Personaggi – 11 Marzo 1510 – La storia di Papa Leone X

634

Papa Leone X – Il giorno 11 Marzo del 1510 divenne papa Leone X. Giovanni de’ Medici (Firenze, 1475-Roma, 1521), fu papa dall’11 marzo 1513 al 1 dicembre 1521. Era il secondo figlio di Lorenzo il Magnifico di Clarice Orsini. Fin dalla nascita fu destinato dal padre alla carriera ecclesiastica. A sette anni ricevette la tonsura, a tredici fu segretamente elevato alla dignità cardinalizia dal papa Innocenzo VIII. Crebbe in mezzo alla splendida corte medicea, ricevette una raffinata educazione classica, avendo per maestri i più illustri umanisti del tempo: Demetrio Calcondila, Angelo Poliziano, Marsilio Ficino, Bernardo Bibbiena.

Tra il 1489 e il 1491 studiò teologia e diritto canonico a Pisa. Il 9 marzo 1492 vestì nella Badia di Fiesole le insegne cardinalizie; il 22 marzo entrò in Roma e l’indomani fu ammesso all’udienza del papa. Il mese successivo tornava a Firenze per la morte del padre; ma in luglio entrava in conclave per l’elezione del nuovo papa.

Riuscito il cardinale spagnolo Borgia, al quale era avverso e inviso, si ritirò di nuovo a Firenze. La signoria del fratello Piero volgeva a male; quando venne la catastrofe 9 novembre 1494) il cardinale Giovanni cercò scampo, fuggendo vestito da frate minore.

Falliti tutti i tentativi e caduta l’illusione di un prossimo ritorno dei Medici a Firenze, partì per un lungo viaggio attraverso la Germania, i Paesi Bassi e la Francia. Tornò in Italia nel maggio del 1500. La mutata situazione politica gli consigliò di prendere dimora a Roma. Il suo palazzo presso Sant’Eustachio (Palazzo Madama) divenne il luogo di convegno dei maggiori letterati, artisti, studiosi che erano a Roma.

L’anno 1503 segna una data importante nella vita del cardinale Giovanni de’ Medici: per la morte di Piero egli si trovava a essere capo della famiglia, la cui sorte dipendeva perciò tutta da lui.

Nello stesso anno saliva al trono pontificio Giulio II. La fortuna dei Medici non poteva risorgere se non con una mutazione politica generale; egli l’attese con fiducia, sperando sempre. I rapporti con papa Giulio erano molto rari: quel vecchio impetuoso era troppo pieno dei suoi vasti disegni per badare a qualche altra cosa.

Quando nell’agosto del 1511 il papa si ammalò e parve in pericolo di morte, il cardinale de’ Medici, fu, tra quelli che cominciavano a prepararsi la successione, il più attivo. Poi il papa guarì; ed egli ebbe la legazione a Bologna (1 ottobre 1511). Anche per le pretese su Firenze le cose mutavano: la repubblica fiorentina s’era dichiarata per il concilio scismatico di Pisa convocato dal re di Francia contro il papa; a questo non restava dunque che favorire i Medici Come legato papale presso l’esercito spagnolo, Giovanni parve spesso al focoso Giulio II fiacco e senza iniziativa, ma riuscì a giustificarsi e a conservare l’ufficio.

Un grave rovescio fu per lui personalmente la battaglia di Ravenna (11 aprile 1512) quando fu preso prigioniero dai Francesi e trasportato a Milano. Peggiorando sempre la situazione dei Francesi, essi volevano condurlo in Francia come ostaggio per negoziare con il papa, ma al passaggio del Po, nel disordine, il cardinale riuscì a fuggire, riparando a Ravenna. Ora, papa Giulio aveva capito che per indebolire i Francesi in Italia occorreva sopprimere la repubblica di Firenze, cioè aiutare i Medici.

 

Il cardinale Giovanni entrò in Toscana con le truppe del Cardona e presenziò al sacco di Prato. Il 14 settembre 1512 egli rientrò in Firenze, dove un moto della fazione medicea aveva, senza spargimento di sangue, rimessa al potere la signoria dei Medici. Lui ed il fratello Giuliano s’adoperarono a spegnere odi e rancori, a mostrarsi concilianti e indulgenti per guadagnarsi il favore popolare; nel popolo restavano però irriducibili repubblicani e la città non aveva pace. Si scoperse anzi un complotto contro i Medici quando giunse la notizia che Giulio II era morto (23 febbraio 1513) e il cardinale si recò prontamente al Conclave. Non aveva competitori temibili e riuscì eletto senza contrasti. Poiché non era che diacono, il nuovo papa Leone X, ricevette, il 13 marzo 1513, l’ordinazione sacerdotale, e il 17 quella episcopale; il 19 fu incoronato, in una cerimonia che ebbe solennità e magnificenza mai viste.

I suoi precedenti di cardinale e i primi atti del suo pontificato facevano sperare ai Romani che il suo regno sarebbe stato di pace e tutto diverso da quello del defunto papa. Egli si propose tre obiettivi politici: conservare l’integrità e l’indipendenza dello Stato pontificio; ricostituire, possibilmente senza altre guerre, l’equilibrio tra gli Stati italiani e la pace con esclusione degli stranieri; rimettere saldi i Medici a Firenze.

Uno dei suoi primi atti fu la prosecuzione del Concilio lateranense, convocato dal suo predecessore: sperava con esso di metter fine allo scisma che covava a Pisa.

La sconfitta che gli Svizzeri dello Sforza inflissero ai Francesi presso Novara, il 6 giugno 1513 gli giovò. Cominciarono a far atto di sottomissione i cardinali Carvajal e Sanseverino; seguirono quasi tutti i dissidenti e il pericolo di scisma svanì.

La lega santa contro i Francesi, ch’egli aveva rinnovato a Malines il 5 aprile 1513, continuando la politica del predecessore, era stata utile. Ora si trattava di destreggiarsi nel nuovo orientamento di Luigi XII, che si avvicinava all’Inghilterra, già nemica.

Il 1514 fu, rispetto alla politica con le grandi potenze, tutto un anno di tentennamenti e di sforzi per contenere le ambizioni dell’imperatore Massimiliano, del re di Francia, dei Veneziani e degli Sforza, con l’urgenza del compito di rafforzare i Medici a Firenze e in Italia.

I membri della famiglia che potevano servire e dovevano essere aiutati erano Giulio, suo cugino, figlio di Giuliano, già avviato per la carriera ecclesiastica (il futuro papa Clemente VII); Giuliano suo fratello minore; Lorenzo suo’ nipote, figlio di Piero.

Giulio ebbe legittimata la nascita con il riconoscimento della validità di un presunto matrimonio segreto tra Giuliano e Fioretta, del quale si stese anche documento; poi fu nominato cardinale e messo arcivescovo a Firenze. Giuliano, eletto patrizio romano, fu nominato generale delle milizie della Chiesa, titolo puramente onorifico, e sposò Filiberta di Savoia, divenendo così zio di Francesco I re di Francia. Lorenzo, anch’egli patrizio romano, fu, appena ventunenne, messo a capo dello Stato fiorentino.

Il 10 gennaio 1515 moriva Luigi XII e prendeva la corona di Francia Francesco I, ben altrimenti ambizioso e audace. Contro le sue pretese su Milano doveva formarsi una nuova grande lega tra papa, imperatore, Milano, Genova, gli Svizzeri.

In principio di febbraio se ne redassero i patti preliminari, da ratificarsi entro due mesi. La ratifica non venne, non piacendo alcune clausole del papa (l’acquisto di Parma e Piacenza) agli altri contraenti. La loro azione fu fiacchissima quando nel settembre Francesco avanzò su Milano.

Dopo la battaglia di Marignano (13-14 settembre) Leone diede saggio della sua sottile intelligenza: contro il parere dei suoi consiglieri iniziò trattative con il re di Francia. Queste culminarono nell’incontro di Bologna (11-15 dicembre), nel quale si concluse tra pontefice e re il concordato, che riconosceva i diritti della Chiesa gallicana, e che durerà quasi immutato fino alla Rivoluzione Francese. Il 18 agosto 1516 gli articoli erano solennemente firmati.

Dalla vittoria francese a Marignano sorse la guerra d’Urbino: avendo Francesco Maria Della Rovere mancato agli obblighi assunti, si doveva punirlo e togliergli il dominio, anche se i Medici avevano avuto benefici da lui che li aveva ospitati esuli e aiutati. In principio del giugno 1516 il ducato era facilmente conquistato dalle forze papali e il 18 agosto ne era investito Lorenzo, nipote del papa e già signore di Firenze. La presa d’Urbino piacque poco al re di Francia e a Carlo (dal 23 gennaio re di Spagna e di Napoli), che a Noyon il 13 agosto avevano fatto pace per la difesa comune dei loro domini.

Il 1517 fu un anno tragico nel pontificato di Leone. Nel febbraio Francesco Maria Della Rovere rioccupava, aiutato da parecchi principi italiani, il suo ducato d’Urbino.

L’11 marzo a Cambrai Francesco I e Carlo I, insieme con l’imperatore Massimiliano, stipulavano un trattato per la difesa contro il turco minaccioso, il quale era insieme una conferma e un’amplificazione delle intese di Noyon contro il papa.

