Papa Francesco udienza generale: “Dio ascolta il grido di chi lo invoca”

446

Papa – All’udienza generale il Papa prosegue il ciclo di catechesi sulla preghiera e invita a domandare aiuto anche per le cose semplici della vita quotidiana: “Dio ascolta il grido di chi lo invoca”. Anche le nostre domande balbettate, quelle rimaste nel fondo del cuore”

A te grido, Signore, mia roccia, con me non tacere: se tu non mi parli sono come chi scende nella fossa. Ascolta la voce della mia supplica, quando a te grido aiuto, quando alzo le mie mani verso il tuo santo tempio.” E’ il salmo 28 ad introdurre, all’udienza generale, la catechesi di Papa Francesco che, proseguendo il ciclo sulla preghiera, ha per tema questa volta “La preghiera di domanda”.

Lode e Supplica

La lode e la supplica, afferma Papa Francesco, sono i due elementi che trovano posto nella preghiera cristiana, una preghiera che dice pienamente la nostra umanità. Ne è un esempio il Padre nostro dove “imploriamo Dio per i doni più alti: la santificazione del suo nome tra gli uomini, l’avvento della sua signoria, la realizzazione della sua volontà di bene nei confronti del mondo”. Ma dove si chiedono anche “i doni più semplici e feriali, come il pane quotidiano, che vuol dire anche la salute, la casa, il lavoro”, così come il perdono dei nostri peccati, l’aiuto nelle tentazioni e la liberazione dal male.

Il Catechismo, sottolinea che attraverso la domanda noi esprimiamo la coscienza di essere creature di Dio, caduta l’illusione dell’autosufficienza riconosce che abbiamo bisogno di Lui, e che non siamo noi il nostro ultimo fine. E il Papa prosegue: Tutti sperimentiamo, in un momento o nell’altro della nostra esistenza, il tempo della malinconia, della solitudine. La Bibbia non si vergogna di mostrare la condizione umana segnata dalla malattia, dalle ingiustizie, dal tradimento degli amici, o dalla minaccia dei nemici. A volte sembra che tutto crolli, che la vita vissuta finora sia stata vana. E in queste situazioni – quando sembra che tutto crolli –  apparentemente senza sbocchi c’è un’unica via di uscita: il grido, la preghiera: “Signore, aiutami!”. La preghiera apre squarci di luce nelle tenebre più fitte. “Signore aiutami”. Questo apre: apre la strada, apre il cammino.

Tutto il creato prega insieme a noi

Ma “non siamo i soli a pregare – osserva il Papa – ogni frammento del creato porta inscritto il desiderio di Dio”. E cita san Paolo che scrive: “Tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi”. E poi un’espresione poetica di Tertulliano: “Prega ogni essere creato, pregano gli animali e le fiere e piegano le ginocchia (…); E anche gli uccelli, non appena spiccano il volo, van su verso il cielo e allargano le loro ali come se fossero mani a forma di croce, cinguettano qualcosa che pare preghiera” (De oratione, XXIX). Papa Francesco precisa: tutto il Creato prega, “ma noi, siamo gli unici a pregare coscientemente, a sapere che ci rivolgiamo al Padre, e entrare in dialogo con il Padre. E Francesco continua:

Dunque, non dobbiamo scandalizzarci se sentiamo il bisogno di pregare, non avere vergogna. E soprattutto quando siamo nella necessità, chiedere. Gesù parlando di un uomo disonesto, che deve fare i conti con il suo padrone, dice questo: “Chiedere, mi vergogna”. E tanti di noi abbiamo questo sentimento: abbiamo vergogna di chiedere; di chiedere un aiuto, di chiedere qualche cosa a qualcuno che ci aiuti a fare, ad arrivare a quello scopo, e anche vergogna di chiedere a Dio. “No, questo non si può fare”. Non avere vergogna di pregare. “Signore, ho bisogno di questo”, “Signore, sono in questa difficoltà”, “Aiutami!”: il grido, il grido del cuore verso Dio che è Padre. E anche farlo nei momenti felici, non solo nei momenti brutti, ma anche in quelli felici, ringraziare Dio per ogni cosa che ci è data, e non ritenere nulla come scontato o dovuto: tutto è grazia. Dobbiamo imparare questo. Il Signore sempre ci dà, sempre, e tutto è grazia, tutto.

Nessun grido verso il Padre rimane inascoltato

Papa Francesco fa una considerazione: se è anche possibile arrivare a non credere in Dio, è difficile non credere nella preghiera, perchè “essa semplicemente esiste”, è una voce interiore che prima o poi si fa sentire. E Dio risponderà al nostro grido, afferma il Papa, non c’è preghiera che non venga ascoltata:

La Bibbia lo ripete infinite volte: Dio ascolta il grido di chi lo invoca. Anche le nostre domande balbettate, quelle rimaste nel fondo del cuore, che abbiamo anche vergogna di esprimere, il Padre le ascolta e vuole donarci lo Spirito Santo, che anima ogni preghiera e trasforma ogni cosa. (…) È questione di pazienza, sempre, di reggere l’attesa. Adesso siamo in tempo di Avvento, un tempo tipicamente di attesa; di attesa per il Natale. Noi siamo in attesa. Questo si vede bene. Ma anche tutta la nostra vita è in attesa. E la preghiera è in attesa sempre, perché sappiamo che il Signore risponderà.

Papa Giovanni Paolo II ed il Salmo 28

A proposito del salmo 28 il 13 Giugno 2001 l’allora pontefice Giovanni Paolo II lo spiegò ai fedeli con queste parola: 

Alcuni studiosi considerano il Salmo 28 come uno dei testi più antichi del Salterio. Potente è l’immagine che lo sostiene nel suo svolgersi poetico e orante: siamo, infatti, di fronte al dispiegarsi progressivo di una tempesta. Essa è scandita nell’originale ebraico da un vocabolo, qol, che significa contemporaneamente “voce” e “tuono”. Perciò alcuni commentatori intitolano il nostro testo “il Salmo dei sette tuoni”,dal numero di volte in cui risuona in esso quel vocabolo. In effetti si può dire che il Salmista concepisce il tuono come un simbolo della voce divina che, col suo mistero trascendente e irraggiungibile, irrompe nella realtà creata fino a sconvolgerla ed impaurirla, ma che nel suo intimo significato è parola di pace e di armonia. Il pensiero va qui al capitolo 12 del IV Vangelo, ove la voce che risponde a Gesù dal cielo viene percepita dalla folla come un tuono (cfr Gv 12,28-29).

Proponendo il Salmo 28 per la preghiera delle Lodi, la Liturgia delle Ore ci invita ad assumere un atteggiamento di profonda e fiduciosa adorazione della Maestà divina.

2. Due sono i momenti e i luoghi nei quali il cantore biblico ci conduce. Al centro (vv. 3-9) c’è la rappresentazione della tempesta che si scatena a partire dalla “immensità delle acque” del Mediterraneo. Le acque marine, agli occhi dell’uomo della Bibbia, incarnano il caos che attenta alla bellezza e allo splendore della creazione, fino a corroderla, distruggerla e abbatterla. Si ha, quindi, nell’osservazione della tempesta che infuria, la scoperta dell’immensa potenza di Dio. L’orante vede l’uragano spostarsi verso il nord e piombare sulla terraferma. I cedri altissimi del monte Libano e del monte Sirion, chiamato altre volte Hermon, sono schiantati dalle folgori e sembrano balzare sotto i tuoni come animali impauriti. Gli scoppi si fanno vicini, attraversano tutta la Terra Santa e scendono fino a sud, nelle steppe desertiche di Kades.

3. Dopo questo quadro di forte movimento e tensione siamo invitati a contemplare, per contrasto, un’altra scena che è raffigurata in apertura e alla fine del Salmo (vv.1-2 e 9b-11). Allo sgomento e alla paura si contrappone ora la glorificazione adorante di Dio nel tempio di Sion.

C’è quasi un canale di comunicazione che unisce il santuario di Gerusalemme e il santuario celeste: in entrambi questi ambiti sacri c’è pace e s’innalza la lode alla gloria divina. Al rumore assordante dei tuoni subentra l’armonia del canto liturgico, al terrore si sostituisce la certezza della protezione divina. Dio ora appare “assiso sulla tempesta” come “re per sempre” (v. 10), cioè come il Signore e il Sovrano supremo di tutta la creazione.

Il mistero di Dio  la duplice esperienza

4. Di fronte a questi due quadri antitetici l’orante è invitato a compiere una duplice esperienza. Innanzitutto egli deve scoprire che il mistero di Dio, espresso nel simbolo della tempesta, non può essere catturato e dominato dall’uomo. Come canta il profeta Isaia, il Signore, simile a folgore o a tempesta, irrompe nella storia seminando panico nei confronti dei perversi e degli oppressori. Sotto l’intervento del suo giudizio, gli avversari superbi sono sradicati come alberi colpiti da un uragano o come cedri frantumati dalle saette divine (cfr Is 14,7-8).

In questa luce è evidenziato ciò che un pensatore moderno (Rudolph Otto) ha qualificato come il tremendum di Dio, cioè la sua trascendenza ineffabile e la sua presenza di giudice giusto nella storia dell’umanità. Questa vanamente si illude di opporsi alla sua sovrana potenza. Anche Maria esalterà nel Magnificat questo aspetto dell’agire di Dio: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni” (Lc 1,51-52a).

L’Intimità della preghiera

5. Il Salmo ci presenta, però, un altro aspetto del volto di Dio, quello che si scopre nell’intimità della preghiera e nella celebrazione della liturgia. È, secondo il pensatore menzionato, il fascinosum di Dio, cioè il fascino che emana dalla sua grazia, il mistero dell’amore che si effonde sul fedele, la sicurezza serena della benedizione riservata al giusto. Perfino davanti al caos del male, alle tempeste della storia, e alla stessa collera della giustizia divina, l’orante si sente in pace, avvolto dal manto di protezione che la Provvidenza offre a chi loda Dio e segue le sue vie. Attraverso la preghiera si conosce che il vero desiderio del Signore consiste nel donare pace.

Nel tempio è risanata la nostra inquietudine e cancellato il nostro terrore; noi partecipiamo alla liturgia celeste con tutti “i figli di Dio”, angeli e santi. E sulla tempesta, simile al diluvio distruttore della malvagità umana, s’inarca allora l’arcobaleno della benedizione divina, che ricorda “l’alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra” (Gn 9,16).

I sette tuoni del salmo 28

È questo soprattutto il messaggio che emerge nella rilettura “cristiana” del Salmo. Se i sette ‘tuoni’ del nostro Salmo rappresentano la voce di Dio nel cosmo, l’espressione più alta di questa voce è quella con cui il Padre, nella teofania del Battesimo di Gesù, ha rivelato l’identità più profonda di lui quale “Figlio prediletto” (Mc 1,11 e par.). Scrive san Basilio: “Forse, e più misticamente, ‘la voce del Signore sulle acque’ echeggiò quando venne una voce dall’alto al battesimo di Gesù e disse: Questi è il Figlio mio diletto. Allora infatti il Signore aleggiava su molte acque, santificandole con il battesimo. Il Dio della gloria tuonò dall’alto con l’alta voce della sua testimonianza…E puoi anche intendere per ‘tuono’ quel mutamento che, dopo il battesimo, si compie attraverso la grande ‘voce’ del Vangelo” (Omelie sui SalmiPG 30,359).




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *