Papa Francesco udienza generale – Catechesi sulla preghiera – 15. La Vergine Maria donna orante

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Papa – Nell’appuntamento del mercoledì con l’udienza generale dalla Biblioteca del Palazzo Apostolico, il Papa riflette su Maria, sul suo stile nel rivolgersi a Dio con cuore umile.

Mettersi in preghiera con un atteggiamento di disponibilità, con il cuore aperto alla volontà di Dio, non dirigendo in modo autonomo la propria vita ma affidandola alle mani del Signore, come ha fatto la Madonna. È il centro della catechesi del mercoledì che Papa Francesco a causa della pandemia tiene dalla biblioteca del Palazzo Apostolico, trasmessa in diretta streaming. Maria, nota il Papa, “appartiene alla grande schiera di quegli umili di cuore che gli storici ufficiali non inseriscono nei loro libri ma con i quali Dio ha preparato la venuta del suo Figlio”.

Una ragazza semplice che entra in un dialogo con il Signore, che non sa nulla del mare tempestoso che dovrà affrontare, che a volte sembra “scomparire, per poi riaffiorare nei momenti cruciali”. La voce di Dio guida i suoi passi là dove c’è bisogno della sua presenza come nell’ora culminante sotto la croce. Lei che con il suo “eccomi” “piccolo e immenso”, dice, ha fatto sobbalzare di gioia l’intera creazione ed è stato preceduto da tanti altri “eccomi” nella storia della salvezza, da tante obbedienze fiduciose alla volontà del Signore che portano il Papa a esortare anche oggi a questa apertura di Maria: Quelli che sono più umili di cuore, pregano così: con l’umiltà essenziale, diciamo così; con umiltà semplice: “Signore, quello che Tu vuoi, quando Tu vuoi e come Tu vuoi”. E questi pregano così, non arrabbiandosi perché le giornate sono piene di problemi, ma andando incontro alla realtà e sapendo che nell’amore umile, nell’amore offerto in ogni situazione, noi diventiamo strumenti della grazia di Dio.

“La preghiera sa ammansire l’inquietudine”, ricorda, infatti, il Papa: Ma, noi siamo inquieti, sempre vogliamo le cose prima di chiederle e la vogliamo subito, subito… e la vita non è così. Questa inquietudine ci fa male, e la preghiera sa ammansire l’inquietudine, sa trasformarla in disponibilità. Io sono inquieto, prego e la preghiera mi apre il cuore e mi fa disponibile alla volontà di Dio. 

Negli istanti dell’Annunciazione, Maria ha saputo respingere la paura anche se presagiva che il suo “sì” le avrebbe portato “prove molto dure”. “Se nella preghiera – rimarca Francesco – comprendiamo che ogni giorno donato da Dio è una chiamata, allora allarghiamo il cuore e accogliamo tutto”:

Si impara a dire: “Quello che Tu vuoi, Signore. Promettimi solo che sarai presente ad ogni passo del mio cammino”. Questo è l’importante: chiedere al Signore la sua presenza a ogni passo del nostro cammino: che non ci lasci soli, che non ci abbandoni nella tentazione, che non ci abbandoni nei momenti brutti. Quel finale del Padre Nostro è così: la grazia che Gesù stesso ci ha insegnato a chiedere al Signore.

Maria, prosegue il Papa, accompagna anche la vita della Chiesa: prega con i discepoli e lei che per opera dello Spirito Santo è diventata Madre di Dio, diventa “Madre della Chiesa”. “Non fa il sacerdote tra loro”, aggiunge Francesco a braccio, ma “prega con loro, in comunità, come una della comunità”. “Pregando con la Chiesa nascente – osserva ancora – diventa Madre della Chiesa, accompagna i discepoli nei primi passi della Chiesa”, con la sua preghiera che, sottolinea, è “silenziosa”.

Il Vangelo delle nozze di Cana racconta proprio la preghiera di Maria che si rivolge al Figlio. La sua presenza è sempre preghiera, come nel Cenacolo. “Maria è presente perché è Madre, ma è anche presente perché è la prima discepola”, riflette il Papa evidenziando come proprio per questo motivo la Madonna esorti sempre a fare quello che Gesù indica, senza dire: “Risolverò io le cose”.

La sua “naturale intuizione femminile viene esaltata nella sua singolarissima unione con Dio nella preghiera”.  Papa Francesco si rifà, quindi, alle parole dell’evangelista Luca: “Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”.  Tutto ciò che le capita finisce nel suo cuore: i giorni di gioia come i momenti più bui, quando fa fatica a comprendere per quali strade debba passare la Redenzione. Fino al venerdì della Passione.

Tutto la Madre custodisce e porta nel suo dialogo con Dio. Qualcuno ha paragonato il cuore di Maria a una perla di incomparabile splendore, formata e levigata dalla paziente accoglienza della volontà di Dio attraverso i misteri di Gesù meditati in preghiera. Che bello se anche noi potremo assomigliare un po’ alla nostra Madre! Con il cuore aperto alla Parola di Dio, con il cuore silenzioso, con il cuore obbediente, con il cuore che sa ricevere la Parola di Dio e la lascia crescere con un seme del bene della Chiesa.

Salutando i fedeli di lingua italiana, in occasione dell’odierno anniversario della Dedicazione della Basilica Vaticana, nel 1626, e di quella Ostiense, nel 1854, auspica che “questa festa che pone in luce il significato della chiesa, edificio sacro dove si raccolgono i credenti, susciti in tutti noi la consapevolezza che ognuno è chiamato ad essere tempio vivente di Dio”.

Come Santa Maria Goretti: oggi la Chiesa di Polonia fa memoria di una sua “giovane figlia”, la Beata Karolina Kózka, vergine e martire, che a sedici anni fu uccisa per difendere la virtù della castità. La ricorda il Papa nei saluti ai fedeli di lingua polacca durante l’udienza generale di oggi. Ricorda la terra di questa giovane contadina e lo fa per parlare ai giovani della dignità della donna e del valore della purezza del nostro corpo perché ne siano testimoni. Dice Papa Francesco: “Con il suo esempio, ancora oggi indica, specialmente ai giovani, il valore della purezza, il rispetto per il corpo umano e la dignità della donna. Affidatevi alla sua intercessione, perché vi aiuti a testimoniare con coraggio le virtù cristiane e i valori evangelici”.

Lo stesso sguardo per i giovani ebbe San Giovanni Paolo II quando, durante il suo viaggio apostolico in Polonia nel giugno del 1987, celebrò la solenne Messa per la beatificazione di questa martire che, disse, “parla con la sua vita e la sua morte prima di tutto ai giovani”: Ai ragazzi, alle ragazze. Agli uomini e alle donne. Parla della grande dignità della donna: della dignità della persona umana. Della dignità del corpo, anche se in questo mondo è soggetto alla morte e corruttibile così come anche il suo giovane corpo è stato sottoposto alla morte dall’assassino, ma questo corpo umano porta in sé il segno dell’immortalità che l’uomo deve raggiungere in Dio eterno e vivo mediante Cristo.

Karolina Kózka era una giovane contadina nata a Wal-Ruda in Polonia il 22 agosto 1898 e morta martire nella stessa località, 16 anni dopo. “Figlia di genitori semplici, figlia della terra sulla Vistola, ‘stella del tuo popolo'”, la definì san Giovanni Paolo II, stella che ha decorato e illuminato il mondo giovanile e il mondo del lavoro con la sua vita e il suo martirio. La sua era una famiglia di contadini, conosciuta come una “famiglia di santa gente” che chiamava “chiesetta” la loro casa, per indicare come la preghiera abitasse con loro quotidianamente. Sin da piccola Karolina seguì la guida del suo padre spirituale nel nucleo parrocchiale del villaggio, impiegando il tempo libero col catechismo ai fratelli e sorelle e ai ragazzi delle case vicine e assistendo anziani e ammalati. Fu in piena Prima Guerra mondiale che un giorno Carolina venne aggredita da un soldato russo e trascinata via dalla sua casa fin nella foresta di Wal-Ruda. Cercò di opporsi con forza e per questo fu uccisa. Aveva solo sedici anni. Nel bosco dove le sue spoglie furono ritrovate, i suoi concittadini vollero erigere una grande croce di legno e più tardi la comunità, profondamente scossa da quella inaudita violenza. le dedicò un monumento accanto alla cattedrale.

Dunque, come ebbe a dire Giovanni Paolo II, Karolina Kózka è una figura che si intreccia profondamente con la fede e la terra agricola di Polonia. Una vita e una morte eloquente, affermò san Giovanni Paolo II, che – come ci ripete oggi Francesco – ci rende consapevoli della grande “dignità dell’uomo”, dell’uomo davanti a Cristo e in Cristo.

“Cadendo per mano dell’aggressore – disse san Giovanni Paolo II nell’omelia della beatificazione, ripercorrendo la vita di questa giovane alla luce del suo totale affidamento a Cristo – Karolina rende l’ultima testimonianza su questa terra, a quella vita che è in lei. La morte corporale non la distrugge. La morte significa un nuovo inizio di questa vita, che è da Dio, che diventa la nostra parte per mezzo di Cristo, per opera della sua morte e risurrezione”.

“Carolina dunque perisce”, proseguì Papa Wojtyla. “Il suo giovane corpo rimane tra il sottobosco. E la morte di un innocente sin d’ora, sembra annunciare con una forza particolare la verità espressa dal salmista: II Signore è la mia parte dell’eredità, / Il Signore è il mio destino. / Nelle sue mani è la mia vita“.




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