Nell’aprile si scopriva una trama ordita dal cardinale Alfonso Petrucci per uccidere il papa. Il cardinale, degradato, sconsacrato e affidato al braccio secolare, fu ucciso tra tormenti. Intanto dal febbraio al settembre si trascinava senza fortuna la guerra per il recupero di Urbino.

Finì per la mediazione franco-spagnola: il Della Rovere otteneva oltre 100.000 scudi quali arretrati dovutigli per le milizie, era assolto da tutte le pene ecclesiastiche comminategli durante la guerra e aveva facoltà di trasportare a Mantova la sua artiglieria e la ricchissima collezione di manoscritti creata da Federico da Montefeltro.

Mentre si facevano disegni per respingere i Turchi minaccianti l’oriente d’Europa, scoppiò a Wittenberg lo scandalo delle indulgenze. Leone X non comprese appieno la portata della reazione di Lutero. Il 3 febbraio 1518 ordinò a Gabriele della Volta, rappresentante generale degli Eremitani, di impedire a Lutero di diffondere le sue dottrine. Nel marzo si avviò il processo contro Lutero e in luglio lo si citò a Roma.

Dopo i tentativi di pacificazione, fatti per mezzo del cardinale Caetano e poi dal cameriere segreto von Miltitz nel 1518 e 1519, il papa affidava al dotto bibliotecario pontificio Gerolamo Aleandro e al professore Giovanni Eck di Ingolstadt la pubblicazione e l’esecuzione della bolla di condanna Exsurge Domine. Così egli vedeva sorgere improvviso un nuovo scisma.

Nel 1519 gli si presentò la grande questione della successione all’impero. Il 12 gennaio Massimiliano era morto: i due più audaci aspiranti alla corona imperiale erano Carlo I di Spagna, nipote del defunto, e Francesco I di Francia: tutti e due pericolosi per il papa come aspiranti all’egemonia in Italia. Leone favorì in tutti i modi la candidatura di un principe tedesco, il quale per la sua debolezza non potesse far disegni di là dai confini della Germania.

Il 4 maggio 1519 frattanto moriva a Firenze Lorenzo, lasciando una figlia, Caterina, la futura regina di Francia. Il papa cercò di rassegnarsi a quella morte che mandava in rovina tutti i suoi vasti propositi politici. Il consolidamento dei  Medici resterà da fare a Clemente VII, che, per ora cardinale Giulio, è messo a capo della signoria fiorentina. Intanto, per le notizie che giungevano dalla Germania, dove per le intemperanze di Francesco I i voti si volgevano su Carlo I, e per le minacce che lo stesso re di Francia faceva al papa per il possesso di Urbino, incorporato nello Stato pontificio dopo la morte di Lorenzo, Leone si mise a sostenere Carlo di Spagna, che il 28 giugno riuscì eletto all’unanimità col nome di Carlo V.

Dopo la Dieta di Worms, dove Lutero si era dichiarato apertamente ribelle, papa e imperatore avevano comune l’interesse della difesa contro il pericolo di uno scisma.

L’intesa tra Leone X e Carlo V, stipulata segretamente nei primi mesi del 1521 e rivolta contro Francesco I che chiedeva i possessi del re di Spagna (Navarra e Fiandre), culminò nell’ostilità aperta. I Francesi occuparono Parma e Piacenza; gli imperiali-pontifici attaccarono Milano.

Nel pomeriggio del 24 novembre arrivò a Roma la notizia che i Francesi avevano perduta Milano. Il papa ne fu felice e ordinò grandi apparati per solennizzare la vittoria. La mattina del 26 fu colto da malore, e le sue condizioni peggiorarono rapidamente; nella notte tra il l e il 2 dicembre spirò. La sua fine così repentina fece parlare di avvelenamento, che l’esame necroscopico escluse in modo assoluto. Numerosi apparvero i nemici a insultare la sua memoria. Colui che aveva fatto ogni cosa con magnificenza fu sepolto in modo quasi miserabile.

Fu grande amico degli studi e delle arti e predilesse soprattutto l’umanesimo e la letteratura. Proseguì il rinnovamento di Roma, iniziato dal predecessore, e con liberalità unica protesse letterati e poeti, dei quali amò sempre circondarsi.

Arricchì la biblioteca vaticana di numerosi cimeli bibliografici. Amò anche le cerimonie fastose, le riunioni mondane, il teatro, la musica, in modo che parve spesso sconveniente per chi sedeva sulla cattedra di S. Pietro.

 

Una curiosità che riguarda Leone X è una polemica esplosa qualche giorno fa inerente un suo ritratto eseguito da il “grande “ Raffaello.  E’ infatti scontro sul divino Raffaello, o meglio su una delle quasi 50 sue opere garantite all’esposizione romana dalle Gallerie degli Uffizi.

 

La polemica, che ha portato alle dimissioni in blocco dei quattro professori che compongono il Comitato Scientifico del museo più importante d’Italia, si scatena sulla tela che ritrae uno dei due papi che hanno fatto la fortuna del genio urbinate. Un ritratto che proprio in occasione dell’evento romano – organizzato per i 500 anni dalla morte dell’artista – è stato restaurato dall’Opificio delle Opere Dure di Firenze grazie al contributo di Lottomatica.

 

Donata Levi, Tomaso Montanari, Fabrizio Moretti e Claudio Pizzorusso ricordano di aver dato parere negativo , lo scorso 9 dicembre, al prestito del Leone X che, sottolineano, era stato incluso (in un altro documento approvato anche dal direttore Eike Schmidt) nella lista delle 23 opere “inamovibili” del museo, ovvero le opere che per le loro condizioni di fragilità o semplicemente per il loro carattere “fortemente identitario”.

 

Immediata e puntuta la replica del direttore tedesco, che anzi rivendica la sua scelta: “La mostra su Raffaello – dice – è un evento culturale epocale, sarà uno dei motivi di orgoglio dell’Italia nel mondo e non poteva fare a meno del Leone X, un capolavoro tra l’altro in ottima salute dopo il restauro fatto dagli specialisti dell’Opificio Opere Dure””.

 

Secondo i regolamenti statali, la consulenza del Comitato tecnico-scientifico è relegata, appunto, esclusivamente all’ambito tecnico-scientifico: i componenti ben possono valutare la qualità della mostra, ma non possono esprimere alcuna opinione vincolante. Esiste, evvero, la lista delle opere inamovibili e anche nel caso dell’Uomo Vitruviano o in ordine ai prestiti caravaggeschi della Galleria Borghese molte opere sono identitarie. Ciò non impedisce che in casi particolari il prestito possa essere assentito. Per la mostra celebrativa dei 500 anni dalla morte di Raffaello stiamo parlando di un prestito nazionale non in favore di uno Stato straniero, ma di un prestito direi quasi Stato (museo statale) su Stato (Scuderie del Quirinale) organizzata da Ales , società in house che gestisce per conto del Mibact le Scuderie.

 

Un conto è il carattere identitario e un conto il carattere straordinario dell’evento in questione. Tutte le opere nazionali di Raffaello in mostra, compreso il «Leone X» portate in prestito hanno valore di quasi 1,6 miliardo di euro. Solo l’opera contestata vale 80 milioni di euro. Il Comitato scientifico non svolge una funzione politica ma tecnica. Se il direttore sbagliasse non sta al Comitato scientifico censurare il direttore, ma organi a lui superiori.

 

Il Comitato non ha alcuna legittimazione a polemizzare. Del resto è evidente che nella mostra ci saranno anche altre opere identitarie di Raffaello per qualche altro museo. Se si volesse valorizzare il carattere identitario si potrebbero così spostare solo quadri di minore importanza. Tutti i musei del mondo considerano identitarie e straordinarie alcune opere eppure circolano e vengono prestate se il valore scientifico della mostra è elevato. Altrimenti non si farebbero più mostre.

Se, invece, l’indirizzo del Comitato scientifico è di bloccare una mostra se ne dovrebbe dedursi che l’intento sia latamente politico. Se così fosse, bisognerebbe comportarsi diversamente: ossia candidarsi, assumere responsabilità politica delle idee di fronte agli elettori e, successivamente, rimettersi anche al giudizio degli stessi elettori.

Ma non si utilizza strumentalmente la propria autorevolezza scientifica per condizionare la decisione di carattere tecnico-discrezionale di un dirigente museale. Il rischio è finire per dimezzare le mostre come quella su Caravaggio al Museo di Capodimonte che lo scorso aprile fu costretto a non esporre la pala d’altare delle «Sette opere della misericordia» di Caravaggio, nonostante l’accordo del proprietario, l’antichissima e nobile Fondazione del Pio Monte della Misericordia di Napoli, a causa di una opposizione ideologica che non acconsentì allo spostamento di soli di 2 km dell’opera ritenuta difficile da rimuovere dall’altare. Ma nel caso del «Leone X» non sono opponibili neanche problemi conservativi, essendo l’opera in condizioni perfette.

 

Insomma la lista vale quindi più o meno per bloccare la circolazione delle opere di un museo?

L’individuazione di un’opera in una lista di opere identitarie avviene con un provvedimento amministrativo; con altro provvedimento amministrativo di concessione del prestito non si fa altro che derogare a quella qualificazione, almeno limitatamente ad un caso particolare e dietro congrua motivazione. Nulla di scandaloso su un piano giuridico. Insomma: che il «Leone X» non vada spostato non è certo scritto nell’art. 9 della Costituzione ma le polemiche non sono mancate smorzate soltanto dall’emergenza coronavirus.




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *