Simposio internazionale Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale

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Si è concluso in Vaticano il Simposio internazionale dal titolo “Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale”, organizzata dal Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

Si tratta del primo incontro globale sul disarmo atomico dopo l’approvazione del “Trattato sul bando delle armi nucleari”, firmato da 122 Paesi della Comunità internazionale (tra cui la Santa Sede), a New York il 7 luglio 2017, dopo anni di intense e faticose negoziazioni, e aperto alla firma in quella stessa città il 20 settembre scorso.
Il Simposio si è avvalso della partecipazione di 11 Premi Nobel per la Pace, dei vertici di Onu e Nato, di diplomatici in rappresentanza di numerosi stati tra i quali Russia, Stati Uniti, Corea del Sud, Iran, nonché dei massimi esperti nel campo degli armamenti ed esponenti delle fondazioni, delle organizzazioni e della società civile da tempo impegnate attivamente su un tema che incute timori e scuote le coscienze 8anche se non proprio tutte). Presenti anche rappresentanti delle Conferenze episcopali e delle Chiese, a livello ecumenico e di altre fedi, anche delle delegazioni di docenti e studenti provenienti dalle Università di Stati Uniti, Russia e Unione Europea.

Particolarmente significativa la testimonianza di Masako Wada, Assistant Secretary General della Nihon Hidankyo, una delle ultime superstiti del bombardamento di Hiroshima, che ha parlato nel nome delle vittime delle armi atomiche così come di tutte le vittime degli altri esperimenti nucleari.

“Sopravvivere alla bomba atomica”. E’ la toccante testimonianza portata alla conferenza sul disarmo nucleare in Vaticano da Masako Wada, sopravvissuta al bombardamento nucleare americano su Nagasaki del 9 agosto 1945. All’epoca, Masako aveva solo 22 mesi. Oggi a 74 anni, è un simbolo vivente della forza della vita contro la devastazione della guerra. Da anni, come sottosegretario generale di Nihon Hidankyo, è impegnata per un mondo libero dalle armi nucleari. A margine della conferenza, abbiamo chiesto a Masako Wada cosa pensa dell’impegno di Papa Francesco e della Santa Sede per il disarmo: proprio Masako wada a dichiarato: “Abbiamo ora un Trattato per il bando della armi nucleari, ma questo non basta. Dobbiamo coinvolgere sempre più persone negli sforzi per il disarmo. Ecco perché questa Conferenza in Vaticano è molto importante. Sono grata a Papa Francesco e alla Santa Sede per questa opportunità. Mi auguro inoltre che dopo questo evento, la voce in favore del disarmo nucleare diventi più forte. La Santa Sede è stata tra i primi firmatari del Trattato e di questo sono molto grata al Papa. Sono felice che la Santa Sede oltre ad impegnarsi per la pace e la giustizia, metta anche l’accento sul tema del disarmo.
I leader degli Stati con armi nucleari devono avere una coscienza pubblica. Devono pensare che hanno nelle loro mani il destino di tutta l’umanità. Devono sentire questa responsabilità e agire responsabilmente. Credo che il bene sia presente nel cuore di ognuno di noi. Siamo tutti chiamati a lavorare per la pace, per questo ringrazio il Vaticano per gli sforzi che sta facendo per il disarmo. Posso anche dire che negli ultimi 72 anni, dai bombardamenti atomici, nonostante tutte le sofferenze, le difficoltà si è continuato a lavorare per un mondo senza armi nucleari. Ora, con il Trattato per il bando delle armi nucleari, vediamo una piccola apertura per un mondo senza armi atomiche. Dobbiamo però impegnarci ancora di più, coinvolgere più persone possibili. Questa è la mia speranza!
Spero che un giorno avremo un mondo libero dalle armi nucleari. Negli anni dopo il bombardamento, mi sentivo abbandonata sia dal governo giapponese che da quello degli Stati Uniti, ma sono rimasta in piedi, sono cresciuta. Non ho ceduto alla disperazione. Ho mantenuto la speranza. E oggi spero che chi ha partecipato a questo Conferenza quando tornerà a casa renderà ancora più forte la voce in favore del disarmo nucleare.
La pace mondiale non può basarsi su un equilibrio del terrore. “Le armi nucleari – ha detto il cardinale segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin – non possono essere la soluzione al problema della sicurezza”, ed ha ribadito, con le parole di Papa Francesco, quanto sia urgente investire nello sviluppo, non nelle armi. Il porporato ha quindi avvertito che è insostenibile una stabilità mondiale che si basa sulla paura, su un falso senso di sicurezza. Al tempo stesso, ha sottolineato che non può non deve sembrare “irrealistico” o addirittura “utopico” pensare ad un mondo “libero dalle armi nucleari”.

Sulla stessa linea, il discorso di apertura del cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, che ha organizzato la conferenza voluta da Papa Francesco. Il mondo, ha detto il porporato, è purtroppo sull’orlo di un disastro nucleare ed ha così incoraggiato gli Stati che posseggono armi atomiche ad impegnarsi per un mondo libero della paura. “La sicurezza – ha ripreso – non viene data dal numero di armi che possediamo”, E, citando il presidente americano Eisenhower, ha osservato che “ogni volta che si utilizzano le armi” si stanno rubando risorse “alle popolazioni che devono lottare per la sopravvivenza”. Di qui l’appello a investire in salute ed educazione, piuttosto che in armi che mettono a rischio il futuro dell’umanità.
Chiaro e forte l’appello di Papa Francesco: “Cari amici, porgo a ciascuno di voi il mio cordiale saluto ed esprimo viva gratitudine per la vostra presenza e per la vostra attività al servizio del bene comune.

Siete convenuti a questo Simposio per affrontare argomenti cruciali, sia in sé stessi, sia in considerazione della complessità delle sfide politiche dell’attuale scenario internazionale, caratterizzato da un clima instabile di conflittualità. Un fosco pessimismo potrebbe spingerci a ritenere che le “prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale”, come recita il titolo del vostro incontro, appaiano sempre più remote. È un dato di fatto che la spirale della corsa agli armamenti non conosce sosta e che i costi di ammodernamento e sviluppo delle armi, non solo nucleari, rappresentano una considerevole voce di spesa per le nazioni, al punto da dover mettere in secondo piano le priorità reali dell’umanità sofferente: la lotta contro la povertà, la promozione della pace, la realizzazione di progetti educativi, ecologici e sanitari e lo sviluppo dei diritti umani.

Non possiamo poi non provare un vivo senso di inquietudine se consideriamo le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualsiasi utilizzo degli ordigni nucleari. Pertanto, anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano. Le relazioni internazionali non possono essere dominate dalla forza militare, dalle intimidazioni reciproche, dall’ostentazione degli arsenali bellici. Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche, altro non generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece ispirarsi ad un’etica di solidarietà. Insostituibile da questo punto di vista è la testimonianza degli Hibakusha, cioè le persone colpite dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki, come pure quella delle altre vittime degli esperimenti delle armi nucleari: che la loro voce profetica sia un monito soprattutto per le nuove generazioni!

Inoltre, gli armamenti che hanno come effetto la distruzione del genere umano sono persino illogici sul piano militare. Del resto, la vera scienza è sempre a servizio dell’uomo, mentre la società contemporanea appare come stordita dalle deviazioni dei progetti concepiti in seno ad essa, magari per una buona causa originaria. Basti pensare che le tecnologie nucleari si diffondono ormai anche attraverso le comunicazioni telematiche e che gli strumenti di diritto internazionale non hanno impedito che nuovi Stati si aggiungessero alla cerchia dei possessori di armi atomiche. Si tratta di scenari angoscianti se si pensa alle sfide della geopolitica contemporanea come il terrorismo o i conflitti asimmetrici.

Eppure, un sano realismo non cessa di accendere sul nostro mondo disordinato le luci della speranza. Recentemente, ad esempio, attraverso una storica votazione in sede ONU, la maggior parte dei Membri della Comunità Internazionale ha stabilito che le armi nucleari non sono solamente immorali ma devono anche considerarsi un illegittimo strumento di guerra. E’ stato così colmato un vuoto giuridico importante, giacché le armi chimiche, quelle biologiche, le mine antiuomo e le bombe a grappolo sono tutti armamenti espressamente proibiti attraverso Convenzioni internazionali. Ancora più significativo è il fatto che questi risultati si debbano principalmente ad una “iniziativa umanitaria” promossa da una valida alleanza tra società civile, Stati, Organizzazioni internazionali, Chiese, Accademie e gruppi di esperti. In tale contesto si colloca anche il documento che voi, insigniti del Premio Nobel per la Pace, mi avete consegnato e per il quale esprimo il mio grato apprezzamento.

Proprio in questo 2017 ricorre il 50° anniversario della Lettera Enciclica Populorum progressio di Paolo VI. Essa, sviluppando la visione cristiana della persona, ha posto in risalto la nozione di sviluppo umano integrale e l’ha proposta come nuovo nome della pace. In questo memorabile e attualissimo Documento il Papa ha offerto la sintetica e felice formula per cui «lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (n. 14).
Occorre dunque innanzitutto rigettare la cultura dello scarto e avere cura delle persone e dei popoli che soffrono le più dolorose disuguaglianze, attraverso un’opera che sappia privilegiare con pazienza i processi solidali rispetto all’egoismo degli interessi contingenti. Si tratta al tempo stesso di integrare la dimensione individuale e quella sociale mediante il dispiegamento del principio di sussidiarietà, favorendo l’apporto di tutti come singoli e come gruppi. Bisogna infine promuovere l’umano nella sua unità inscindibile di anima e corpo, di contemplazione e di azione.

Ecco dunque come un progresso effettivo ed inclusivo può rendere attuabile l’utopia di un mondo privo di micidiali strumenti di offesa, nonostante la critica di coloro che ritengono idealistici i processi di smantellamento degli arsenali. Resta sempre valido il magistero di Giovanni XXIII, che ha indicato con chiarezza l’obiettivo di un disarmo integrale affermando: «L’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica» (Lett. enc. Pacem in terris, 11 aprile 1963, 61).

La Chiesa non si stanca di offrire al mondo questa sapienza e le opere che essa ispira, nella consapevolezza che lo sviluppo integrale è la strada del bene che la famiglia umana è chiamata a percorrere. Vi incoraggio a portare avanti questa azione con pazienza e costanza, nella fiducia che il Signore ci accompagna. Egli benedica ciascuno di voi e il lavoro che compie al servizio della giustizia e della pace. Grazie”.
Don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi:”Si tratta di un incontro importante, non solo celebrativo, perché arriva da un cammino lungo, da un impegno che la Chiesa, e non solo essa, ha sviluppato e mantenuto nel tempo a favore della pace”.
Un impegno coerente – spiega don Sacco – da parte della Chiesa, con Papa Francesco che ribadisce in continuazione la necessità di un disarmo integrale”. “D’altra parte sono giunte al simposio tante espressioni della società civile, esperti della scena internazionale, fra cui 11 premi Nobel, concordi sul fatto che questa nuova tappa per la pace e contro gli armamenti debba portarci a proseguire il percorso ciascuno nella propria realtà e territorio”. “Tutto ciò deve diventare, per la Chiesa, una prassi pastorale, che coinvolge le nostre comunità, la catechesi, ogni forma di annuncio del vangelo. La pace non è affare per addetti ai lavori perché riguarda la vita di ciascuno, ogni giorno”, creando le precondizioni per la convivenza, il lavoro, la vita delle famiglie, il futuro dei giovani, lo sviluppo. “Aggiungo che la corsa agli armamenti, e in particolare le armi atomiche, sottrae risorse alla società e contribuisce a creare più povertà e quindi più poveri”.
Per don Sacco, “come diceva con Tonino Bello, dobbiamo annunciare la pace con il sorriso ma anche avere la forza per denunciare le folli spese militari degli Stati”. Eppure, in un clima di insicurezza generale, di terrorismo e di conflitti diffusi, la Nato e l’Ue sembrano aggiungersi ad altri attori internazionali che indicano il rafforzamento degli eserciti per creare maggiore sicurezza: cosa ne pensa? “Penso che occorre ridurre la diffusione delle armi e gli investimenti in questo campo, perché le armi sono strumenti di violenza e di morte. Facciamo nostro il sogno di Isaia, ‘forgeranno le loro spade in vomeri’, e nel frattempo riteniamo necessario operare attivamente per riscoprire l’indignazione di fronte agli armamenti e alle spese militari. Papa Giovanni ci ricordava che armi e guerra sono una follia. Siamo chiamati a operare per la pace non per la guerra”.
Dobbiamo continuare a fare pressione sugli Stati che possiedono armi nucleari. Abbiamo bisogno di un sistema di sicurezza equo e inclusivo, dove ogni cittadino possa sentirsi al sicuro, non solo alcuni”. Queste le parole di Mohamed El Baradei, direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiae) e Premio Nobel per la Pace, parlando ai giornalisti a margine del summit nell’Aula Paolo VI .“La popolazione si deve mobilitare per chiedere ai governi di prendere delle decisioni sui cambiamenti climatici, sul cibo e sulla sicurezza – ha affermato -. E se i governi non ascoltano, insistere ancora, anche tramite i social, chiedendo di essere ascoltati e di non dimenticare i loro impegni. Oggi le principali sfide sono i cambiamenti climatici, la sicurezza globale, i rifugiati, bisogna avere un approccio umano alla globalizzazione, è una questione di valori e di solidarietà”.
Quindi il documento congiunto dei Nobel per la Pace. È l’azione coordinata della società civile, delle comunità religiose, delle organizzazioni internazionali e degli Stati che desidera ardentemente un mondo libero dal nucleare”, come risulta dai tre Trattati siglati con successo in sede Onu. Lo scrivono i premi Nobel per la pace presenti al Simposio internazionale.
Sul disarmo, in un documento consegnato oggi nelle mani del Papa. “Sarà il lavoro congiunto di questi settori della società – si legge nel testo – ad aprire la strada affinché gli Stati abbandonino queste armi, capaci nello spazio di un attimo di far scomparire la vita”. “Non sarà un compito facile, ma è possibile”, la tesi dei Nobel, secondo i quali “l’unico modo di garantire una pace mondiale sostenibile e di prevenire la diffusione delle armi nucleari è abolirle”. Nello stesso tempo, occorre “costruire un sistema di sicurezza internazionale inclusivo ed equo, in cui nessun Paese senta il bisogno di ricorrere agli armamenti nucleari”. I premi Nobel per la pace propongono, inoltre, di “creare un meccanismo universale, equo e a-politico” per un controllo multinazionale della produzione di materiale nucleare, in modo da contrastare il fenomeno emergente in sempre più Stati a fare ricorso e incrementare tale arsenale. “Se il nostro obiettivo è il disarmo nucleare totale, dobbiamo prestare attenzione al sistema autonomo di armamenti letali che possono arrivare a uccidere esseri umani”, l’appello: “La migliore soluzione per impedire la terza rivoluzione negli armamenti è mettere al bando tali armi prima che appaiono sul campo di battaglia”. Per arrivare a un disarmo globale, sostengono i Nobel, occorre inoltre affrontare le sfide del cambiamento climatico, di una economia globalizzata che “glorifica l’accumulazione della ricchezza per il benessere e si cura poco dei bisogni della maggioranza della popolazione del nostro pianeta”, del terrorismo “di qualunque genere”. “È tempo di riconoscere che la vera sicurezza viene dal venire incontro ai bisogni degli individui e delle comunità – la sicurezza umana – e dalla protezione e promozione del bene comune”, la conclusione del documento.




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