Vaticano – Papa Francesco e la presentazione di Gesù al tempio

1194

Papa – Nella Festa della Presentazione di Gesù al Tempio, Papa Francesco ci invita a lasciarci “coinvolgere” da Gesù, “dono di Dio per noi”, per muoverci al servizio verso i fratelli, secondo la nostra vocazione alla “missione evangelizzatrice” di annunciare Gesù. È la preghiera del Papa all’Angelus in Piazza San Pietro, nel giorno della festa della Presentazione del Signore al tempio, in cui – ricorda – ricorre anche la Giornata della vita consacrata, che richiama il “grande tesoro” nella Chiesa di quanti seguono il Signore “da vicino”, professando i “consigli evangelici.

“Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Oggi celebriamo la festa della Presentazione del Signore: quando Gesù neonato fu presentato al tempio dalla Vergine Maria e da san Giuseppe. In questa data ricorre anche la Giornata della vita consacrata, che richiama il grande tesoro nella Chiesa di quanti seguono il Signore da vicino professando i consigli evangelici.

Il Vangelo (cfr Lc 2,22-40) racconta che, quaranta giorni dopo la nascita, i genitori di Gesù portarono il Bambino a Gerusalemme per consacrarlo a Dio, come prescritto dalla Legge ebraica. E mentre descrive un rito previsto dalla tradizione, questo episodio pone alla nostra attenzione l’esempio di alcuni personaggi. Essi sono colti nel momento in cui fanno esperienza dell’incontro con il Signore nel luogo in cui Egli si fa presente e vicino all’uomo. Si tratta di Maria e Giuseppe, Simeone e Anna, che rappresentano modelli di accoglienza e di donazione della propria vita a Dio. Non erano uguali questi quattro, erano tutti diversi, ma tutti cercavano Dio e si lasciavano guidare dal Signore

L’evangelista Luca li descrive tutti e quattro in un duplice atteggiamento: atteggiamento di movimento e atteggiamento di stupore.

Il primo atteggiamento è il movimento. Maria e Giuseppe si incamminano verso Gerusalemme; da parte sua, Simeone, mosso dallo Spirito, si reca al tempio, mentre Anna serve Dio giorno e notte senza sosta. In questo modo i quattro protagonisti del brano evangelico ci mostrano che la vita cristiana richiede dinamismo e richiede disponibilità a camminare, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo. L’immobilismo non si addice alla testimonianza cristiana e alla missione della Chiesa. Il mondo ha bisogno di cristiani che si lasciano smuovere, che non si stancano di camminare per le strade della vita, per recare a tutti la consolante parola di Gesù. Ogni battezzato ha ricevuto la vocazione all’annuncio – annunciare qualcosa, annunciare Gesù -, la vocazione alla missione evangelizzatrice: annunciare Gesù! Le parrocchie e le diverse comunità ecclesiali sono chiamate a favorire l’impegno di giovani, famiglie e anziani, affinché tutti possano fare un’esperienza cristiana, vivendo da protagonisti la vita e la missione della Chiesa.

Il secondo atteggiamento con cui San Luca presenta i quattro personaggi del racconto è lo stupore. Maria e Giuseppe «si stupivano delle cose che si dicevano di lui [di Gesù]» (v. 33). Lo stupore è una reazione esplicita anche del vecchio Simeone, che nel Bambino Gesù vede con i suoi occhi la salvezza operata da Dio in favore del suo popolo: quella salvezza che lui aspettava da anni. E la stessa cosa vale per Anna, che «si mise anche lei a lodare Dio» (v. 38) e ad andare ad indicare alla gente Gesù. Questa è una santa chiacchierona, chiacchierava bene, chiacchierava di cose buone, non cose brutte. Diceva, annunciava: una santa che andava da una all’altra donna facendo loro vedere Gesù. Queste figure di credenti sono avvolte dallo stupore, perché si sono lasciate catturare e coinvolgere dagli avvenimenti che accadevano sotto i loro occhi. La capacità di stupirsi delle cose che ci circondano favorisce l’esperienza religiosa e rende fecondo l’incontro con il Signore. Al contrario, l’incapacità di stupirci rende indifferenti e allarga le distanze tra il cammino di fede e la vita di ogni giorno. Fratelli e sorelle, in movimento sempre e lasciandoci aperti allo stupore!

La Vergine Maria ci aiuti a contemplare ogni giorno in Gesù il Dono di Dio per noi, e a lasciarci coinvolgere da Lui nel movimento del dono, con gioioso stupore, perché tutta la nostra vita diventi una lode a Dio nel servizio dei fratelli.

