Papa in Romania – Seconda giornata – Cattedrale Santa Maria Regina e giovani

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Papa – Dopo la Messa per Papa Francesco la  visita alla Cattedrale di Santa Maria Regina a Iasi ed a seguire l’incontro con i giovani e le famiglie. Qui l’abbraccio ad oltre 600 anziani e malati e la lunga sosta sulle reliquie del Beato martire Anton Durcovici. Subito dopo il trasferimento al Palazzo della Cultura per l’incontro con la gioventù e le famiglie.

La Cattedrale di Santa Maria Regina, consacrata nel 2005 dopo 12 anni di lavori, che nei tratti architettonici ricorda proprio la corona della Vergine, mentre al suo interno troneggia il grande mosaico raffigurante l’Assunzione al cielo della Madonna e le vetrate raccontano i sacramenti e i misteri della preghiera del Rosario, così cara al Papa.

Accolto dal vescovo di Iaşi , monignor. Petru Gherghel, il Papa all’ingresso della Cattedrale, bacia subito il crocifisso per poi aspergere con l’acqua benedetta l’atrio dell’edificio. Accanto a lui il parroco della Cattedrale e una famiglia romena in rappresentanza di tutte le famiglie di Iaşi. La musica si fa preghiera mentre Francesco raggiunge l’altare quasi accompagnato dagli applausi e dalla gioia dei fedeli. Un diacono ed un sacerdote anziano gli donano una candela accesa, simbolo di quella fede che non muore mai, e il Pontefice la depone davanti alle reliquie del Beato martire Anton Durcovici, vescovo di Iasi dal 1947, perseguitato dal regime comunista che dopo essersi opposto alla sua ordinazione episcopale, lo gettò in un carcere di massima sicurezza tra le cui mura morì il 10 dicembre del 1951.

La sosta in preghiera sul memoriale del Beato, dove è custodito un suo testamento chirografo e un’urna contenente la terra della fossa comune, in cui fu gettato il suo corpo nel cimitero dei poveri di Sighetu Marmatiei, è carica di commozione. La stessa impressa sui volti dei tanti anziani, malati, bambini che affollano la Cattedrale, insieme alle famiglie, alle suore e ai volontari che li assistono ogni giorno. A ciascuno il Papa regala un sorriso, un abbraccio. Da solo, apre i cordoni, per farsi più vicino alla gente perché a nessuno manchi la sua parola di conforto. Passa tra i banchi, si fa spazio tra i malati in sedia a rotelle, bacia i più piccoli con la tenerezza e la cura di un nonno.

“Vorrei dare a tutti voi la benedizione con la mia gratitudine per essere qui – dice in chiusura parlando a braccio il Santo Padre – .Grazie di essere qui, grazie di essere con i vostri malati e grazie a voi che portate avanti la malattia offrendola al Signore. Adesso preghiamo insieme la Madonna, prima della benedizione”. E subito l’Ave Maria in lingua romena riempie la Cattedrale, come l’affetto di Francesco verso i più deboli e bisognosi. Dopo aver impartito la benedizione torna infatti tra i fedeli per donarsi ancora una volta fino a raggiungere la papamobile per spostarsi al Palazzo della Cultura per l’atteso incontro con i giovani di Iaşi.

Qui Papa Francesco invita tutti a restare radicati nella propria storia per “abbattere” le “trincee” e “aprire strade che ricordino quell’appartenenza di figli e fratelli”. Presenti circa 100 mila persone

“Qui con voi si sente il calore di essere in famiglia, circondati da piccoli e grandi. È facile, vedendovi e sentendovi, sentirsi a casa. Il Papa tra di voi si sente a casa. Grazie per il vostro caloroso benvenuto e per le testimonianze che ci avete regalato. Mons. Petru, come buon e fiero padre di famiglia, vi ha abbracciato tutti con le sue parole presentandovi, e lo hai confermato tu, Eduard, quando ci dicevi che questo incontro non vuole essere solo di giovani, né di adulti, né di altri, ma avete voluto “che stasera ci fossero insieme a noi i nostri genitori e i nostri nonni”.

Oggi in queste terre è il giorno del bambino. Un applauso ai bambini! Vorrei che la prima cosa che facciamo sia pregare per loro: chiediamo alla Vergine che li protegga con il suo manto. Gesù li ha posti in mezzo ai suoi apostoli; anche noi vogliamo metterli in mezzo e riaffermare il nostro impegno di volerli amare con lo stesso amore con cui il Signore li ama, impegnandoci a donare loro il diritto al futuro. È una bella eredità questa: dare ai bambini il diritto al futuro.

Sono lieto di sapere che in questa piazza si trova il volto della famiglia di Dio che abbraccia bambini, giovani, coniugi, consacrati, anziani rumeni di diverse regioni e tradizioni, come pure della Moldavia, e anche quelli che sono venuti dall’altra sponda del fiume Prut, i fedeli di lingua csango, polacca e russa. Lo Spirito Santo ci convoca tutti e ci aiuta a scoprire la bellezza di stare insieme, di poterci incontrare per camminare insieme. Ognuno con la propria lingua e tradizione, ma felice di incontrarsi tra fratelli. Con quella gioia che condividevano Elisabetta e Ioan – bravi questi due! -, con i loro undici figli, tutti diversi, arrivati da luoghi diversi, ma «oggi sono tutti riuniti, così come qualche tempo fa ogni domenica mattina prendevano tutti insieme la strada verso la chiesa». La felicità dei genitori di vedere i figli riuniti. Sicuramente oggi in cielo si fa festa vedendo tanti figli che si sono decisi a stare insieme.

È l’esperienza di una nuova Pentecoste, come abbiamo ascoltato nella Lettura. Dove lo Spirito abbraccia le nostre differenze e ci dona la forza per aprire percorsi di speranza tirando fuori il meglio da ciascuno; lo stesso cammino che iniziarono gli Apostoli duemila anni fa e in cui oggi tocca a noi prendere il testimone e deciderci a seminare. Non possiamo aspettare che siano altri a farlo, tocca a noi. Noi siamo responsabili! Tocca a noi!

È difficile camminare insieme, vero? È un dono che dobbiamo chiedere, un’opera artigianale che siamo chiamati a costruire e un bel dono da trasmettere. Ma da dove cominciamo per camminare insieme?

Vorrei “rubare” nuovamente le parole a questi nonni Elisabetta e Ioan. È bello vedere quando l’amore mette radici con dedizione e impegno, con lavoro e preghiera. L’amore ha messo radici in voi e ha dato molto frutto. Come dice Gioele, quando giovani e anziani si incontrano, i nonni non hanno paura di sognare (cfr Gl 3,1). E questo è stato il vostro sogno: «Sogniamo che possano costruirsi un futuro senza dimenticare da dove sono partiti. Sogniamo che tutto il nostro popolo non dimentichi le sue radici». Voi guardate al futuro e aprite il domani per i vostri figli, per i vostri nipoti, per il vostro popolo offrendo il meglio che avete imparato durante il vostro cammino: che non dimentichino da dove sono partiti. Dovunque andranno, qualunque cosa faranno, non dimentichino le radici. È lo stesso sogno, la stessa raccomandazione che San Paolo fece a Timoteo: mantenere viva la fede di sua madre e di sua nonna (cfr 2 Tm 10,5-7). Nella misura in cui cresci – in tutti i sensi: forte, grande e anche facendoti un nome – non dimenticare quanto di più bello e prezioso hai imparato in famiglia. È la sapienza che si riceve con gli anni: quando cresci, non ti dimenticare di tua madre e di tua nonna e di quella fede semplice ma robusta che le caratterizzava e che dava loro forza e costanza per andare avanti e non farsi cadere le braccia. È un invito a ringraziare e riabilitare la generosità, il coraggio, il disinteresse di una fede “fatta in casa”, che passa inosservata ma che costruisce a poco a poco il Regno di Dio.

Certo, la fede che “non è quotata in borsa”, non si vende e, come ci ricordava Eduard, può sembrare che «non serva a niente». Ma la fede è un dono che mantiene viva una certezza profonda e bella: la nostra appartenenza di figli, e figli amati da Dio. Dio ama con amore di Padre: ogni vita, ognuno di noi gli appartiene. È un’appartenenza di figli, ma anche di nipoti, sposi, nonni, amici, vicini; un’appartenenza di fratelli. Il maligno divide, disperde, separa e crea discordia, semina diffidenza. Vuole che viviamo “distaccati” dagli altri e da noi stessi. Lo Spirito, al contrario, ci ricorda che non siamo esseri anonimi, astratti, esseri senza volto, senza storia, senza identità. Non siamo esseri vuoti né superficiali. Esiste una rete spirituale molto forte che ci unisce, ci “connette” e ci sostiene e che è più forte di ogni altro tipo di connessione. E questa rete sono le radici: sapere che apparteniamo gli uni agli altri, che la vita di ciascuno è ancorata alla vita degli altri. «I giovani fioriscono quando sono amati veramente», diceva Eduard. Tutti fioriamo quando ci sentiamo amati. Perché l’amore mette radici e ci invita a metterle nella vita degli altri. Come quelle belle parole del vostro poeta nazionale che augurava alla sua dolce Romania: «i tuoi figli vivano unicamente in fraternità, come le stelle della notte» (M. Eminescu, “Cosa ti auguro, dolce Romania”). Eminescu era un grande, era cresciuto, si sentiva maturo, ma non solo: si sentiva fraterno, e per questo vuole che la Romania, che tutti i romeni, siano fraterni “come le stelle della notte”.  Noi apparteniamo gli uni agli altri e la felicità personale passa dal rendere felici gli altri. Tutto il resto sono favole.

Per camminare insieme lì dove sei, non ti dimenticare di quanto hai imparato in famiglia. Non dimenticare le tue radici.

Questo mi ha fatto ricordare la profezia di un santo eremita di queste terre. Un giorno il monaco Galaction Ilie del Monastero Sihăstria, camminando con le pecore sulla montagna, incontrò un eremita santo che conosceva e chiese: “Dimmi, padre, quando sarà la fine del mondo?”. E il venerabile eremita, sospirando dal suo cuore, disse: “Padre Galaction, sai quando sarà la fine del mondo? Quando non ci saranno sentieri dal vicino al vicino! Cioè, quando non ci sarà più amore cristiano e comprensione tra fratelli, parenti, cristiani e popoli! Quando le persone non ameranno più, sarà davvero la fine del mondo. Perché senza amore e senza Dio nessun uomo può vivere sulla terra!”.

La vita inizia a spegnersi e a marcire, il nostro cuore smette di battere e inaridisce, gli anziani non sogneranno e i giovani non profetizzeranno quando non ci saranno sentieri dal vicino al vicino… Perché senza amore e senza Dio nessun uomo può vivere sulla terra.

Eduard ci diceva che lui come tanti altri del suo Paese prova a vivere la fede in mezzo a numerose provocazioni. Sono davvero tante le provocazioni che ci possono scoraggiare e farci chiudere in noi stessi. Non possiamo negarlo, non possiamo fare come se niente fosse. Le difficoltà esistono e sono evidenti. Ma questo non può farci perdere di vista che la fede ci dona la più grande delle provocazioni: quella che, lungi dal rinchiuderti o dall’isolarti, fa germogliare il meglio di ciascuno. Il Signore è il primo a provocarci e a dirci che il peggio viene quando “non ci saranno sentieri dal vicino al vicino”, quando vediamo più trincee che strade. Il Signore è Colui che ci dona un canto più forte di tutte le sirene che vogliono paralizzare il nostro cammino. E lo fa nello stesso modo: intonando un canto più bello e più attraente.

Il Signore dona a tutti noi una vocazione che è una provocazione per farci scoprire i talenti e le capacità che possediamo e perché le mettiamo al servizio degli altri. Ci chiede di usare la nostra libertà come libertà di scelta, di dire “sì” a un progetto d’amore, a un volto, a uno sguardo. Questa è una libertà molto più grande che poter consumare e comprare cose. Una vocazione che ci mette in movimento, ci fa abbattere trincee, aprire strade che ci ricordino quell’appartenenza di figli e fratelli.

In questa capitale storica e culturale del Paese si partiva insieme – nel Medioevo – come pellegrini per la Via Transilvana, verso Santiago di Compostela. Oggi qui vivono tanti studenti da varie parti del mondo. Ricordo un incontro virtuale che abbiamo avuto in marzo, con Scholas Occurrentes, nel quale mi dicevano anche che questa città, durante quest’anno, è la capitale nazionale della gioventù. È vero? È vero che questa città, quest’anno, è la capitale nazionale della gioventù? [I giovani rispondono: “Sì!”]. Viva i giovani! Due elementi molto buoni: una città che storicamente sa aprire e iniziare processi – come il cammino di Santiago –; una città che sa ospitare giovani provenienti da varie parti del mondo come attualmente. Due caratteristiche che ricordano le potenzialità e la grande missione che potete sviluppare: aprire strade per camminare insieme e portare avanti quel sogno dei nonni che è profezia: senza amore e senza Dio nessun uomo può vivere sulla terra. Da qui oggi possono partire ancora nuove vie del futuro verso l’Europa e verso tanti altri luoghi del mondo. Giovani, voi siete pellegrini del secolo XXI, capaci di nuova immaginazione dei legami che ci uniscono.

Ma non si tratta di creare grandi programmi o progetti, ma di lasciar crescere la fede, di lasciare che le radici ci portino la linfa. Come vi dicevo all’inizio: la fede non si trasmette solo con le parole, ma con gesti, sguardi, carezze come quelle delle nostre madri, delle nostre nonne; con il sapore delle cose che abbiamo imparato in casa, in maniera semplice e genuina. Lì dove c’è molto rumore, che sappiamo ascoltare; dove c’è confusione, che ispiriamo armonia; dove tutto si riveste di ambiguità, che possiamo portare chiarezza; dove c’è esclusione, che portiamo condivisione; in mezzo al sensazionalismo, ai messaggi e alla notizie rapide, che abbiamo cura dell’integrità degli altri; in mezzo all’aggressività, che diamo la precedenza alla pace; in mezzo alla falsità, che portiamo la verità; che in tutto, in tutto privilegiamo l’aprire strade per sentire questa appartenenza di figli e di fratelli (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2018). Queste ultime parole che ho detto hanno la “musica” di Francesco d’Assisi. Voi sapete cosa consigliava San Francesco d’Assisi ai suoi frati per trasmettere la fede? Diceva così: “Andate, predicate il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole”. [Applauso] Questo applauso è per San Francesco di Assisi!

Sto finendo, mi manca un paragrafo, ma non voglio tralasciare di dire un’esperienza che ho avuto mentre entravo in piazza. C’era un’anziana, abbastanza anziana, nonna. Nelle braccia aveva il nipote di più o meno due mesi, non di più. Quando sono passato me lo ha fatto vedere. Sorrideva, e sorrideva con un sorriso di complicità, come dicendomi: “Guardi, adesso io posso sognare!”. Sul momento mi sono emozionato e non ho avuto il coraggio di andare e portarla qui davanti. Per questo lo racconto. I nonni sognano quando i nipoti vanno avanti, e i nipoti hanno coraggio quando prendono le radici dai nonni.

La Romania è il “giardino della Madre di Dio”, e in questo incontro ho potuto rendermene conto, perché lei è Madre che coltiva i sogni dei figli, che ne custodisce le speranze, che porta la gioia nella casa. È Madre tenera e concreta, che si prende cura di noi. Voi siete la comunità viva e fiorente piena di speranza che possiamo regalare alla Madre. A lei, alla Madre, consacriamo l’avvenire dei giovani, l’avvenire delle famiglie e della Chiesa. Mulțumesc! [Grazie!]”.




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