PAPA – UDIENZA GENERALE- LA VITA IN NOME DI DIO

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PAPA – All’udienza generale il Papa parla della testimonianza dei martiri, che non sono eroi ma cristiani maturi nella fede e che oggi, ripete, sono più numerosi che nei primi secoli. Fra loro il Pontefice ricorda le missionarie della carità uccise nello Yemen. Al termine il nuovo invito alla preghiera per l’Ucraina “che continua a sopportare terribili sofferenze”

Un tiepido sole scalda piazza San Pietro quando Francesco arriva in papamobile per percorrere l’emiciclo del Bernini e abbracciare idealmente i fedeli giunti da diverse parti del mondo per ascoltarlo all’udienza generale. Come è ormai consuetudine, il Papa accoglie alcuni bambini nella jeep che lo porta fra i pellegrini festosi. Poi, giunto sul sagrato della basilica vaticana, comincia la sua undicesima catechesi sullo zelo apostolico, che dedica alle figure dei martiri. Testimoni del Vangelo “fino all’effusione del sangue”, non eroi, chiarisce il Pontefice, ma uomini e donne “che hanno dato la vita per Cristo”, “frutti maturi ed eccellenti della vigna del Signore, che è la Chiesa”. “Il primo fu il diacono Stefano, lapidato fuori dalle mura di Gerusalemme”, ricorda Francesco, che ricorre a Sant’Agostino per far comprendere “il dinamismo spirituale che animava i martiri”. In un discorso su San Lorenzo, il vescovo di Ippona spiega che il giovane diacono della diocesi di Roma ha compreso e messo in pratica quanto Cristo ha fatto per gli uomini, lo ha amato nella sua vita e lo ha imitato nella sua morte: in lui emerge dunque una dinamica di gratitudine e di gratuito contraccambio del dono.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Parlando dell’evangelizzazione e parlando dello zelo apostolico, dopo aver considerato la testimonianza di San Paolo, vero “campione” di zelo apostolico, oggi il nostro sguardo si rivolge non a una figura singola, ma alla schiera dei martiri, uomini e donne di ogni età, lingua e nazione che hanno dato la vita per Cristo, che hanno versato il sangue per confessare Cristo. Dopo la generazione degli Apostoli, sono stati loro, per eccellenza, i “testimoni” del Vangelo. I martiri: il primo fu il diacono Santo Stefano, lapidato fuori dalle mura di Gerusalemme. La parola “martirio” deriva dal greco martyria, che significa proprio testimonianza. Un martire è un testimone, uno che dà testimonianza fino a versare il sangue. Tuttavia, ben presto nella Chiesa si è usata la parola martire per indicare chi dava testimonianza fino all’effusione del sangue [1]. Cioè, dapprima la parola martira indicava la testimonianza resa tutti i giorni, in seguito si è usata per indicare colui che dà la vita con l’effusione.

 

I martiri, però, non vanno visti come “eroi” che hanno agito individualmente, come fiori spuntati in un deserto, ma come frutti maturi ed eccellenti della vigna del Signore, che è la Chiesa. In particolare, i cristiani, partecipando assiduamente alla celebrazione dell’Eucaristia, erano condotti dallo Spirito a impostare la loro vita sulla base di quel mistero d’amore: cioè sul fatto che il Signore Gesù aveva dato la sua vita per loro, e dunque anche loro potevano e dovevano dare la vita per Lui e per i fratelli. Una grande generosità, il cammino di testimonianza cristiana. Sant’Agostino sottolinea spesso questa dinamica di gratitudine e di gratuito contraccambio del dono. Ecco ad esempio ciò che egli predicava in occasione della festa di San Lorenzo: «San Lorenzo era diacono della Chiesa di Roma. Ivi era ministro del sangue di Cristo e là, per il nome di Cristo, versò il suo sangue. Il beato apostolo Giovanni espose chiaramente il mistero della Cena del Signore, dicendo: “Come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3,16). Lorenzo, fratelli, ha compreso tutto questo. L’ha compreso e messo in pratica. E davvero contraccambiò quanto aveva ricevuto in tale mensa. Amò Cristo nella sua vita, lo imitò nella sua morte» (Disc. 304, 14; PL 38, 1395-1397). Così Sant’Agostino spiegava il dinamismo spirituale che animava i martiri. Con queste parole: i martiri amano Cristo nella sua vita e lo imitano nella sua morte.

 

Oggi, cari fratelli e sorelle, ricordiamo tutti i martiri che hanno accompagnato la vita della Chiesa. Essi, come ho già detto tante volte, sono più numerosi nel nostro tempo che nei primi secoli. Oggi ci sono tanti martiri nella Chiesa, tanti, perché per confessare la fede cristiana sono cacciati via dalla società o vanno in carcere … Sono tanti. Il Concilio Vaticano II ci ricorda che «il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità» (Cost. Lumen gentium, 42). I martiri, a imitazione di Gesù e con la sua grazia, fanno diventare la violenza di chi rifiuta l’annuncio una occasione suprema di amore, che arriva fino al perdono dei propri aguzzini. Interessante, questo: i martiri perdonano sempre gli aguzzini. Stefano, il primo martire, morì pregando: “Signore, perdona loro, non sanno cosa fanno”. I martiri pregano per gli aguzzini.

 

Sebbene siano solo alcuni quelli a cui viene chiesto il martirio, «tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa» (ibid., 42). Ma, questa delle persecuzioni è cosa di allora? No, no: oggi. Oggi ci sono delle persecuzioni per i cristiani nel mondo, tanti, tanti. Sono più i martiri di oggi che quelli dei primi tempi. I martiri ci mostrano che ogni cristiano è chiamato alla testimonianza della vita, anche quando non arriva all’effusione del sangue, facendo di sé stesso un dono a Dio e ai fratelli, ad imitazione di Gesù.

 

E vorrei concludere ricordando la testimonianza cristiana presente in ogni angolo del mondo. Penso, ad esempio, allo Yemen, una terra da molti anni ferita da una guerra terribile, dimenticata, che ha fatto tanti morti e che ancora oggi fa soffrire tanta gente, specialmente i bambini. Proprio in questa terra ci sono state luminose testimonianze di fede, come quella delle suore Missionarie della Carità, che hanno dato la vita lì. Ancora oggi esse sono presenti nello Yemen, dove offrono assistenza ad anziani ammalati e a persone con disabilità. Alcune di loro hanno sofferto il martirio, ma le altre continuano, rischiano la vita ma vanno avanti. Accolgono tutti, di qualsiasi religione, perché la carità e la fraternità non hanno confini. Nel luglio 1998 Suor Aletta, Suor Zelia e Suor Michael, mentre tornavano a casa dopo la Messa sono state uccise da un fanatico, perché erano cristiane. Più recentemente, poco dopo l’inizio del conflitto ancora in corso, nel marzo 2016, Suor Anselm, Suor Marguerite, Suor Reginette e Suor Judith sono state uccise insieme ad alcuni laici che le aiutavano nell’opera della carità tra gli ultimi. Sono i martiri del nostro tempo. Tra questi laici uccisi, oltre ai cristiani c’erano fedeli musulmani che lavoravano con le suore. Ci commuove vedere come la testimonianza del sangue possa accomunare persone di religioni diverse. Non si deve mai uccidere in nome di Dio, perché per Lui siamo tutti fratelli e sorelle. Ma insieme si può dare la vita per gli altri.

 

Preghiamo dunque, perché non ci stanchiamo di dare testimonianza al Vangelo anche in tempo di tribolazione. Tutti i santi e le sante martiri siano semi di pace e di riconciliazione tra i popoli per un mondo più umano e fraterno, nell’attesa che si manifesti in pienezza il Regno dei cieli, quando Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15,28).