Padre Hamel alle soglie della santità

479

Padre Hamel – Quattro anni fa, in Francia, veniva barbaramente assassinato padre Jaques Hamel, sgozzato a 85 anni, mentre celebrava la Messa nella chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray da due giovanissimi seguaci dello Stato islamico. Di lui è in corso il processo di beatificazione.


La fase diocesana della causa di beatificazione di padre Hamel si è conclusa nel marzo dello scorso anno e ora, a quattro anni dalla sua morte, è all’esame della Congregazione delle Cause dei Santi. Si tratterà di riconoscere se effettivamente padre Hamel sia stato assassinato “in odium fidei”. Il corposo dossier è stato portato a Roma personalmente da un gruppo di giovani, insieme a monsignor Lebrun e diversi sacerdoti della diocesi di Rouen, compreso il postulatore della causa di padre Hamel, padre Paul Vigouroux, e quindi consegnato al cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
Papa Francesco poco dopo l’assassinio di padre Jacques Hamel, avvenuto il 26 luglio del 2016, ne aveva voluto aprire il processo di beatificazione, perché “martire, e tutti i martiri sono Beati”, così aveva detto nell’omelia della Messa di suffragio celebrata a Casa Santa Marta il 14 settembre 2016, festa dell’Esaltazione della Croce, alla presenza dei familiari del sacerdote 85enne e ai pellegrini giunti dalla Normandia insieme al vescovo di Rouen monsignor Dominique Lebrun.
“Uomo buono, mite, di fratellanza, che sempre cercava di fare la pace, è stato assassinato come se fosse un criminale. Questo è il filo satanico della persecuzione.
A quattro anni dal barbaro assassinio la Francia si è unita per dire no ad ogni forma di violenza e dare testimonianza del rispetto profondo per la vita umana. Domenica 26 luglio, a Rouen, autorità religiose e civili, cittadini, credenti di tutte le fedi e non credenti, hanno partecipato alle cerimonie organizzate dalla diocesi in memoria di padre Hamel. Anche il neo-ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha voluto essere presente ed è stato accolto dall’arcivescovo di Rouen, monsignor Dominique Lebrun, e dal presidente della Conferenza episcopale della Francia, monsignor Éric de Moulins-Beaufort. Alle 10, i partecipanti hanno sfilato in una marcia silenziosa fino alla piccola chiesa di Saint-Étienne dove alle 10.30 si è celebrata una messa alla quale con le autorità politiche e il sindaco, hanno partecipato anche rappresentanti delle comunità musulmane.