 

Dopo l’Angelus il Pontefice ha aggiunto: “Oggi si celebra in Italia la Giornata per la Vita, che ha come tema «Aprite le porte alla vita». Mi associo al Messaggio dei Vescovi ed auspico che questa Giornata sia un’occasione per rinnovare l’impegno di custodire e proteggere la vita umana dall’inizio fino al suo naturale termine. È necessario, altresì, contrastare ogni forma di violazione della dignità, anche quando è in gioco la tecnologia o l’economia, spalancando le porte a nuove forme di fraternità solidale. Oggi, nella Giornata della vita consacrata, vorrei che tutti noi insieme in piazza pregassimo per i consacrati e le consacrate che fanno tanto lavoro e tante volte di nascosto. Preghiamo insieme. [Ave Maria] E un applauso ai consacrati e alle consacrate!”.

 

In precedenza Papa Francesco aveva invitato i consacrati nella Messa celebrata nella Basilica di San Pietro, alla vigilia della Giornata Mondiale della Vita Consacrata, nella festa della Presentazione del Signore a guardare nella propria storia il dono fedele di Dio, rinnovare lo sguardo alla luce della grazia senza cedere alla mondanità.

 

La fiamma delle candele illumina i volti dei consacrati e delle consacrate nella Basilica di san Pietro avvolta nel buio. Una piccola luce, stretta tra le mani e benedetta, custodita con forza, molto simile alla scintilla della chiamata che in un giorno qualunque Gesù ha acceso nei loro cuori. E’ proprio nella chiamata – spiega il Papa nell’omelia della Messa in San Pietro, alla vigilia della XXIV Giornata mondiale della Vita consacrata, 2 febbraio festa della presentazione del Signore – che si trova “il tesoro che vale più di tutti gli averi del mondo”, nelle mani di chi ha detto sì c’è “la grazia” del Signore, nella storia di ognuno “il dono fedele di Dio” soprattutto “nelle fragilità, nelle debolezze, nelle miserie”. “Non ci siamo meritati la vita religiosa”: sottolinea Francesco. “E’ un dono d’amore” da proteggere dalla tentazione dello “sguardo mondano”, dal ripiegarsi sull’io mentre gli occhi fissi su Dio fanno vedere – spiega Francesco – la bellezza della povertà che “non è uno sforzo titanico”, della castità “non una sterilità austera”, dell’obbedienza che rappresenta una “vittoria” sull’anarchia. La preghiera del Papa è che si chieda uno sguardo nuovo che sappia “vedere la grazia”, cercare il prossimo e sappia sperare

 

miei occhi han visto la tua salvezza. Sono le parole che ripetiamo ogni sera a Compieta. Con esse concludiamo la giornata dicendo: “Signore, la mia salvezza viene da Te, le mie mani non sono vuote, ma piene della tua grazia”. Saper vedere la grazia è il punto di partenza. Guardare indietro, rileggere la propria storia e vedervi il dono fedele di Dio: non solo nei grandi momenti della vita, ma anche nelle fragilità, nelle debolezze, nelle miserie. Il tentatore, il diavolo insiste proprio sulle nostre miserie, sulle nostre mani vuote: “In tanti anni non sei migliorato, non hai realizzato quel che potevi, non ti han lasciato fare quello per cui eri portato, non sei stato sempre fedele, non sei capace…” e così via. Ognuno di noi conosce bene questa storia, queste parole. Noi vediamo che ciò in parte è vero e andiamo dietro a pensieri e sentimenti che ci disorientano. E rischiamo di perdere la bussola, che è la gratuità di Dio. Perché Dio sempre ci ama e si dona a noi, anche nelle nostre miserie. San Girolamo dava tante cose al Signore e il Signore chiedeva di più. Lui gli ha detto: “Ma, Signore, ti ho dato tutto, tutto, cosa manca?” – “I tuoi peccati, le tue miserie, dammi le tue miserie”. Quando teniamo lo sguardo fisso in Lui, ci apriamo al perdono che ci rinnova e veniamo confermati dalla sua fedeltà. Oggi possiamo chiederci: “Io, a chi oriento lo sguardo: al Signore o a me?”. Chi sa vedere prima di tutto la grazia di Dio scopre l’antidoto alla sfiducia e allo sguardo mondano.

 

Perché sulla vita religiosa incombe questa tentazione: avere uno sguardo mondano. È lo sguardo che non vede più la grazia di Dio come protagonista della vita e va in cerca di qualche surrogato: un po’ di successo, una consolazione affettiva, fare finalmente quello che voglio. Ma la vita consacrata, quando non ruota più attorno alla grazia di Dio, si ripiega sull’io. Perde slancio, si adagia, ristagna. E sappiamo che cosa succede: si reclamano i propri spazi e i propri diritti, ci si lascia trascinare da pettegolezzi e malignità, ci si sdegna per ogni piccola cosa che non va e si intonano le litanie del lamento – le lamentele, “padre lamentele”, “suor lamentele” -: sui fratelli, sulle sorelle, sulla comunità, sulla Chiesa, sulla società. Non si vede più il Signore in ogni cosa, ma solo il mondo con le sue dinamiche, e il cuore si rattrappisce. Così si diventa abitudinari e pragmatici, mentre dentro aumentano tristezza e sfiducia, che degenerano in rassegnazione. Ecco a che cosa porta lo sguardo mondano. La grande Teresa diceva alle sue suore: “Guai la suora che ripete ‘mi hanno fatto un’ingiustizia’, guai!”.

Per avere lo sguardo giusto sulla vita chiediamo di saper vedere la grazia di Dio per noi, come Simeone. Il Vangelo ripete per tre volte che egli aveva familiarità con lo Spirito Santo, il quale era su di lui, lo ispirava, lo smuoveva (cfr vv. 25-27). Aveva familiarità con lo Spirito Santo, con l’amore di Dio. La vita consacrata, se resta salda nell’amore del Signore, vede la bellezza. Vede che la povertà non è uno sforzo titanico, ma una libertà superiore, che ci regala Dio e gli altri come le vere ricchezze. Vede che la castità non è una sterilità austera, ma la via per amare senza possedere. Vede che l’obbedienza non è disciplina, ma la vittoria sulla nostra anarchia nello stile di Gesù. In una delle terre terremotate, in Italia – parlando di povertà e di vita comunitaria – c’era un monastero benedettino andato distrutto e un altro monastero ha invitato le suore a traslocarsi da loro. Ma sono rimaste lì poco tempo: non erano felici, pensavano al posto che avevano lasciato, alla gente di là. E alla fine hanno deciso di tornare e fare il monastero in due roulotte. Invece di essere in un grande monastero, comode, erano come le pulci, lì, tutti insieme, ma felici nella povertà. Questo è successo in questo ultimo anno. Una cosa bella!

I miei occhi han visto la tua salvezza. Simeone vede Gesù piccolo, umile, venuto per servire e non per essere servito, e definisce sé stesso servo. Dice infatti: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace» (v. 29). Chi tiene lo sguardo su Gesù impara a vivere per servire. Non aspetta che comincino gli altri, ma si mette in cerca del prossimo, come Simeone che cercava Gesù nel tempio. Nella vita consacrata dove si trova il prossimo? Questa è la domanda: dove si trova il prossimo? Anzitutto nella propria comunità. Va chiesta la grazia di saper cercare Gesù nei fratelli e nelle sorelle che abbiamo ricevuto. È lì che si inizia a mettere in pratica la carità: nel posto dove vivi, accogliendo i fratelli e le sorelle con le loro povertà, come Simeone accolse Gesù semplice e povero. Oggi, tanti vedono negli altri solo ostacoli e complicazioni. C’è bisogno di sguardi che cerchino il prossimo, che avvicinino chi è distante. I religiosi e le religiose, uomini e donne che vivono per imitare Gesù, sono chiamati a immettere nel mondo il suo stesso sguardo, lo sguardo della compassione, lo sguardo che va in cerca dei lontani; che non condanna, ma incoraggia, libera, consola, lo sguardo della compassione. Quel ritornello del Vangelo, tante volte parlando di Gesù dice: “ne ebbe compassione”. È l’abbassarsi di Gesù verso ognuno di noi.

I miei occhi han visto la tua salvezza. Gli occhi di Simeone han visto la salvezza perché la aspettavano (cfr v. 25). Erano occhi che attendevano, che speravano. Cercavano la luce e videro la luce delle genti (cfr v. 32). Erano occhi anziani, ma accesi di speranza. Lo sguardo dei consacrati non può che essere uno sguardo di speranza. Saper sperare. Guardandosi attorno, è facile perdere la speranza: le cose che non vanno, il calo delle vocazioni… Incombe ancora la tentazione dello sguardo mondano, che azzera la speranza. Ma guardiamo al Vangelo e vediamo Simeone e Anna: erano anziani, soli, eppure non avevano perso la speranza, perché stavano a contatto col Signore. Anna «non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere» (v. 37). Ecco il segreto: non allontanarsi dal Signore, fonte della speranza. Diventiamo ciechi se non guardiamo al Signore ogni giorno, se non lo adoriamo. Adorare il Signore!




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *