La Chiesa irachena prega per la visita pastorale di Papa Francesco a Marzo

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Papa – Il Patriarca caldeo Louis Raphaël Sako ha composto una supplica che la Chiesa locale reciterà da domenica 17 gennaio 2021.

Cresce l’attesa in Iraq per la possibile visita di Papa Francesco nella terra dei due fiumi.
Il Paese mediorientale non cessa infatti di registrare tensioni specie ai confini con la Siria, ma anche all’interno da Nassiria alla zona di Mosul capitale dello ‘Stato islamico’ tra il 2014 e il 2017 dove continuano ad affiorare migliaia di cadaveri di civili sotto le macerie, gettati in fosse comuni, segno di una violenza senza limiti.
“Da tempo viviamo nella paura, ma anche nella speranza”, aveva detto il Patriarca di Babilonia dei Caldei, appena saputo del viaggio del Papa, il 7 dicembre scorso, e a lui aveva affidato proprio un segno di rinascita per il Paese, “un nuovo Natale”.
Oggi, in questo stesso spirito, il cardinale Louis Raphaël Sako ha composto una preghiera chiedendo, attraverso i canali del patriarcato, che i fedeli la recitino insieme durante le Messe di tutte le domeniche a partire dalla prossima, il 17 gennaio.

Signore nostro Dio concedi a Papa Francesco la salute e la prosperità, affinché possa svolgere con successo questa visita attesa. Benedici i suoi sforzi per rafforzare il dialogo e la riconciliazione fraterna e per costruire la fiducia, consolidare i valori della pace e della dignità umana, specialmente per noi iracheni, testimoni di avvenimenti dolorosi che ci hanno toccato.
Così inizia il testo che, prima di affidarsi alla Vergine Maria, invoca la luce che sia da sprone per tutti in questo tempo: Signore, nostro creatore, illumina con la tua luce i nostri cuori affinché vediamo il bene e la pace e iniziamo a realizzarli.
Quindi l’invocazione all’intercessione della “Vergine, Madre nostra”, alla cui cura materna viene affidata la visita del Pontefice:
Affinché il Signore ci conceda la grazia di vivere in piena comunione nazionale, cooperando fraternamente per costruire un futuro migliore per il nostro Paese e i suoi cittadini.
Già all’inizio di dicembre il Patriarca Sako, indirizzando una lettera al popolo iracheno, aveva chiesto di prepararsi adeguatamente alla venuta del Papa che non sarà – aveva scritto in quell’occasione – un “viaggio turistico” o “di lusso”, ma un pellegrinaggio carico di un messaggio di conforto “per tutti in un tempo di incertezza”.
Dobbiamo farne – aveva sottolineato circa un mese fa – “un’occasione di un grande capovolgimento, in modo che la fede e la speranza in noi diventino un impegno”.


L’Enciclica Fratelli tutti ha un senso non solo per i cristiani ma anche per tutti gli uomini in questi Paesi: basta guerre, basta conflitti, basta morte, distruzione e corruzione. Bisogna costruire la fiducia, la pace e la stabilità e anche la solidarietà umana. Noi aspettiamo tanto dal Santo Padre. Questa visita è un momento forte da parte sua di annunciare la verità. È un atto molto coraggioso, soprattutto in questo tempo.
Il pellegrinaggio di Papa Francesco in Iraq, su invito delle autorità civili e della Chiesa cattolica locale è stato annunciato ufficialmente i primi di dicembre, segnando la ripresa dei viaggi bruscamente interrotti per quindici mesi a causa dell’emergenza sanitaria globale.
Le date previste sono dal 5 all’8 marzo, con tappe a Bagdad, alla piana di Ur, legata alla memoria di Abramo, alla città di Erbil, così come Mosul e Qaraqosh nella piana di Ninive. Quattro giorni intensi per portare vicinanza a un popolo che ha sofferto e continua a soffrire per la guerra e che ha visto lentamente i cristiani lasciare il Paese.
Un viaggio che Papa Francesco ha a lungo desiderato vivere, esprimendone l’intenzione sin dal 2019 e accompagnando sempre le sue parole con l’invito a ricostruire un tessuto sociale solidale che miri al bene comune.
Certamente il viaggio rappresenta un gesto concreto di vicinanza a tutta la popolazione di quel martoriato Paese. Francesco aveva espresso chiaramente l’intenzione di visitare l’Iraq il 10 giugno 2019, durante l’udienza ai partecipanti alla Riunione delle Opere di Aiuto alle Chiese Orientali (Roaco). “Un pensiero insistente mi accompagna pensando all’Iraq – diceva, condividendo la volontà di andare nel 2020 – perché possa guardare avanti attraverso la pacifica e condivisa partecipazione alla costruzione del bene comune di tutte le componenti anche religiose della società, e non ricada in tensioni che vengono dai mai sopiti conflitti delle potenze regionali”.
Una possibilità apparsa sempre più concreta, quando il 25 gennaio 2020, il Pontefice riceveva in Vaticano Barham Salih, Presidente della Repubblica d’Iraq. Il Capo di Stato, aveva incontrato anche il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin e monsignor Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati.
Erano state affrontate le sfide del Paese, come quella di “favorire la stabilità e il processo di ricostruzione – evidenziava una nota della Sala Stampa vaticana – incoraggiando la via del dialogo e della ricerca di soluzioni adeguate a favore dei cittadini e nel rispetto della sovranità nazionale”. Centrale “l’importanza di preservare la presenza storica dei cristiani” e “la necessità di garantire loro sicurezza e un posto nel futuro” del Paese.
In prima linea, su tutti i fronti, la Chiesa locale che ora attende l’arrivo del Successore di Pietro che concretizzerà il progetto pensato da San Giovanni Paolo, che vedeva l’Iraq, nella piana di Ur dei Caldei, come la prima tappa del suo pellegrinaggio giubilare. Il viaggio di Papa Wojtyla era stato programmato dal 1° al 3 dicembre 1999. Ma non si era realizzato, perché Saddam Hussein, dopo trattative durate alcuni mesi, aveva deciso di rimandarlo. Vent’anni dopo quel sogno di Giovanni Paolo II si potrebbe avverare per il suo secondo successore.




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