Alle 11.30, si è svolta una cerimonia laica “repubblicana” di fronte alla “Stele della Fraternità” realizzata in ricordo del sacerdote martire. Padre Hamel – ha ricordato Darmanin – è stato vittima di “assassini rinchiusi nell’odio e nella follia omicida” e il loro atto ricorda nella maniera più atroce che “gli uomini sono in grado di cadere nell’abisso” del fanatismo e in quello della cultura della morte. Padre Hamel ha però scelto “la via della dolcezza”. Il ministro ha quindi reso omaggio all’anziano sacerdote ricordando l’esempio eroico di dom Christian de Chergé e dei monaci di Tibhirine. Ma ha anche espresso gratitudine alla Chiesa cattolica di Francia per come ha saputo reagire all’orrore di quell’assassinio. “Non avete ceduto alla tentazione del ripiegamento in voi stessi e della rabbia. Alla voglia di vendetta e di violenza. No, avete scelto la strada dell’unione e della pace”. “L’assassinio di padre Hamel – ha quindi aggiunto il ministro – non ha colpito solo i cristiani. Ha toccato tutta la Francia nel suo cuore e nella sua mente. Uccidere un prete, nel cuore di una delle chiese che compongono il lungo manto di edifici che segnano i paesaggi del nostro paese, è tentare di assassinare una parte dell’anima nazionale”. La Francia ha però voglia di guardare avanti, nonostante le fratture e le tensioni che il Paese sta di nuovo vivendo dopo il lockdown imposto dal Coronavirus. “Qui, a Saint-Étienne-du-Rouvray – ha infatti detto mons. de Moulins-Beaufort – la brutalità del crimine ha fatto emergere una luce preziosa: ci sono forze di odio nel nostro mondo, ma anche forze di perdono, di riconciliazione, di fiducia reciproca”. In una nota della diocesi, si ricorda come il sistema giudiziario penale continua a indagare sul caso per individuare possibili complici. “L’inchiesta – chiede oggi la diocesi di Rouen – farà luce su ciò che ha portato a questo crimine? I suoi risultati aiuteranno il nostro paese a proteggersi meglio i suoi figli dalla mortale radicalizzazione? Tutti lo vogliono, ma la sanzione penale non può essere sufficiente”. “Si sta facendo molto; molto rimane da fare”.La sorella Roseline ha raccontato il suo ultimo incontro terreno con il fratello: “Ricordo l’ultima cena che padre Jacques fece a casa nostra, la sera prima della sua morte. A tavola avevamo parlato dell’attentato di Nizza, che era avvenuto dieci giorni prima. Ai miei figli e ai miei nipoti aveva detto che era felice di essere con tutti noi. Esprimeva poche volte la sua gioia, quella sera lo fece. Questa confidenza così intima mi ha fatto pensare all’ultima cena di Gesù con gli apostoli. La mattina dopo quella cena ho ricevuto le telefonate dei nipoti, che avevano sentito la notizia dell’attacco terroristico in televisione, ma ho risposto che avrei attesto notizie direttamente da padre Jacques. Poi, in un certo momento, sono andata di corsa in chiesa. La polizia non voleva farmi passare. Sono andata verso la canonica a cercare Jacques, ma i soccorritori che erano intervenuti mi hanno detto che era morto. In quel momento ho cominciato a urlare e a piangere per il gran dolore della sua uccissione. Così tanto che dagli esami, nei giorni successivi, ho scoperto che mi ero procurata uno strappo muscolare. Conservo il suo camice e l’abito che gli avevamo regalato per il suo 50° anniversario di sacerdozio, ma anche il suo orologio. Il crocifisso, che gli avevo regalato per quell’occasione, invece lo porto sempre con me. Ho partecipato in qualche modo al suo sacerdozio in tutti questi anni. L’ho accompagnato nella sua missione, nelle attività in parrocchia. Ricordo con affetto quando preparava le omelie. E tanti altri momenti. Con il suo martirio mio fratello ha opposto alle forze del male le forze del bene che aveva fatto e che aveva nel suo cuore di sacerdote.
Nella sua testimonianza c’è il male che non ha l’ultima parola, mentre il suo amore per Cristo è stato più forte ed è diventato simbolo della forza del Signore che vince”.

Ha perdonato l’assassino di padre Jacques?
“Non l’ho mai odiato, quindi non c’è mai stato bisogno di perdono. Ho cercato le madri dei due ragazzi che hanno compiuto l’attacco terroristico in cui è stato ucciso mio fratello. Ho incontrato una di loro e assieme abbiamo dato una testimonianza di riconciliazione e di pace”.
Nel lungo cammino giudiziario sull’assassinio i padre Hamel da segnalare l’attacco ai servizi segreti francesi.
Imbarazzanti accuse contro gli 007 francesi nell’ambito dell’attacco contro padre Hamel nella chiesa di Saint-Étienne-du Rouvray: avrebbero postdatato documenti per nascondere l’inattività di agenti.
La procura di Parigi ha aperto un’inchiesta dopo le accuse del sito di informazione Mediapart secondo cui i servizi segreti avrebbero minimizzato i messaggi minacciosi di uno dei due terroristi autori dell’attentato contro Padre Hamel nell’estate del 2016, tanto da modificare la data dei documenti per coprire l’imbarazzante falla.
L’indagine per “falso” è stata affidata all’ispettorato generale della polizia (IGPN).
Secondo Mediapart, un agente della direzione dell’intelligence parigina (DRPP) aveva compilato una nota in cui evocava diversi messaggi in cui Adel Kermiche, uno dei due giovani autori dell’attentato, parlava di “un attacco contro una chiesa menzionando Saint-Etienne-du-Rouvray, il 21 luglio, cinque giorni prima dell’assassinio del sacerdote. “Una volta il prete ucciso, la DRPP ha postdatato due documenti per nascondere la passività degli agenti”, denuncia il sito di informazione on-line, lasciando quindi intendere che l’attentato avrebbe potuto essere evitato.
La prefettura di polizia, di cui dipende la DRPP, ha seccamente smentito dichiarando che la nota del 22 luglio “non evoca in alcun modo (…) l’imminenza di un passaggio all’atto, ancor meno un obiettivo in un luogo previsto”. Ma semplicemente un individuo che predicava alla moschea di Saint-Étienne-du-Rouvray chiedendo sui social network ai fedeli di “aderire a un gruppo a vocazione terroristica”, con l’obiettivo di recarsi in Siria.
Mehana Mouhou, avvocato delle due vittime, ha chiesto di declassificare i documenti top secret. “Obiettivo dell’intelligence – ha protestato – è prevenire il terrorismo non lasciar correre e poi nascondere un flop gravissimo”.
Uomo mite, legatissimo alla mamma, dopo un’adolescenza solitaria entrò in Seminario per farsi prete. Padre Jacques Hamel era nato nel 1930 a Darnétal nel dipartimento della Senna Marittima, in Normandia. Prima di essere ordinato Sacerdote nella Cattedrale di Rouen il 30 giugno 1958 fu chiamato nei ranghi dell’esercito francese e inviato in Algeria dove infuriava la guerra civile. Come succedeva a tutti i seminaristi richiamati alle armi Hamel poteva diventare ufficiale o sottufficiale. Rifiutò ogni grado e rimase soldato semplice e disse ai suoi superiori che rifiutava di essere ufficiale perché non voleva dare l’ordine a degli uomini di uccidere altri uomini. Divenne autiere (autista di veicoli leggeri), “un giorno – scrive il suo biografo, Jan De Volder – mentre attraversavano un’oasi, il mezzo su cui viaggiava con altri militari venne attaccato con delle mitragliatrici dagli algerini. I soldati della sua jeep morirono tutti. Così come quelli di un’altra jeep al seguito. Si salvò solo lui“. Per tanto tempo Padre Hamel ricordando quei fatti si domandava “perché proprio io mi sono salvato?”
Diventato Prete, come già ricordato nel 1958 ha sempre svolto la sua attività pastorale nella sua regione di nascita. La sua riservatezza e la sua puntigliosità nell’esercizio del Ministero Sacerdotale erano proverbiali. Quando morì sua madre ci mise molto tempo ad elaborare il lutto.
Con la sua mamma si sentiva forte anche nella solitudine dell’essere Prete, in una Francia sempre più scristianizzata. Il 26 luglio del 2016 è stato ucciso sull’altare della sua Chiesa mentre diceva la Messa. E’ morto, come ha detto Papa Francesco, da martire. Per la precisione durante la Messa di Suffragio, detta nella Cappella di Santa Marta in Vaticano, il Santo Padre ha specificato:” E’ un martire! E i martiri sono beati“. La storia di Padre Hamel è emblematica di quanto può succedere in una vita di fede. Scampato alla morte in guerra, questo Prete viene ucciso ad 86 anni in “odium Fidei” da due terroristi islamici, diventando un simbolo di sacrificio e di amore per tutta l’Europa cristiana e per l’intera umanità.

Una vita ordinaria di prete che lo ha accompagnato fino all’ultimo istante della sua vita quando di fronte ai due assassini che lo sgozzavano, ha detto: “Vattene, Satana”. Una frase che lascia intendere come padre Hamel abbia saputo mantenere una lucidità di pensiero fino all’ultimo, indicando nei due ragazzi l’azione del Male, e quindi forse addirittura un perdono. E’ un po’ come le parole pronunciate da Gesù sulla Croce quando ha detto: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

Qualcuno cerca di metterlo da parte, i media ne hanno parlato pochissimo in queste ore ma padre Hamel resta un esempio di perdono e di grande Fede. Già, Fede e valori sempre più lontani da un mondo in cui gli interessi da tutelare sono quelli delle potenti lobby, delle poltrone e del dio denaro.

 




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *