia e il tempo libero”. “La rete offre tante possibilità di lavoro agile e già esistono tante buone pratiche” dice l’economista “anche in questo campo.Abbiamo speranza in futuro di armonizzare i tempi della nostra vita che sono quelli del lavoro, della formazione permanente, della cura personale e della festa”.
Il problema del non giusto riconoscimento del lavoro può toccare anche la Chiesa, specialmente nelle diocesi più povere o nelle terre di missione; ma “anche noi dobbiamo affrontare questa sfida, quella di garantire un lavoro degno a tutti i nostri dipendenti”.

Lo ha detto il cardinale Peter Turkson, Prefetto per il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano integrale.
“La Chiesa a volte può essere tentata di essere colpevole in queste cose”, ha detto Turkson pagando di lavori malpagati nelle diocesi in cui “non c’è la capacità di pagare” ma queste situazioni devono essere corrette.

“È una situazione ingiusta, è terribile vedere ragazzi che vedono ancora lavorare i loro nonni mentre loro non hanno una occupazione. Un riaggiustamento serve”: così monsignor Giancarlo Maria Bregantini, vescovo di Campobasso e in passato impegnato a lungo sulla Pastorale del Lavoro della Cei, commenta la questione dell’allungamento dell’età pensionabile, a margine della Settimana Sociale in corso a Cagliari. “L’intervento è complesso ma non si possono lasciare le cose così. Penso che una strada possa essere quella di ridurre negli ultimi tempi del lavoro orari e stipendi per consentire l’ingresso dei giovani”.

La lettera-invito, scritta dal Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali e a firma del suo Presidente, il Vescovo di Taranto Mons. Filippo Santoro è un invito a tutto questo: “Il paradigma del lavoro come ‘impiego’ – riporta la missiva – si sta esaurendo con una progressiva perdita dei diritti lavorativi e sociali, in un contesto di perdurante crisi economica che coinvolge fasce sempre più ampie della popolazione. È forte la necessità che quel modello di ‘lavoro degno’ affermato dal Magistero sociale della Chiesa e dalla Costituzione italiana trovi un’effettiva attuazione nel rispetto e nella promozione della dignità della persona umana”. Da qui le cinque prospettive, a partire dalla vocazione al lavoro, che “va formata e coltivata attraverso un percorso di crescita ricco e articolato, capace di coinvolgere l’integralità della persona”. In secondo luogo (“opportunità”) “la creazione di lavoro non avviene per caso né per decreto, ma è conseguenza di uno sforzo individuale e di un impegno politico serio e solidale”. Poi, “il lavoro è valore in quanto ha a che fare con la dignità della persona, è base della giustizia e della solidarietà sociale e genera la vera ricchezza”. “È fondamento di comunità, perché valorizza la persona all’interno di un gruppo, sostiene l’interazione tra soggetti, sviluppa il senso di un’identità aperta alla conoscenza e all’integrazione con nuove culture, generatrice di responsabilità per il bene comune”. Infine, “rispetto a un contesto in cui l’illegalità rischia di apparire come l’unica occasione di mantenimento per se stessi e la propria famiglia”, il lavoro degno deve promuovere la legalità, e quindi “diventa indispensabile creare luoghi trasparenti affinché le relazioni siano autentiche e basate sul senso di giustizia e di eguaglianza nelle opportunità”.

Bisogna essere franchi: il tempo delle chiacchiere è finito”. Con queste parole il presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, si è rivolto ai politici nella prolusione letta alla Fiera di Cagliari.
Per Bassetti, “è definitivamente concluso anche il tempo dei finanziamenti pubblici senza un progetto che ha lasciato un debito pubblico non solo preoccupante come costo economico per lo Stato, ma soprattutto come drammatico costo sociale per la vita delle persone”. “Mai come oggi – ha aggiunto Bassetti – serve una politica coraggiosa che scelga come norma di indirizzo l’imperativo del bene comune: quell’imperativo che si prende cura della popolazione, a partire dai poveri e dai giovani, in modo autentico con provvedimenti concreti e non solo a parole. Le parole se le porta via il vento, i provvedimenti concreti sono invece un tentativo realistico per il futuro dell’Italia e dell’Europa”.

Per concludere qualche curiosità sulle origini della Settimana Sociale: la prima edizione fu ideata dall’«Unione popolare cattolica italiana» (organismo prefigurato da Pio X nell’enciclica Il fermo proposito) guidata dall’economista Giuseppe Toniolo. Toniolo, assieme al cardinale Pietro Maffi, nel 1907 varò l’iniziativa con il motto: “Ispirare cristianamente la società”. Nel 1905 in Francia si era già tenuta un’esperienza simile, sulla scia dell’enciclica di papa Leone XIII Rerum Novarum (“Delle cose nuove”).

La prima Settimana sociale si tenne dal 23 al 28 settembre 1907 a Pistoia, con alcune sessioni anche a Pisa (dove insegnava Toniolo). Erano gli anni del non expedit, il divieto papale rivolto ai fedeli di partecipare alla politica; l’Opera dei congressi era stata sciolta da poco (1904), limitando di fatto il peso del mondo cattolico nella vita pubblica. La nuova iniziativa fu una reazione a queste difficoltà. Nelle Settimane sociali si cercava di applicare la dottrina sociale della Chiesa a temi concreti come i contratti di lavoro e la condizione delle popolazioni rurali.




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