Cor Orans istruzione sulla vita contemplativa femminile

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Cor Orans – Presentata nella Sala Stampa della Santa Sede l’Istruzione sulla vita contemplativa femminile, della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica.
Alla presentazione sono intervenuti mons. José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione, e padre Sebastiano Paciolla, sottosegretario del medesimo dicastero. Per mandato del Papa, la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ha redatto l’Istruzione, offerta “alla Chiesa con particolare riferimento ai monasteri di rito latino, “per rendere chiare le disposizioni della legge, sviluppando e determinando i procedimenti nell’eseguirla”.
Cuore orante nella Chiesa e per la Chiesa la vita contemplativa femminile, custode di gratuità e di ricca fecondità apostolica, è stata sempre testimone visibile di misteriosa e multiforme santità ed arricchisce la Chiesa di Cristo con frutti di grazia e di misericordia.
Papa Francesco, sulla scia di quanto insegnato da Papa Pio XII e ribadito dal Concilio Ecumenico Vaticano II, ha inteso presentare nella Vultum Dei quaerere l’intenso e fecondo cammino percorso dalla Chiesa negli ultimi decenni, alla luce degli insegnamenti dello stesso Concilio e considerate le mutate condizioni socio-culturali, ribadendo che “la vita contemplativa femminile ha sempre rappresentato nella Chiesa e per la Chiesa il cuore orante, custode di gratuità e di ricca fecondità apostolica ed è stata testimone visibile di misteriosa e multiforme santità”.
Di conseguenza, dal momento che gli Istituti interamente dediti alla contemplazione occupano sempre un posto eminente nel corpo mistico di Cristo “per quanto urgente sia la necessità dell’apostolato attivo, i membri di tali Istituti non possono essere chiamati a prestare l’aiuto della loro opera nei diversi ministeri pastorali.
La Chiesa – si legge nel documento – riconosce ad ogni monastero sui juris “una giusta autonomia giuridica, di vita e di governo, mediante la quale la comunità delle monache può godere di una propria disciplina”. Con il nome di monastero sui juris si intende “la casa religiosa della comunità monastica femminile che, avendo i requisiti per una reale autonomia di vita, è stata legittimamente eretta dalla Santa Sede e gode di autonomia giuridica, a norma del diritto”. L’autonomia del monastero favorisce “la stabilità di vita e l’unità interna della comunità, garantendo le condizioni per la vita delle monache, secondo lo spirito e l’indole dell’Istituto di appartenenza”.
La fondazione di un monastero di monache può avvenire “o ad opera di un singolo monastero o attraverso l’azione della Federazione”. Con il nome di Federazione di monasteri si intende “una struttura di comunione tra più monasteri autonomi del medesimo Istituto, eretta dalla Santa Sede che ne approva gli Statuti”. Nella scelta del luogo della fondazione “l’aspetto della separazione dal mondo deve essere particolarmente previsto e curato, attesa la testimonianza pubblica che le monache sono tenute a rendere a Cristo e alla Chiesa nella vita contemplativa, secondo l’indole e le finalità dell’Istituto di appartenenza”.
Un monastero di monache viene eretto in monastero sui juris “su richiesta della comunità del monastero fondatore o per decisione del Consiglio Federale con il benestare della Santa Sede”. Tra i requisiti richiesti quello della presenza di “una comunità che abbia dato buona testimonianza di vita fraterna in comune con “la necessaria vitalità nel vivere e trasmettere il carisma, composta da almeno otto monache di voti solenni, purché la maggior parte non sia di età avanzata”. Con il nome di Federazione di monasteri si intende “una struttura di comunione tra più monasteri autonomi del medesimo Istituto, eretta dalla Santa Sede che ne approva gli Statuti”. Il monastero autonomo “ha la capacità di acquistare, di possedere, di amministrare e alienare beni temporali, a norma del diritto universale e proprio”. I beni del monastero autonomo “sono amministrati da una monaca di voti solenni, con l’incarico di economa, costituita a norma del diritto proprio e distinta dalla Superiora maggiore del monastero”. Quando in un monastero autonomo le professe di voti solenni giungono al numero di cinque – si legge ancora nel documento – “la comunità di detto monastero perde il diritto all’elezione della propria superiora”.
L’affiliazione è una particolare forma di aiuto che “la Santa Sede viene a stabilire in particolari situazioni in favore della comunità di un monastero sui juris che presenta un’autonomia solo asserita, ma in realtà assai precaria o, di fatto, inesistente”. L’affiliazione si configura “come un sostegno di carattere giuridico che deve valutare se l’incapacità di gestire la vita del monastero autonomo in tutte le sue dimensioni sia solo temporanea o irreversibile, aiutando la comunità del monastero affiliato a superare le difficoltà o a disporre quanto è necessario per addivenire alla soppressione di detto monastero”.
Un monastero di monache “che non riesce ad esprimere, secondo l’indole contemplativa e le finalità dell’Istituto, la particolare testimonianza pubblica a Cristo e alla Chiesa Sua Sposa, deve essere soppresso, tenuta presente l’utilità della Chiesa e dell’Istituto cui il monastero appartiene”. Alla Santa Sede “in questi casi spetta valutare l’opportunità di costituire una commissione ad hoc”. Tra i criteri che possono concorrere alla soppressione ci sono: il numero delle monache, l’età avanzata della maggior parte dei membri, la reale capacità di governo e formativa, la mancanza di candidate da parecchi anni, la mancanza della necessaria vitalità nel vivere e trasmettere il carisma nella fedeltà dinamica. Un monastero di monache “viene soppresso unicamente dalla Santa Sede acquisito il parere del vescovo diocesano”.
Esiste anche un’altra possibilità la traslazione cioè “il trasferimento di una comunità monastica dalla propria sede ad un’altra per giusta causa, senza modificare lo status giuridico del monastero, la composizione della comunità e le titolari dei vari uffici”. Per realizzare la traslazione è necessario, tra l’altro, “ottenere una decisione del capitolo conventuale del monastero presa a maggioranza dei due terzi dei voti”.
In ciascuna struttura di comunione o di governo in cui possono configurarsi i monasteri femminili “è loro garantita la necessaria e giusta vigilanza, esercitata principalmente – ma non esclusivamente – mediante la visita regolare di un’autorità esterna ai monasteri stessi”. “Ciascun monastero femminile è affidato alla vigilanza di una sola autorità, non essendo più presente nel Codice di Diritto Canonico il regime della doppia dipendenza”.
Tutti i monasteri femminili, fatta salva l’autonomia interna e l’eventuale esenzione esterna “sono soggetti al vescovo diocesano, che esercita la sollecitudine pastorale” in diversi casi. La comunità del monastero femminile “è soggetta alla potestà del vescovo, al quale deve devoto rispetto e riverenza in ciò che riguarda l’esercizio pubblico del culto divino, la cura delle anime e le forme di apostolato corrispondenti alla propria indole”. Il vescovo diocesano, inoltre, “in occasione della visita pastorale o di altre visite paterne ed anche in caso di necessità, può prendere egli stesso soluzioni opportune quando constata che esistono abusi e dopo che i richiami fatti alla Superiora maggiore non hanno sortito alcun effetto”.
Si ribadisce che “la separazione dal mondo caratterizza la natura e le finalità degli Istituti di vita consacrata religiosi e corrisponde al dettato paolino di non conformarsi alla mentalità di questo secolo, fuggendo ogni forma di mondanità”. Per la vita religiosa, la clausura “costituisce un obbligo comune a tutti gli Istituti[101] ed esprime l’aspetto materiale della separazione dal mondo – della quale, tuttavia, non ne esaurisce la portata – concorrendo a creare in ogni casa religiosa un’atmosfera ed un ambiente favorevoli al raccoglimento, necessari alla vita propria di ogni Istituto religioso ma particolarmente per quelli dediti alla contemplazione”.
Il raccoglimento e il silenzio è di grande importanza per la vita contemplativa in quanto “spazio necessario di ascolto e di ruminatio della Parola e presupposto per uno sguardo di fede che colga la presenza di Dio nella storia personale e in quella delle sorelle […] e nelle vicende del mondo”. I mezzi di comunicazione pertanto devono essere “usati con sobrietà e discrezione, non solo riguardo ai contenuti ma anche alla quantità delle informazioni e al tipo di comunicazione, affinché siano al servizio della formazione alla vita contemplativa e delle comunicazioni necessarie, e non occasione di dissipazione o di evasione della vita fraterna in fraternità, né danno per la vostra vocazione, né ostacolo per la vostra vita interamente dedita alla contemplazione”.
Ogni singolo monastero di monache o Congregazione monastica femminile, “segue la clausura papale o la definisce nelle Costituzioni o in altro codice del diritto proprio, nel rispetto della propria indole”. La Chiesa “incoraggia le monache a vivere fedelmente e con senso di responsabilità lo spirito e la disciplina della clausura per promuovere nella comunità un proficuo e completo orientamento verso la contemplazione di Dio Uno e Trino”.
La clausura papale, instaurata nel 1298 da Bonifacio VIII, è quella “conforme alle norme date dalla Sede Apostolica” ed esclude compiti esterni di apostolato. La clausura papale, per le monache,” ha il significato di un riconoscimento di specificità della vita interamente contemplativa che, sviluppando singolarmente la spiritualità delle nozze con Cristo, diviene segno e realizzazione dell’unione esclusiva della Chiesa Sposa con il suo Signore”. La partecipazione di fedeli alle celebrazioni liturgiche nella chiesa o oratorio del monastero oppure alla lectio divina” non consente l’uscita delle monache dalla clausura papale né l’ingresso dei fedeli nel coro delle monache, salvo casi particolari a giudizio del Capitolo conventuale”. Spetta alla Superiora maggiore del monastero “la custodia immediata della clausura, garantire le condizioni concrete della separazione dal mondo e promuovere, all’interno del monastero, l’amore per il silenzio, il raccoglimento e la preghiera”.
La clausura costituzionale, che ha sostituito nel Codice di Diritto Canonico la clausura papale minore di Pio XII, è un tipo di clausura rivolto a monache che professano la vita contemplativa associando “qualche legittima opera di apostolato o di carità cristiana”. Con il nome di clausura costituzionale si intende “lo spazio monastico separato dall’esterno che, come minimo, deve comprendere quella parte del monastero, degli orti e dei giardini riservati esclusivamente alle monache, nella quale solo in caso di necessità può essere ammessa la presenza di estranei”. Deve essere” uno spazio di silenzio e di raccoglimento, dove possa svilupparsi la ricerca permanente del volto di Dio, secondo il carisma dell’Istituto”.
Alle espressioni clausura papale e clausura costituzionale, conosciute dal Codice di Diritto Canonico, San Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica postsinodale Vita Consacrata ne aveva aggiunta una terza: la clausura monastica. Per i monasteri di monache contemplative, la clausura monastica, pur conservando il carattere di una più rigorosa disciplina rispetto a quella comune, “permette di associare alla funzione primaria del culto divino forme più ampie di accoglienza e di ospitalità”.
La monaca diviene con pieno diritto membro della comunità del monastero sui juris e partecipe dei suoi beni spirituali e temporali “con la professione dei voti solenni, libera e definitiva risposta all’appello dello Spirito Santo”. Le candidate si dispongono alla professione solenne “passando per le varie tappe della vita monastica, durante le quali ricevono una formazione adeguata e, sebbene in grado diverso, fanno parte della comunità del monastero”. La formazione nella vita monastica contemplativa “si fonda nell’incontro personale con il Signore. Ha inizio con la chiamata di Dio e la decisione di ciascuna di seguire, secondo il proprio carisma, le orme di Cristo, come sua discepola, sotto l’azione dello Spirito Santo”. Per formazione permanente o continua si intende “un itinerario di tutta la vita, sia personale sia comunitario, che deve portare alla configurazione al Signore Gesù e all’assimilazione dei suoi sentimenti nella sua totale oblazione al Padre”.

Raffaele Dicembrino




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