Papa Francesco e l’analisi del viaggio in Colombia

273

Dopo il bagno di folla, le parole a religiosi e governati, lo sfortunato episodio della ferita sotto l’occhio sinistro (per aver urtato contro la papa mobile), Papa Francesco non ha mancato il consueto appuntamento con i media ed ha parlato, sull’aereo che lo riportava in Italia, della sua esperienza nel paese latinoamericano e di altri argomenti che gli sono a cuore Forte l’appello del pontefice al presidente Usa, Donald Trump ma anche ai governanti di tutto il mondo per una maggiore consapevolezza dei mutamenti climatici.

“Sono rimasto commosso della gioia, della tenerezza della gioventù, della nobiltà del popolo colombiano” ha esordito il Vescovo di Roma. “Un popolo nobile che non ha paura a esprimersi come sente, a sentire e far vedere quello che sente. Così l’ho percepito io. È la terza volta che io ricordo, un vescovo diceva una quarta volta… Ringrazio la testimonianza di gioia, speranza, pazienza nella sofferenza di questo popolo. Mi ha fatto tanto bene”.

Ha visitato un Paese diviso tra quelli che accettano e non accettano il processo di pace, che fare concretamente perché le parti divise superino l’odio. Se dovesse visitarla di nuovo tra un anno o due come le piacerebbe che fosse la Colombia?

“Che il motto fosse: facciamo il secondo passo. Pensavo che fossero di più, sono circa 54 anni di guerriglia, e lì si accumula molto odio, molto rancore, molte anime malate. La malattia non è colpevole, viene, la malattia non è colpevole viene… queste guerriglie e i paramilitari hanno fatto peccati brutti che hanno provocato questa malattia di odio. Ma ci sono passi che danno speranza. L’ultimo è il cessate il fuoco del ELN, lo ringrazio tanto. C’è qualcosa di più che ho percepito: la voglia di andare avanti in questo processo va oltre i negoziati che si stanno facendo, è una voglia spontanea e lì c’è la forza del popolo. Il popolo vuole respirare dobbiamo aiutarlo, con la vicinanza e la preghiera. Soprattutto con la comprensione di quanto dolore c’è dentro tanta gente”.

La Colombia ha sofferto molte decadi di violenza per un conflitto armato e per il narcotraffico. Anche se non è nuova la corruzione nel nostro Paese, ora che non ci sono più le notizie sulla guerra è diventato così visibile. Che fare con questo flagello? Come castigare i corrotti? Vanno scomunicati?

“Il corrotto ha il perdono? Me lo domandai quando ci fu un atto nella provincia di Catramarca in Argentina, di maltrattamento e abuso, di violenza su una bambina, e c’erano poteri politici coinvolti nella vicenda. Ho scritto un piccolo libro che si chiama “Peccato e corruzione”. Tutti siamo peccatori, e sappiamo che il Signore è vicino a noi e non si stanca di perdonare. Il peccatore chiede perdono, il problema è che il corrotto si stanca di chiedere perdono e si dimentica di come si chiede perdono: è uno stato di insensibilità di fronte ai valori, allo sfruttamento delle persone… è molto difficile aiutare un corrotto, ma Dio può farlo”.

Lei ha parlato del primo passo, oggi ha detto che per arrivare alla pace bisogna integrare diversi attori. Pensa che il modello della Colombia sia replicabile in altri conflitti?

“Integrare altre persone non è la prima volta, in tanti conflitti sono state integrate altre persone, è un modo sapienziale di andare avanti, la saggezza di chiedere aiuto, ma credo che oggi ho voluto accennarlo nell’omelia, che era un messaggio. Questi ricorsi tecnici, politici, aiutano e chiedono talvolta l’intervento dell’Onu per uscire dalla crisi, ma un processo di pace andrà avanti soltanto se lo prende in mano il popolo. Se non lo prende il popolo, si arriverà a un compresso, ma… O il protagonista è il popolo oppure si arriverà solo fino a un certo punto”.

Come sta dopo l’incidente alla testa?

“Mi sono sporto per salutare i bambini e non ho visto il vetro, e… pum!”

Dopo uragano Harvey, ci sono stati quasi in contemporanea tre uragani sull’aerea. Gli scienziati pensano che riscaldamento oceani rende gli uragani stagionali più intensi. C’è responsabilità morale dei leader politici che rifiutano di collaborare con altre nazioni per controllare le emissioni dei gas ad effetto serra, perché negano che questo cambiamento sia anche opera dell’uomo?

“Chi nega questo deve andare dagli scienziati e domandare loro: loro parlano chiarissimo, sono precisi. L’altro giorno quando è uscita la notizia di quella nave russa che è andata dalla Norvegia al Giappone, fino a Taipei, con i polo nord senza ghiaccio, da un università è uscita un’altra notizia, che diceva così: “Abbiamo soltanto tre anni per tornare indietro, al contrario le conseguenze saranno terribili”. Io non so se è vero tre anni o no, ma se non torniamo indietro. Del cambiamento climatico si vedono gli effetti, e gli scienziati dicono chiaramente la strada da seguire. E tutti noi abbiamo una responsabilità morale – piccola o grande – : accettare, dare opinioni, prendere decisioni, e dobbiamo prenderlo sul serio. Credo sia una cosa molto seria. Ognuno ha la sua responsabilità morale, i politici hanno la loro. Che uno chiede agli scienziati, sono chiarissimi, che poi decida e la storia giudicherà sulle sue decisioni”.

Molte volte nei discorsi in Colombia ha richiamato alla necessità di fare pace col creato e rispettare ambiente per creare pace sociale stabile. Vediamo gli effetti dei cambiamenti climatici anche in Italia, come saprà ci stati danni con molti morti in Italia…

“Dopo tre mesi e mezzi di siccità”.

Perché tarda una presa di coscienza soprattutto da parte dei governi che invece sono solleciti in altri settori, ad esempio nel campo degli armamenti. Stamo vedendo ad esempio la crisi in Corea.

“Mi viene in mente una frase dell’Antico Testamento, credo del Salmo: l’uomo è uno stupido, un testardo che non vede. L’unico animale del creato che mette la gamba sullo stesso buco è l’uomo. Il cavallo, etc non lo fanno. C’è la superbia, la sufficienza… e poi c’è il “dio tasca”, su tante decisioni, non solo sul creato, dipendono dai soldi. Oggi a Cartagena, io ho cominciato con una parte povera della città, dall’altra parte la zona turistica, lusso, e lusso senza misure morali. Ma quelli che vanno di là non si accorgono di questo? Gli analisti sociopolitici non si accorgono? L’uomo è uno stupido, diceva la Bibbia. Quando non si vuol vedere non si vede, si guarda da una parte soltanto. Della Corea del Nord davvero non capisco quel mondo della geopolitica, ma credo che c’è lì una lotta di interessi che mi sfugge, non posso spiegarlo, ma l’altro è importante, non si prende coscienza”.

Lei ogni volta che incontra i giovani dice sempre loro: non fatevi rubare la speranza, il futuro. C’è stata negli Usa l’abolizione della legge dei dreamers, “sognatori”, 800mila ragazzi, che perdono il futuro…

“Ho sentito di questa legge, non ho potuto leggere gli articoli, come si è presa la decisione. Non la conosco bene, però staccare i giovani dalla famiglia non è una cosa che dà un buon frutto né per i giovani né per la famiglia. Questa legge che credo viene dall’esecutivo non dal Parlamento, se è così, ho speranza che si ripensi un po’. Ho sentito parlare il presidente degli Usa che si presenta come un uomo prolife e se è un bravo pro life capisce l’importanza della famiglia e della vita e va difesa l’unità della famiglia. Per questo ho intenzione di studiare bene quella legge. Quando i giovani si sentono – parlo in generale – sfruttati, alla fine, si sentono senza speranza. E chi la ruba? La droga, le altre dipendenze, il suicidio, che avviene quando vengono staccati dalle radici. È molto importante il rapporto con le radici, i giovani sradicati oggi chiedono aiuto, vogliono ritrovare le radici, per questo insisto tanto sul dialogo tra giovani e anziani, perché lì ci sono le radici, per evitare i conflitti con le radici più prossime dei genitori. Qualsiasi cosa che vada contro le radici ruba la speranza. Comunque sulla legge non voglio esprimermi perché non la ho letta, e non mi piace parlare di quello che non ho studiato bene”.

Recentemente la Chiesa italiana ha espresso, diciamo così, una sorta di comprensione verso la nuova politica del governo di restringere sulla questione delle partenze dalla Libia e quindi degli sbarchi. Si è scritto anche che su questo c’è stato un suo incontro col presidente del Consiglio Gentiloni. Vorremmo sapere se c’è stato questo incontro e si è trattato questo tema. E soprattutto che cosa pensa lei di questa politica di chiusura delle partenze, considerando anche il fatto che poi i migranti che restano in Libia, come è stato anche documentato da inchieste, vivono in condizioni disumane, in condizioni molto ma molto precarie.

“Prima di tutto: l’incontro con il (primo) ministro Gentiloni è stato un incontro personale e non su questo argomento. È stato prima di questo problema, che è venuto fuori alcune settimane dopo. … Secondo: io sento il dovere di gratitudine per l’Italia e la Grecia, perché hanno aperto il cuore sui migranti. Ma non basta aprire il cuore. Il problema dei migranti è: primo, un cuore aperto, sempre, anche per un comandamento di Dio, ricevere, perché “tu sei stato schiavo”, migrante, in Egitto. Ma un governo deve gestire questo problema con la virtù propria del governante, cioè la prudenza. Cosa significa? Primo: quanti posti ho. Secondo: non solo ricevere, (ma) integrare. Ho visto esempi qui in Italia di integrazione bellissima. Sono andato all’Università Roma Tre, mi hanno fatto domande quattro studenti. Una, era l’ultima, la guardavo: ma questa faccia la conosco. Era una che meno di un anno prima è venuta da Lesbo con me in aereo, ha imparato la lingua, studiava biologia nella sua patria, ha fatto l’equiparazione (equipollenza), e ora continua. Questo si chiama integrare. In un altro volo, tornavamo dalla Svezia, ho parlato della politica di integrazione di quel Paese come un modello. Ma anche la Svezia ha detto con prudenza: il numero è questo, più non posso, perché c’è pericolo di un eccesso. Terzo: c’è un problema umanitario. Quello che lei diceva. L’umanità prende coscienza di questi lager, delle condizioni nel deserto? Ho visto delle fotografie, gli sfruttatori. Credo, ho l’impressione, che il governo italiano sta facendo di tutto per lavori umanitari di risolvere anche problemi che non può assumere. Ma: il cuore sempre aperto, prudenza e integrazione, e vicinanza umanitaria. E c’è un’ultima cosa che voglio dire e che vale soprattutto per l’Africa. C’è nell’inconscio collettivo nostro un motto, un principio: l’Africa va sfruttata. Oggi a Cartagena abbiamo visto un esempio di sfruttamento, umano in quel caso. Un capo di governo su questo ha detto una bella verità: quelli che fuggono dalla guerra è un altro problema; ma tanti che fuggono dalla fame, facciamo investimenti lì perché crescano. Ma nell’inconscio collettivo c’è che ogni volta che tanti Paesi sviluppati vanno in Africa, è per sfruttare. Dobbiamo capovolgere questo. L’Africa è amica e va aiutata a crescere”.

Ormai da mesi lei chiede la fine di tutte le violenze in Venezuela. Ma il presidente Maduro, da un lato ha parole molto violente contro i vescovi, dall’altro dice che è con Papa Francesco. Non sarebbe possibile avere parole più forti e forse più chiare?

“Credo che la Santa Sede ha parlato forte e chiaramente. Quello che dice il presidente Maduro, che lo spieghi lui. Non so cosa ha nella sua mente. La Santa Sede ha inviato un nunzio di primo livello. Poi ha parlato: ha parlato con persone, ha parlato pubblicamente. Io tante volte nell’Angelus ho parlato della situazione. Cercando sempre una via di uscita, aiutando, offrendo un aiuto per uscire. Mi sembra che la cosa è molto difficile. Quello che è più doloroso è il problema umanitario. La gente scappa o soffre. Un problema umanitario che dobbiamo aiutare a risolvere in ogni maniera. Credo che le Nazioni Unite devono farsi sentire anche lì per aiutare.

Quindi il pontefice prima di congedarsi dai i giornalisti presenti ha aggiunto: “Vorrei ringraziare l’esempio del popolo colombiano. Vorrei finire con una immagine. Quello che più mi ha colpito dei colombiani delle quattro città visitate era la folla lungo le strade, i papà e le mamme che alzavano i loro bambini per farli vedere al Papa perché il Papa li benedicesse. Come dicendo: “Questo è il mio tesoro. Questa è la mia speranza. Questo è il mio futuro. Io ci credo”. Questo mi ha colpito: la tenerezza, gli occhi di quei papà e di quelle mamme. Bellissimi, bellissimi. Questo è un simbolo, un simbolo di speranza, di futuro. Un popolo capace di fare bambini e poi farli vedere così, come dicendo “questo è il mio tesoro”, è un popolo che ha speranza e ha futuro. Grazie tante”.

Papa Francesco è quindi rientrato a Roma, una città che conta gli allagamenti per decenni di inefficienza politica, una città dove la maleducazione impera ed il rispetto per i poveri è ormai un lontano ricordo. Una Roma specchio di un’Italia dove la gente muore per il la pioggia ed i temporali, dove le aggressioni sono all’ordine del giorno, dove le forze dell’ordine vengono costantemente attaccate. Già l’Italia, paese con 5 milioni di poveri e tanti problemi da risolvere, Paese dove si abbassa la testa e si fa finta di non vedere le cose che non vanno nel nome dell’egoismo e del proprio orticello. Come ci ha detto il Papa sull’aereo l’importante per i più non è sanare il mondo, far crescere sani i figli, rafforzare la famiglia e la Fede, ma il dio denaro. In molti lo hanno già fatto ma come ha sottolineato anche Bergoglio guai ad arrendersi alla deriva dei valori.




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *